
I fiumi agrigentini
1. Ed ora alla vexata quaestio dei fiumi agrigentini, a quella parte della nostra topografia, che chiamerei il pomo della discordia lanciato fra gli archeologi.
Sarebbe lungo e noioso riportare il parere di tutti coloro, che se ne sono occupati, ma per dare un’idea delle tante varianti, riporterò le parole di Fazello relative all’argomento, e poi le opinioni di alcuni scrittori antichi citate dall’abate Vito Amico nelle note 1. e 2 al libro VI del Fazello.
Questi dice: « Decimo post Puntam Albam miliario, Acragae fluvii ostium, sequitur Polybio, Dragi hodie dicti…Oritur ex collibus Raphadalis oppiduli… et sub ipsa deinde urbe …. fluvium Sancti Blasii, qui et ipse urbem, quae orientem spectat ex collibus vicinis defluens praeterlabitur, aquis receptis auctus mare ingreditur.(1) Secondo Fazello dunque il fiume, che mette foce a dieci miglia dal Capo Bianco, volgarmente detto del Drago, è l’Acragas. Scende dai colli di Raffadali; sotto la città stessa riceve le acque del S. Biagio: altro fiume, che ha origine dai colli situati ad oriente della città, e così ingrossato entra nel mare. Fazello dunque riconosce per Acragas il fiume del Drago, aumentato delle acque del S. Biagio; ed in quanto all’Ipsas, dice altrove, che corrisponde al fiume di Naro, e ciò secondo il parere di Tolomeo e di Polibio (2).
2. Il Cluverio tenendo presente pure il passo di Polibio, dice Ipsas il fiume Drago, ed Acragas il S. Biagio. Ma poi non sapendosi rassegnare all’idea che il minuscolo S. Biagio possa meritare il titolo di fiume, e 1’onore di aver dato il nome alla città, ripiega assumendo, che sicuramente nei tempi antichi il S. Biagio dovesse riversare le sue acque nel fiume di Naro, il quale per tale motivo pigliava pure il nome di Acragas. E qui siamo in uno dei casi accennati nell’introduzione: il Cluverio cioè non si spiega come mai le acque del S. Biagio avrebbero potuto montare su e percorrere l’altipiano della « Torre che parla » o quello del Cannatello per arrivare al fiume di Naro. E l’abate Amico aggiunge in proposito che gli Agrigentini non rimasero convinti di tale versione.
Il Pancrazio nella sua Chorografia segna col nome di Ipsas il fiume di Naro.
L’Arezio scrive : Duo sunt fluvii ipso in exitu conjuncti, qui ubi confluunt unus est Acragas. — Secondo l’Arezio dunque il nostro fiume avrebbe preso il nome di Acragas soltanto nel suo ultimo tratto: dal punto di confluenza sino al mare.
L’Abate Amico (3) definisce Acragas tutto il fiume che scorre sotto la città, composto del Drago e del S Biagio. E nelle note al Fazello (di cui sopra feci menzione) osserva con molta sagacia : Nunc in Polybio, amanuensium vitio, error irrepsit ?
Quel dubbio, che pure sembra cotanto ragionevole, posto che le parole di Polibio non trovino un preciso riscontro nei luoghi, non è stato raccolto da nessuno.
E dopo di avere esposto così i pareri discordanti degli scrittori più lontani da noi, vengo alla erudizione moderna rappresentata dall’Holm, dal Picone, dallo Schubring, dal Toniazzo e da una pleiade di dilettanti i quali attenendosi strettamente alle parole di Polibio, hanno stabilito che l’Acragas corrisponde al piccolo S. Biagio, ed Ipsas al fiume del Drago.
Il passo di Polibio relativo ai fiumi
1. Prima di procedere ad ogni altra indagine ritengo necessario avere sott’occhi il passo di Polibio sì variamente interpretato; e poiché la mia traduzione differisce non poco da quelle altrui, mi occorre giustificarla
Le parole nel testo sono: παριεχται δε ποταμδισ ρει γαραυτης παρα την νοτιον πλευραν ο ξυνονυμος τη πολει, παρα δε την επι τας δυσεις και τον λιβα τετραμμενην ο προξαρευομενος Ιψας
La traduzione dello Schubring corrisponde su per giù a quella degli altri scrittori, e per ciò riporto soltanto quella di lui : « La citta è circondata da fiumi: al fianco volto a mezzodì scorre quello che ha lo stesso nome di essa, ed al fianco di libeccio e di occidente quello chiamato Ipsas». (4)
Comincio nell’osservare che il soggetto della prima proposizione non è la città, ma quello del periodo precedente, ο δε περιβολος , il recinto, l’area, su cui la città si estendeva, sicché non era la città propriamente detta a confinare coi fiumi, ma tutto lo spazio circostante ad essa.
Il verbo περιεχεται deriva da περιεχω, il quale nell’attivo significa abbracciare, circondare, ma cambiando forma cambia pure significato; usato intransitivamente vale sopravanzare, essere superiore, e nella forma passiva ripiglia il significato del verbo da cui è composto: avere, tenere, e significa perciò esser tenuto o contenuto; pertanto la traduzione letterale di quella frase sarebbe questa, che l’area sulla quale giaceva la città era contenuta fra due fiumi. Sino a certo punto potrei accettare questa traduzione, ma nella specie mi interessa mettere in evidenza che nella forma passiva quel verbo significa pure proteggere, difendere (5).
Ciò posto, se noi esaminiamo il periodo di Polibio nel suo insieme; se teniamo presente che lo storico non descrive la città di Agrigento nel modo, come farebbe un novelliere, ma che si occupa in maniera speciale della parte militare, mettendo in evidenza il sito forte e inespugnabile più che quello di altre città, che le sue mura di cinta erano state create insormontabili dalla natura, e che anche la mano dell’uomo concorse a renderle tali; e che prima di far cenno
dell’acropoli e del precipizio ond’essa è circondata, fa menzione dei due fiumi, che ne lambiscono il territorio— non possiamo trascurare l’ultimo significato del verbo περιεχω che ha relazione col concetto della difesa della città; ed è in armonia con ciò che Polibio ha detto nelle proposizioni precedenti e nella successiva. L’intero periodo di Polibio adunque dice che Agrigento sorgeva in sito ameno e forte, circondata da mura inespugnabili; il suo ambito era protetto da due fiumi, e la sua acropoli, circondata da inaccessibile precipizio, stava al di sopra delle città, in direzione degli orienti estivi. Questo è il concetto di Polibio: mentre non corrispondono ad esso le parole nude e crude: è circondata da fiumi.
2. Si aggiunga a questo che la proposizione principale del periodo è unita alle due successive mediante la congiunzione esplicativa γαρ ; poiché, in quanto che; la qual cosa significa, che se mai si volesse considerare il concetto della prima proposizione come di significato equivoco, le due successive lo verrebbero a determinare meglio. L’area della città giace tra due fiumi, è protetta da due fiumi, in quanto che l’uno scorre in direzione di Sud, e l’altro ad Ovest. Questa spiegazione data dallo stesso Polibio, ed il fatto che non si trova cenno di ciò che poteva esistere a Nord e ad Est della medesima città rende chiara l’idea che lo storico non intese parlare affatto di una città circondata da fiumi — come tutti si compiacciono di tradurre — ma di un territorio in vicinanza del quale scorrevano due fiumi e che era protetto dai medesimi.
3. Fin qui per giustificare la mia traduzione, anzicchè per l’essenza della cosa; perchè in fatto di topografia le osservazioni sui testi, le traduzioni letterali, e le questioni grammaticali hanno sempre un valore secondario. Se Agrigento non fu come Babillonia o Alessandria d’Egitto, una città circondata da fiumi, non dovremo tradurre le parole di Polibio in modo da fargli dire ciò che egli non voleva dire. Ed invece affacciandoci dalle mura dell’antica città ovvero dalla Rupe Atenea, noi rileviamo in maniera spontanea che tutto l’altipiano sul quale Agrigento si ergeva maestosa ha una sola esposizione: guarda solamente a mezzogiorno, ed in quella direzione scorre un solo fiume, l’Acragas. Che se nella direzione di ponente e libeccio non vi sono altri fiumi, è tempo sprecato torcere le parole dello storico si da trovare l’Ipsas in quella direzione, mentre è semplice pensare alla possibilità di una alterazione dei copisti.
La descrizione di Polibio mal si adatta alla versione degli scrittori moderni
Esaminiamo adesso se la descrizione di Polibio indichi chiaramente i fiumi pretesi dall’Holm e dallo Schubring cioè il Drago e il S. Biagio (1). A tal uopo giova mettere in evidenza quali direzioni essi pigliano nel loro corso rispetto alle mura dell’antica città.
Al di là della Rupe Atenea, a lambire il precipizio più volte ricordato, il lato di Nord – Est è bagnato dal fiume di Favara, il quale nell’ultimo tratto assume il nome del colle sovrastante di S. Biagio; costeggia la città nella sua parte orientale, e si spinge con la medesima direzione per altri quattro o cinquecento metri più sotto del tempio di Giunone. Ivi fa gomito, e viene a trovarsi a Sud delle mura; e dopo il percorso di un altro chilometro circa, in direzione della Porta Aurea, scarica le sue acque nel Drago e finisce lì.
Dal punto di confluenza, a salire fino al ponte sullo stradale che va a Porto Empedocle (7) il Drago scorre sotto il restante delle mura della città per un tratto di circa due chilometri. Di là sino allo sbocco del vallone delle Cavoline giace a ponente per un tratto non lungo. Risalendo ancora si trova a Sud della necropoli, per tutta la larghezza del colle di Agrigento, ma secondo me, non si deve tenere conto di quest’altro tratto perché Polibio nel descrivere il sito di Agrigento non v’includeva certamente la città dei morti.
Il Drago adunque scorre sotto le antiche mura per un percorso complessivo di tre o quattro chilometri, ma la sua parte maggiore si trova a Sud, (non potrei spiegarmi perciò, per qual motivo Polibio lo avrebbe potuto dire rivolto esclusivamente all’occaso). Con maggior ragione la cosa resterebbe inesplicabile secondo la versione del Picone e dell’Holm, i quali vogliono includere il colle di Agrigento nell’ambito dell’antica città; in tale ipotesi il fiume si troverebbe per due lunghi tratti a Sud, e per un tratto mediocre ad Ovest delle mura; Polibio pertanto non avrebbe potuto dirlo assolutamente ad ovest.
Il S. Biagio nella sua ultima parte giace bensì a Sud delle mura, ma per una lunghezza doppia sta ad oriente e per un tratto triplo agli orienti estivi, e non saprei capire neanche, perché sia stato indicato per la sua parte minore e non per la parte centrale, che sarebbe l’oriente.
E transeat per il S. Biagio, che ha un tratto rivolto a mezzogiorno, e non ne ha nessuno verso occidente; ma il Drago (il preteso Ipsas che scorre tanto a Sud come ad Ovest della città) perché si deve dire rivolto solo verso i tramonti ?
Sia per l’uno come per l’altro dei nostri due torrenti, l’accenno di Polibio non sarebbe chiaro né preciso; per cui un senso di riguardo verso lo storico autorevole ci deve consigliare a non essere corrivi nell’addebitargli false indicazioni, e tanto meno errori
Ricerche per la identificazione dei fiumi
1. Per stabilire con sicurezza quali erano i fiumi che scorrevano nei pressi dell’antica città, credo necessario chiarire :
a) Quale fu la città voluta dai fondatori.
b) Quale numero di cittadini essa ospitava nel tempo della sua maggiore potenza.
c) Se in quei tempi di prosperità essi abbiano sentito bisogno di uscire dai confini stabiliti, e fondare nuovi quartieri o nuovi sobborghi.
d) Ed in questo caso, quali sono oggi i fiumi, che scorrevano vicini all’antica città ed ai suoi sobborghi, e quali i nomi da attribuire ad essi in guisa da mettere d’accordo Polibio con gli altri scrittori antichi.
Dico mettere di accordo, in quanto, a ben riflettere, una contradizione stridente pare esista nei loro accenni e nelle loro descrizioni; mentre il solo Polibio dice Agrigento posta tra due fiumi, tutti gli altri compreso l’agrigentino Empedocle, Diodoro Siculo e Pindaro, che fu alla corte di Terone la mettono in riva al fiume, a quello che le avrebbe dato il nome.
Come si spiega che Empedocle, Diodoro e Pindaro non fecero cenno dell’Ipsas ?
2. Intorno al primo quesito; quale fu la città voluta dai suoi fondatori; non aggiungerò parola a quanto ho esposto parlando del giro delle mura.
I due quesiti successivi: quale fu il numero dei cittadini nei migliori tempi di Agrigento, e se gli stessi poterono albergare comodamente entro l’ex feudo Civita, ovvero se si fabbricassero dei sobborghi confacenti al loro numero ed ai bisogni di quei tempi, queste due quesiti mostrano chiaramente che il mio sistema di ricerche è stato diametralmente opposto a quello tenuto dagli eruditi. Costoro hanno cominciato dall’identificare i fiumi mentovati da Polibio per arrivare a stabilire l’ambito della città, e senza accorgersene sono riusciti a crearsi le muraglie della Cina, dalle quali non era lecito uscire. Per essi Agrigento doveva giacere nell’altipiano posto fra i nostri S. Biagio e Drago; e siccome quel locale è unico e indivisibile, ne viene la conseguenza poco verosimile, che la città dovette conservare sempre quella estensione tanto al tempo della fondazione, come nei tempi felici, e poi nella miseria.
A me, invece, è sembrato più ragionevole distinguere codeste fasi della nostra città, e giudicare se al tempo della maggiore potenza, avuto riguardo al numero dei cittadini dei metici e degli schiavi, alle industrie ed al commercio fiorenti, alle ricchezze, alle grandiosità ed al lusso conseguenti alla nomea di più bella città dei mortali acquistata per indagare se in quelle condizioni la popolazione abbia potuto abitare dentro i confini assegnati alla città due o tre secoli prima dai fondatori, ovvero se sia stato sentito il bisogno di uscire da quella cerchia per trovare sedi più confacenti ai tempi nuovi.
Dopo di avere stabilito fin dove si sia estesa la città, la ricerca e la identificazione dei fiumi diventano cosa molto agevole.
Come si vede adunque, mentre gli scrittori moderni cominciano dall’identificare i fiumi per arrivare al giro delle mura della città, io seguo il cammino opposto, ed intendo dimostrare qual era l’estensione della città e dei suoi sobborghi, per arrivare ai fiumi che ne lambivano il territorio.
Note
- Deca I Lib. VI
- Deca I Llb, I cap. VI Nari flum, ostium. Kipsas, Ptolom. et Polyblo,
- Lexicon topographicum Sicillae – alla voce Acragas
- Op. Cit. p.20
- V. vocabolario greco di Scenki ed Ambrosoli
- Tutti gli scrittori di cose Agrigentine indicano i nostri terreni con i soli nomi di Drago e di S. Biagio: per evitare la possibilità di equivoci seguito a chiamarli pure cosi, osservando però che il nostro popolo attribuisce all’uno e all’altro molti nomi diversi, tolti dal nome delle contrade attraversate; il primo è chiamato comunemente fiume di Montaperto e fiume di S. Anna; e il S Biagio, il fiume di Favara. Aggiungo che dal punto di confluenza alla foce essi hanno uno nome solo: fiume di S. Leone e nel linguaggio sono considerati come un fiume solo: fiume di Agrigento e di s. Leone; specie poi quando si deve distinguere dall’altro fiume del nostro territorio : fiume di Naro.
- Dal ponte sull’Acragas in su, fino al piano soprastante sulla destra del fiume, la contrada si chiama « Salita dei Tribunali Non so spiegarmi il perché del nome e neanche fare una congettura plausibile.
Michele Caruso Lanza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Girgenti, 1931, pp. 82-91