Caduta la tirannide emmenide, la città di Akragas riuscì a darsi un assetto più democratico e affidò al filosofo Empedocle il compito di redigere una riforma costituzionale.
Questo periodo di relativa stabilità permise agli Agrigentini di realizzare una notevole ripresa economica e politica, anche se ormai non potevano più competere con Siracusa, tanto meno militarmente. Al tempo della spedizione ateniese in Sicilia, avvenuta nel 415 a.C., Akragas decise di non allinearsi né con Atene né con Siracusa.
Ma ormai la grande storia della città dei Templi volgeva al tramonto. Un esercito cartaginese nel 409 a.C. mosse contro Selinunte e sconfisse le forze elleniche e – dopo aver conquistato e distrutto Imera – la furia cartaginese si abbatté su Akragas (406 a.C). L’assedio cartaginese durò otto mesi. Gli Agrigentini erano difesi da un corpo di mercenari sotto il comando del lacedemone Desippo, ma chiesero aiuto anche alle città siciliane. Giunse infatti un consistente esercito, costituito soprattutto da Siracusani, capitanato da Dafneo, che mise in serie difficoltà i Cartaginesi. Se questi spietati nemici non vennero sconfitti ciò avvenne per la viltà dei generali agrigentini, che nel momento più delicato della battaglia non arrivarono in soccorso degli alleati. Questi generali furono poi lapidati.
La necessità di avvalersi di così tanti mercenari probabilmente derivava dal fatto che gli abitanti di Akragas avevano da tempo abbandonato l’esercizio delle armi. Presto anche i mercenari di Desippo passarono dalla parte dei nemici e la città venne evacuata, specie quando anche la fame e gli stenti piegarono definitivamente gli Agrigentini. Molti fuggirono verso Gela e Akragas rimase pertanto preda delle armate nemiche.
Entrati nella città abbandonata, i Cartaginesi vi si acquartierarono durante tutto l’inverno e finirono di distruggerla nella primavera del 405 a.C. Venne bruciato il tempio di Atena e sottratto un ingente bottino, ma diversi Cartaginesi, tra cui lo stesso comandante Annibale, rimasero vittime della peste, diffusasi probabilmente a causa dell’inaudita decisione di violare anche le tombe dei vinti per umiliare fino in fondo la città nemica. Era ancora vivo infatti tra i punici il ricordo della bruciante sconfitta subita nel 480 a.C. nella battaglia di Himera.
La pace siglata tra Akragas e Cartagine pose condizioni molto umilianti ai Siciliani: per lungo tempo la città rimase sottomessa e non potè rialzare le fortificazioni distrutte.
Al termine della guerra altri Agrigentini vennero mandati dai Siracusani a popolare Leontio. Pur in tali condizioni di precarietà, ovunque si trovassero gli Agrigentini continuarono a conservare le loro tradizioni e la memoria della loro grandezza.
Quando Dionisio di Siracusa vinse i Cartaginesi, guidati da Imilcone, nel 393 a.C., Akragas era schierata con il tiranno siracusano. E ancora, quando i pirati Cartaginesi infestavano le coste siciliane con feroci incursioni nei territori greci, Akragas e Siracusa, con altre città alleate, misero sotto il comando di Dionisio trecento navi da guerra, oltre tremila pedoni e tremila cavalli. La guerra però non ebbe luogo.
Dopo la parentesi del demagogo Dione, che travolse gli Agrigentini nel turbine politico e li condusse fino alla rottura dell’alleanza con Siracusa, il territorio agrigentino fu invaso dai Cartaginesi ancora una volta. Finalmente il corinzio Timoleonte, approdato in Sicilia nel 345 a.C. per liberare le città greche dal dominio cartaginese, scacciò da Siracusa Dionisio il giovane e si alleò con gli Agrigentini.
Elio Di Bella