
Nessuno scrittore antico parla in modo esplicito di una acropoli, nel senso militare di rocca o fortezza in Agrigento, neanche a proposito dei vari assedii sostenuti dalla citta, dove sarebbe stata la sede opportuno per farne menzione; e lo stesso Diodoro, il quale descrive in modo particolareggiato le cose, e specialmente il primo assedio ad opera dei Cartaginesi, non ne fa cenno.
Gli scrittori moderni però ne affermano l’esistenza, e la pongono alcuni sulla Rupe Atenea, altri sul colle di Agrigento, nei pressi della cattedrale. Però né sopra l’una nè sopra l’altra località si riscontrano tracce di un’antica fortezza; e le opere militari o di difesa non si cancellano tanto facilmente a cagione della loro importanza; onde, se non se ne riscontrano, non ve ne furono fatte.
Ora in base all’una ed all’altra costatazione: alla mancanza di testimonianze scritte cioè, e di prove materiali, io mi credo autorizzato a ritenere che Agrigento non abbia mai avuto un’acropoli – fortezza, e ciò anche prima di venire ad un esame minuto dell’argomento.
2. E non soltanto se ne dà l’esistenza come cosa certa; ma alcuni hanno saputo assegnarle il posto con tale sicurezza da destare meraviglia. L’ Holm, sul riguardo fa un giuoco di parole, che ha l’apparenza di una petizione di principio : « Sino ad ora non si è abbastanza chiarito questo punto, che, cioè, i dati di Polibio non permettono di collocare l’acropoli dove sorge l’odierna Agrigento » —
Ebbene, direi all’Holm, se i dati di Polibio non lo permettono, la cosa più naturale, sarebbe quella di non collocarvela. Ma egli aggiunge : « Per ciò, ammesso che l’odierna città corrisponda all’Acropoli (ecco il circolo vizioso) non è stabilito se Polibio abbia preso un errore, ovvero se vi sia un’alterazione nel testo….. » (1).
Lo Schubring si esprime in modo ancora più reciso : « Se si obbietta che Polibio col suo accenno a Nord – Est per lo appunto volesse indicare detta Rupe (Atenea), noi rispondiamo : o cadde egli in errore, o nel testo devesi cor-reggere ανατολας in δυθεις cioè si deve fare di Nord-Est « in Nord – Ovest » (2).
Secondo l’Holm e lo Schubring, la città di Agrigento ebbe un’acropoli-cittadella, la quale dev’essere collocata sulle alture del colle di Agrigento, checché se ne possa pensare in contrario, e se Polibio dice diversamente, devesi ritenere, che ci sia errore di lui o dei copisti, poco importa, ma l’errore ci deve essere perchè, la cittadella sorgeva nel sito della moderna Agrigento.
3. La prima domanda a fare per venire a capo di questo problema è la seguente : Ma è poi vero che Polibio parli di un’acropoli in Agrigento ?
Prima di ogni altra osservazione noto che le due parole, ond’è formato il nome di acropoli, siano separate ακρα πολις ovvero riunite : ακροπολις in principio non ebbero altra significazione che quella letterale di parte alta di una città, ed il significato specifico di rocca o fortezza appartiene ad un periodo di tempo posteriore; pertanto anche nella ipotesi che nel testo si trovassero adoperate le parole riunite ακροπολις non potremmo tirarne la conseguenza che Polibio abbia inteso accennare sicuramente ad un’acropoli nel senso moderno della parola.
Nella specie però basterà fermare la nostra attenzione alla frase di quello storico per far cadere completamente ogni illusione in proposito : le parole non sono né ακρα πολις
nè ακροπολις, intorno al cui significato almeno si potrebbe discutere, ma queste altre η δ΄ακρα της πολεος (sottinteso ακραγαντινον) le quali non ammettono il significato equi vico sopra cennato, ma si debbono tradurre esclusivamente la parte alta della città degli Agrigentini.
η δε ακρα significa la parte alta, a monte, της πολεος , della città. Questo solo dice Polibio, e non si può tradurre diversamente. Che Agrigento infatti abbia avuto una parte alta dentro il circuito delle mura nella Rupe Atenea è cosa che si vede, e non ha bisogno di veruna giustificazione. La frase adunque corrisponde esattamente alla condizione dei luoghi, e non deve lasciare dubbio intorno al suo significato. Ora il parlarci della parte a monte della città non ci autorizza a correre con la nostra mente sino a supporre una fortezza della medesima.
Più spesso di quanto non si creda avviene il caso indicato da un proverbio inglese: « Ciò che si è visto sempre, non si è visto mai» e le parole di Polibio, di significato tanto chiaro, non sono state mai prese in considerazione proprio da coloro i quali si riportano alla testimonianza di lui per sostenere una tesi che chiamerei preconcetta.
4. Vediamo che cosa dicono altri scrittori sull’argomento:
Anche Diodoro accenna ad un luogo elevato, sovrastante alla città di Agrigento senza dargli affatto il battesimo di arce, ed ha fatto cosa gratissima a noi Agrigentini a conservarcene il nome: quattrocento anni prima dell’era volgare cioè quell’altura veniva da lui chiamata « Collina Atenea ».
L’episodio, a proposito del quale egli riferisce quel nome, è il seguente: Al tempo del primo assedio – 406 a. C. – gli Agrigentini assoldarono millecinquecento Campani, di quei soldati di ventura che avevano militato con Annibale contro di essi, e che poi, naturalmente, tradirono pure i nuovi padroni.
Quei Campani furono collocati su di una collina sovrastante alla città chiamata Atenea, e che era di comodissima situazione (3).
Ebbene neanche questo passo si riferisce ad un’acropoli — fortezza degli Agrigentini — non dice che i Campani furono alloggiati sulla cittadella; ma soltanto sul colle, che giace al di sopra della città e che si chiama collina Atenea.
La stessa osservazione possiamo fare intorno all’epigramma di Empedocle: Acrone, cioè, vuol essere seppellito «non già sulla rocca, ma sulle alture del colle dirupato della sua altissima patria».
Insomma, Polibio, Diodoro, Empedocle, e con essi tutti gli altri scrittori antichi, non solamente non ci parlano in modo esplicito di un’acropoli, fortezza in Agrigento, ma non ci narrano neppure alcun episodio, dal quale si possa ricavare tale concetto anche in modo implicito.
Ed a rifletterci sopra, la cosa mi pare molto naturale.
In genere noi troviamo una cittadella presso le città fabbricate in un sito indifeso o quasi, e che abbiano posseduto un locale vicino ed opportuno; generalmente un colle sovrastante, dal quale derivano i nomi di acropoli, arce, rocca. I cittadini nella previsione di un attacco nemico, pensavano a costruire un rifugio sicuro, e lo fortificavano rendendolo inespugnabile. Ebbene, Agrigento non poteva sentire questo bisogno a cagione di quelle maxima moenia, che la rendevano una fortezza inespugnabile per conto proprio.
Polibio diceva infatti che « la città degli Acragantini «differisce dalle altre più grandi città… per la sua massima fortezza…suo perimetro. … è ben munito a preferenza di ogni altro, imperocché il muro di difesa le gira attorno sopra una rupe tagliata dall’alto in basso»
Ora, in quelle condizioni qual bisogno poteva sentirsi di una cittadella ? — Quale muro sarebbe stato più insormontabile della roccia, che gira attorno all’ex feudo Civita?
6. Faccio notare poi, che, ove mai gli Agrigentini avessero voluto una rocca, non avrebbero potuto scegliere per tale oggetto la collina di Agrigento, anzi il sito della nostra cattedrale, perché inadatto. All’uopo (ripeto cose dette) una collina diversa, lontana almeno quattro chilometri dalla parte centrale dell’antica città, separata da un profondo avvallamento: Il taglio di Empedocle, così brusco e impraticabile, (come ho dimostrato nel Cap. 5°) ci rende certi che le vie di comunicazione fra la città e la pretesa cittadella sarebbero state molto difficili. Anzi, aggiungo quest’altra riflessione a contrariis : se fosse stata l’acropoli sulla nostra collina, gli Agrigentini ed Empedocle non avrebbero mai pensato a quel taglio, che l’avrebbe resa inservibile all’uso.
Osservava bene su tale riguardo il nostro concittadino avv. Gabriele Dara in una lettera all’avv. Picone: «supporre la fortezza a S. Gerlando e la città nel cuore della tenuta Civita è un non senso, come concetto militare e di difesa, imperocché sarebbe bastato un semplice picchetto di soldati nemici collocato nel mezzo delle due colline per intercettare ogni comunicazione fra la rocca e la città » .
Ed in fine un’osservazione di fatto: La cittadella situata sopra il colle di Agrigento avrebbe avuto un muro di difesa nella roccia, che va dal lato di Nord – Est a Nord – Ovest, e sarebbe stata egualmente sicura e inespugnabile dalla parte orientale col taglio di Empedocle; ma poi sarebbe rimasta completamente scoperta e indifesa nei lati di mezzogiorno e di ponente. Nè si dica, che vi dobbiamo supporre delle mura di fortificazione adatte, perchè ad uno studioso non è lecito di supplire con la fantasia a quello, che manca sui luoghi; ed in via di fatto dalla Nave all’Addolorata, dalla estremità Est alla estremità Ovest di Agrigento, corre la distanza da due a tre chilometri, ed in tutto questo lungo tratto non si osservano né tagli sulla roccia né quei bastioni, che sarebbero stati necessari per chiudere l’ambito di una cittadella. Lo stesso Schubring, che pur sostiene essere stata qui l’acropoli degli Agrigentini si chiede ;« o perchè non iscavarono nella parte orientale, od occidentale, o meridionale dello stesso grande scavo per rendere cosi ancor più inespugnabile l’Acropoli? » (4).
Vi ammiriamo bensì mura e torri, ma non di costruzione greca; sono opere medioevali dovute ai Chiaramente, come viene dimostrato dallo stemma scolpito in una torre. Pertanto coloro che suppongono l’Acropoli agrigentina sul colle di Agrigento, non si accorgono della contraddizione, in cui cadono, immaginando una cittadella difesa da uno o due lati, e completamente scoperta dagli altri, e che una tale località indifesa sarebbe stata la fortezza, ed il luogo di rifugio da parte di cittadini di una città eminentemente fortificata.
In fine riferendomi anche io allo stesso episodio notato dallo Schubring : Diodoro narra la presa della città ad opera dei Cartaginesi; Gellia osservando la crudele empietà di quei barbari, che non risparmiavano cose sacre né profane, si ritirò sul tempio di Atena e vi appiccò il fuoco. Ebbene, se Agrigento avesse avuto una rocca, Gellia ed i miseri cittadini che lo seguirono, si sarebbero ritirati sull’acropoli a tentare l’estrema prova, e Diodoro ne avrebbe fatto menzione.
Le osservazioni fin qui fatte credo sieno sufficienti a sfatare la credenza intorno all’acropoli — cittadella ed al suo sito.
7. Lo Schubring non solamente sostiene che « . … la cittadella di Acragante giaceva là dove ora giace l’odierna Agrigento» …. ma coerente con sé stesso tira una conseguenza da questo, che ritiene fatto certo; ma come erronea la premessa, egualmente erronea è la conseguenza : « La cittadella di Acragante giaceva là dove ora giace l’odierna Agrigento. Essa aveva oltre l’appellativo di Acropoli ancora due nomi: il primo Atabirio, il secondo Collina Atenea. Il nome di Collina Atenea (ben s’intende) proveniente dal tempio di Atena, che secondo Polibio giaceva sull’Acropoli, è recato da Diodoro». (5)
In altri termini il concetto dello Schubring è questo: Secondo la testimonianza di Polibio il tempio di Atena in Agrigento giaceva sull’Acropoli, tutta la contrada prese il nome del tempio, che vi fu eretto, e — testo Diodoro — venne chiamata Collina Atenea. E poiché il tempio di Atena è quello sopra del quale venne fabbricata la chiesa di S.Maria dei Greci, se ne deve trarre la conseguenza che il nome di Collina Atena, non più alla nostra Rupe Atenea deve appartenere, ma al Colle di Agrigento.
La questione cosi come viene prospettata dallo Schubring interessa a noi, non solamente per determinare quale delle due colline costituiva la pretesa acropoli agrigentina, ma altresì per sapere quale veniva chiamata allora col nome di Collina Atenea. Sono questioni connesse, o perciò quando noi avremo dimostrato quale era Collina Atenea, ne tireremo la doppia conseguenza, che ivi era il tempio di Atena la pretesa Acropoli di Agrigento.
Pertanto riesce doveroso a chi si occupa della topografia della nostra antica città risolvere tale quesito.
8. Il luogo di Polibio, più volte ricordato, reca che sulle alture della città di Agrigento, secondo la mia versione, sull’acropoli, secondo la opinione altrui, erano i tempi di Giove Atabirio e di Atena Lindia. Spiegherò in seguito le ragioni, per cui ritengo che quei due tempii siano stati eretti dai primi coloni venuti dagli stessi fondatori della città. Polieno intanto attribuisce a Terone la costruzione del tempio di Atena : nella narrazione di lui pare addirittura che ci sia un equivoco in quanto che viene attribuito a Terone lo stesso stratagemma usato da Falaride per usurpare i poteri dello stato; ad ogni modo, sia che il tempio di Atena appartenga all’epoca della fondazione della città — circa il 600 a. C. —ovvero ai tempi di Terone — circa il 490 — certa cosa è che fin dall’ epoca in cui esso venne consacrato a quella dea, tutta la collina ne prese il nome, infatti ci dice che ai tempi di lui, (che visse intorno al secolo di Augusto, e quattrocento anni prima, del primo assedio dei Cartaginesi) il colle, sopra del quale si ergeva un dì il tempio di Atena, portava il nome di Collina Atenea. Questa constatazione ci dimostra che quel titolo si infisse tanto profondamente alla nostra Rupe, divenne così caro ai cittadini antichi, ed ai moderni, che passati già duemila e cinquecento anni, il nostro popolo continua a chiamarla la Rupe Atenea, con-servando il nome greco, senza cambiarlo neppure con quello della corrispondente divinità latina (6); e non mi pare che una tradizione di venticinque secoli si possa cancellare facilmente con un tratto di penna.
Lo Schubring non dà importanza a tale tradizione; ed io richiamerò i vari passi degli scrittori antichi sopra riportati per metterne in evidenza i contrassegni, e giudicare così, se Diodoro parlando del Colle Ateneo abbia inteso accennare alla nostra Rupe Atenea, ovvero alla collina sopra alla quale siede la moderna Agrigento.
9. Polibio e Polieno ci fanno sapere che i due tempii di Giove Atabirio e di Atena Lindia furono eretti sulle alture del luogo scelto per la nuova città. Nei primi anni dunque
della fondazione, in memoria dei numi venerati nella madre patria essi dovevano costituire il luogo in cui i cittadini si sarebbero raccolti per mandare la loro comune preghiera al dio della patria lontana; e non sembrerà vero simile, che abbiano fabbricato le loro case e i luoghi pubblici prevalentemente da S. Nicola al tempio di Giunone e al tempio di Giove Olimpio, e poi abbiano pensato di erigere i tempii dei numi più cari sopra una collina diversa, lontana e separata da un burrone.
10. Secondo Diodoro il luogo assegnato ai Campani deve portare questi due contrassegni: a) Essere un colle sovrastante alla città; e tale condizione non si può assolutamente riscontrare nel colle di Agrigento, ma si bene a Nord – Ovest delle mura.
b) Ed il luogo assegnato ai Campani doveva essere di comodissima situazione nei rapporti con la città assediata ed appunto dalla Rupe Atenea, e non dal sito della nostra cattedrale, il presidio campano poteva accorrere sollecitamente in aiuto di qualunque parte delle mura, che fosse stata minacciata.
11. Polibio e Diodoro ci danno il contrassegno specifico del posto occupato da tale collina, era sovrastante alla città, secondo l’uno, era la parte alta della città degli Acragantini, secondo l’altro scrittore. Tale testimonianza concorde trova riscontro nel citato distico di Empedocle; nell’ardua Acragans di Virgilio; e nella città ben posta sovra il colle di Pindaro.
« più bella città dei mortali
ben posta sovra il colle
in riva all’erboso Acragante ».
Ebbene Pindaro parla di una collina ben costrutta, ben piantata —le parole sono ευδματον κολωναν, nel numero singolare — esse ci dicono esplicitamente che la collina sulla quale sorgeva la più bella città dei mortali, era una, una sola, e se Agrigento avesse occupato tanto l’una come l’altra collina, la Rupe Atenea ed il sito dell’odierna Agrigento, Pindaro non avrebbe potuto usare il singolare, ma il duale ed anche il plurale.
13. Diodoro ci ha conservato il nome di quella collina, e Polibio ne indica il punto di orientamento: essa giace agli orienti estivi; ed a Nord – Est dell’ antica città si erge maestosa la Rupe Atenea; si che l’Holm e lo Schubring pretendono che in quel passo ci sia un errore.
14. Polibio in fine ci dà un contrassegno caratteristico : la parte alta della città degli Agrigentini dal lato esterno è circondata da inaccessibile precipizio. In ciò concorda precisamente con Empedocle; l’uno e l’altro anzi usano espressioni accentuate accennando a baratro, voragine. Ora questo precipizio o baratro esiste al di là della Rupe Atenea, specie dal lato di Nord-Ovest., e chi si affaccia di là sopra (salvo che non sia un aviatore) si sente colto da vertigini. Non si può dire altrettanto del colle di Agrigento.
15. Per conchiudere: Solo a guardare i luoghi si deve giudicare che Agrigento non sentì il bisogno di una cittadella, perché la natura del sito ove essa sorse, la rendeva tutta quanta una fortezza inespugnabile. Il sito indicato dalla moderna erudizione, sarebbe stato inadatto, perché scoverto ed indifeso; e nelle vie di fatto non presentando tracce di antiche fortificazioni, dimostra che la relativa supposizione è arbitraria.
Fra le due località sarebbe stata più adatta la Rupe Atenea; ma neanche qui si rinvengono avanzi di antiche apposite fortificazioni; e poi essa non poteva meritare il titolo di cittadella, come noi la intendiamo perché non costituiva un corpo a sé, separato dalla città, ma era situata e compresa dentro le mura di cinta della città stessa, e quindi facente parte della medesima: ecco perché Diodoro la chiamò semplicemente la collina Atenea soprastante alla città; Polibio la parte alta della città degli Acragantini, ed Empedocle l’alto colle dirupato della sua altissima patria.
Infine nessuna testimonianza degli antichi scrittori né implicita né esplicita ci parla di un’acropoli cittadella in Agrigento; ed in tali condizioni il volerla supporre ad ogni costo significa un lavoro di fantasia anzicchè un’opera di oculate ricerche.
Agrigento non ebbe un’acropoli — cittadella, ma una parte alta, a monte della stessa città.
Note
- Holm, Storia di Sicilia nell’antichità, traduzione Lago e Graziadei, p 286
- Schubring, Topografia storica di Agrigento, traduzione Toniazzo, pag. 75.
- Biblioteca storica di Diodoro Siculo volgarizzata dal cav. Compagnoni, Lib XIII Cap XVI — Quelle parole sono nella traduzione del Compagnoni.
- Sulla topografia d’agrigento del Prof. F.S. Cavallari; lettera dell’avv. Gabriello Dara al Cav. Giuseppe Picone, Girgenti, 1883, pag. 43.
- Op. cit. pag. 77.
- Spesso mi sono domandatoli perchè di questo fenomeno Tutti i nostri tempi sono indicati col nome di una divinità latina: di Giove, di Giunone, di Cerere e Proserpina, di Ercole e di Esculapio: ed il nome di una divinità greca e rimasto soltanto alla Rupe Atenea; ed ho creduto di trovarne la spiegazione nel susseguirsi delle vicende politiche della nostra città messe in rapporto con la religione dei nostri padri antichi.
Quando Agrigento cadde sotto la dominazione romana Zeus ed Era, Demeter e Core, Heracle ed Asclapos, (come si trova scritto in una moneta agrigentina) dovettero subire un cambiamento di nomi, pur restando le medesime divinità, per assumere la forma latina, ed essere chiamati Giove, Giunone, Cerere, Proserpina, Ercole ed Esculapio e cosi ininterrottamente da allora sino a noi. Al tempo delle conquiste romane però il tempio di Atena non esisteva più, perché Gellia lo aveva distrutto dalle fondamenta un secolo e mezzo prima, il nome della dea pertanto non aveva ragione di subire la trasformazione imposta dalla religione del vincitori, ed essere latinizzato. Il titolo di Atena poté adunque essere conservato soltanto perché divenuto nome di luogo, nome di una contrada: e la religione non aveva più cosa vedere in esso. Il nome di quella dea cioè non aveva più ragione di subire il cambiamento imposto dai vincitori Romani ai Greci vinti ed ai loro iddìi
Michele Caruso Lanza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Agrigento, 1931, pp. 70-82