Origine e sviluppo di Agrigento
1. Agrigento fu fondata da una colonia mandata da Gela sotto la scorta di Aristonoo e Pistilo cento e otto anni dopo la nascita di questa città, così afferma Tucidide (1).
Il nostro Picone, però, la mette nel 583 (2) e lo Schubring intorno alla cinquantesima olimpiade, che significherebbe verso il 576 (3).
A me sembra più conveniente non assegnarle una data precisa, non solamente per ragione pratica che nelle cose
tanto antiche si deve sempre dubitare dell’esattezza aritmetica delle cifre salvo che non si tratti di fatti eclatanti, ma anche per una regione speciale relativa alle origini della nostra città. Dirò nel Cap XXVIII che Agrigento venne a sovrapporsi e ad occupare l’area di una città preesistente, abitata dal popolo primitivo, e che nel territorio circostante, vicino e lontano vi erano numerosissimi villaggi sicani.
La colonizzazione dell’America c’insegna che un popolo, specie se ancora selvaggio, non si rassegna facilmente a cedere altrui le proprie sedi e luoghi sacri ai propri uomini, e le tombe dei propri padri. Prima che i nuovi coloni si fossero, stanziati tranquillamente nel territorio di costoro, ed indisturbati avessero gettato le fondamenta della grande città, del tempo ne sarà passato certamente. Per l’uno e per l’altro motivo, adunque mi sembra prudente non assegnare un anno preciso alla fondazione di Agrigento, ma collocarla in un periodo di tempo un po’ più largo : dai 600 al 580 a. C.
2 Secondo Tucidide, Agrigento fu fondata da una colonia mandata da Gela, la quale alla sua volta aveva avuto origine da una colonia di Rodi e Cretesi.
Ma non si dice se i fondatori di Agrigento siano stati i soli discendenti della colonia rodia di Gela, ovvero se assieme agli stessi siano venuti per tale oggetto altri Rodi e Cretesi chiamati appositamente dalla madre patria. Il dubbio è nato nella mia mente nell’osservare che lo stesso Tucidide, nell’orazione di Nicia, chiama addirittura Rodi gli Agrigentini.
Sul riguardo osservo che il passo di Polibio più volte ricordato reca che sulle alture, o acropoli che dir si voglia della città di Agrigento, erano stati innalzati i tempii di Giove Atabirio e di Atena Lindia; e precisamente due tempii famosi dedicati alle medesime divinità esistevano nell’isola di Rodi, uno anzi, quello di Giove Atabirio si poteva considerare pure come un ricordo dell’isola di Creta (4).
Ebbene, i tempii eretti a quei numi dai nuovi coloni mi fanno ritenere, che essi stessi provenivano direttamente da quelle isole, imperocché l’affetto per la terra natia, il ricordo della patria lontana, la nostalgia, sono più vivi e più intensi presso coloro, che emigrano, anziché presso coloro i quali nati e cresciuti in un paese conoscono la loro origine di cento e più anni prima soltanto per tradizione. Basta dunque la presenza dei tempii dedicati a due divinità speciali dell’isola di Rodi per lasciarci intuire che i medesimi furono opera degli emigranti, diretti, e non dei figli dei loro figli.
3. Agrigento ebbe non umili natali, imperocché, il solo fatto, che Aristonoo e Pistilo determinarono di fermare le loro sedi in queste contrade, dimostra, che intesero servirsi delle balze sopra descritte come mura di cinta della loro città, che le assegnarono tutto il territorio dell’ex feudo Civita come area sulla quale svilupparsi, che di proposito gittarono le fondamenta di una grande città.
Date le condizioni favorevoli di tempo e di luogo in cui essa fu fondata, il suo sviluppo fu rapidissimo, salvo che poi cadde, risorse e giacque.
Già nel Cap. I ho parlato delle felici condizioni di luogo in cui la nuova colonia venne a trovarsi, ed ora farò qualche rilievo intorno alle condizioni di tempo. Tale indagine è necessaria sotto doppio aspetto, per risolvere il quesito propostomi; se mai vi fu epoca in cui la popolazione di Agrigento abbia sentito il bisogno di espandersi e crearsi dei sobborghi nelle vicinanze della città: ed altresì per indagare se mai qualcuno di tali sobborghi abbia avuto tale importanza da meritare il titolo di Neapoli Agrigentina,
Di questo secondo argomento mi occuperò nel Cap. XXIV del presente lavoro; per ora mi limito alla parte generale.
Sul riguardo seguirò un criterio diametralmente opposto a quello tenuto dallo Schubring; riporto anzi testualmente le parole di lui per dimostrare quanta poca consistenza abbia il suo ragionamento:
« ed è davvero incomprensibile, che tenuto conto del vasto circuito di circa dieci chilometri del breve tempo di sua potenza e splendore, e delle ripetute distruzioni, abbia sentito il bisogno di una Neapoli…. Ed ancora più chiaramente si esprime Plutarco là dove dice che « Timoleone dopo la battaglia al fiume Crimiso nell’anno 338 ripopolò Gela ed Agrigento, città distrutte dai Cartaginesi nell’anno 406. Quindi se appare chiarissimo che nello spazio di tempo tra l’anno 406 e il 338 la vecchia città era ridotta ad una meschina popolazione, come avrebbe essa potuto dare il contingente per una nuova? » (5).
L’illustre Professore parla di un perimetro di 10 chilometri computandovi certamente, giusta il suo concetto, tutto il colle di Agrigento, mentre io ho dimostrato che questo non faceva parte dell’antica città. Mette in rilievo la condizione miserevole di Agrigento dopo la sua prima distruzione e per tutto il tempo della dominazione dei Cartaginesi e dei tiranni di Siracusa; e si capisce bene che mentre essa aveva bisogno di aiuti e di cittadini, non potevano pensare a crearsi altre sedi. In una parola, lo Schubring ferma sua attenzione nel periodo funesto della storia di Agrigento, che va dalla presa della città alla venuta di Timoleonte;
mentre io credo di dover tenere maggiormente l’occhio al periodo precedente il quale non fu poi tanto breve, come egli dice, ma di due secoli e specialmente al tempo che seguì la battaglia di Imera ed anche a quello successivo alla venuta di Timoleonte. Furono quelle le epoche del vero splendore e della massima potenza di Agrigento, in cui cittadini e meticci cresciuti di numero, ricchi e desiderosi di agi e di grandiosità, poterono pensare ad uscire dai confini della vecchia città.
4. Lo sviluppo delle colonie greche in Sicilia nell’ottavo e settimo secolo a. C. attinse proporzioni mai raggiunte altrove, e che – a ben considerare – sembrarono addirittura favolose. Ogni città a capo di cinquanta o cento anni dalla sua fondazione acquistava tanto numero di cittadini e tante ricchezze da poter trarre dal proprio seno intere colonie e dar vita ad altre città.
Altrove fu spesso la fame che costringeva i popoli ad emigrare; in Sicilia invece era l’eccesso della forza e della vitalità, più ancora il miraggio della fortuna conquistata dalle precedenti colonie col commercio: sicché volentieri essi si determinavano a cercare sedi opportune per esercitarvi la mercatura in più larga scala. Nasso fondò Lentini e Catana; da Cuma ebbe origine Zancla, la quale alla sua volta fondava Mile ed Imera. Megara Iblea fondava Selinunte, Gela Agrigento, a la potente Siracusa nei suoi primi tempi erigeva Acre, Casmena, Camarina ed Enna (6) e nei secoli successivi poi (per non parlare delle cose di Sicilia) ebbe la velleità di conquistare tutto l’Adriatico, ed a tal uopo ripopolò molte città deserte ed altre ne fondò addirittura, come Ancona e Lisso, e piantò colonie in tutta la costa dalmata (7).
Probabilmente dalla colonizzazione siracusana trae la sua origine l’italianità della Dalmazia.
Pertanto, non sembrerà incredibile, che i fondatori di Agrigento, sotto ai cui occhi avvenivano quei prodigi, abbiano voluto creare una grande città quale richiedeva l’importanza commerciale del luogo scelto.
5. Nei primi anni della sua esistenza Agrigento ebbe un incremento di popolazione straordinario: Telemaco da Samo con una colonia di Tebani della Beozia venne a porvi sede. In questa guisa solamente si può spiegare come mai venti o venticinque anni dopo la sua fondazione, secondo il Picone (8) e certamente durante il regno del suo primo tiranno, la città potè dar vita a due castelli: l’Ecnomo ed il Falario (9).
Ed oltre alla colonia dei Tebani, fin dai suoi primordi un gran numero di meticci affluirono in Agrigento: erano coloro, che allettati dai grandi guadagni, dati dall’esercizio del commercio venivano a domiciliarsi qui da lontane regioni ed altresì da coloro, che vi erano attirati dal lusso e dallo splendore della grande città. Anche oggi avviene che nei grandi centri vanno a stabilirsi commercianti ed industriali, e quelli che avendone i mezzi, vogliono godere la vita. Senonchè, i nuovi abitatori, venuti in colonie acquistarono subito il diritto di cittadinanza e difatti Telemaco, il condottiero dei Tebani, ottenne il supremo magistrato in Agrigento; mentre quelli che vennero alla spicciolata, i melici, rimasero sempre estranei al governo della cosa pubblica (10).
Note
(1) Lib.VI
(2) Picone , Memorie Storiche Agrigentine.
(3) Op. cit. pag. 48
(4) Danao, fuggendo dall’Egitto con le sua cinquanta figlie, fu accolto benignamente in Lindo, città dell’isola di Rodi, e per dimostrare a quel cittadini la sua riconoscenza vi fondò il tempio di Atena Lindia del quale esistono tuttora gli avanzi.
Altemene, re di Creta, passato a Rodi per seguire il suo destino, vi elevò il tempio di Giove Atabirio sulla vetta del monte Atabirio, dal quale si poteva abbracciare con lo sguardo l’isola di Creta.
Cosi Diodoro —Llb. v. – Gap. xx e xxui – e Plutarco —Vita di Marcello Cap. xxiv.
(5) op. ctt pag. 23 e seg.ti.
(6) Tucidide – Lib. VI.
Marciano Eracleota « Descriptio Orbis Terrarum» -vedi Torramuzza « Siciliae et dejacensium insularum veterum inseriptionum nova collectio » Prolegomena pag. XVIII.
« Chalcidenses
«Condiderunt Naxum, Megarenses vero Hyblam,
At quod Italie a Zephiro dejacet Dorienses
Occuparunt. Has Archias adsumens
Conrinthius cura Doriensibus condidit eas,
Quae a contermino Stagno accepere nomen
Nuncque Syracusae ipsis dicuntur.
Post haec e Naxo Leontini et
Quae ex adverso Rhegii sita est
Ad fretum hoc Siculum
Zancle, Catana, Callipolis accepere Colonias,
Rursus vero ab bis duae Urbes Euboea
Et Milae dictae, conditae fuerunt.
Dein Himera, et contermina Tauromenium :
Sunt igitur omnes hae urbes Chalcidenses.
Nunc Doricas etiam enarrare oportet.
Megarenses Selinuntem, Gelenses autem condiderunt Agrigentum. Messanam vero Jones ex Samo;
At Syracusani eam, quae Camarina dictur …. »
(7) Diodoro Lib. XV Cap. III e IV.
(8) Llb. vi.
(9) Picone, Mem. Stor. Agrigentine pag. 44.
(10) Plutarco – Vita di Dione – XVII e Diodoro- Lib XIX Cap. XVII
In Atene i meticci venivano chiamati gl’inquilini, come coloro che hanno il loro domicilio a pigione in casa altrui Per avere un’idea dello stato d’inferiorità in cui venivano tenuti cotesti inquilini nei rapporti coi cittadini, basterà osservare ciò che risulta dai fregi del Partenone di Atene. Vi sono scolpiti a bassorilievo le processioni sacre; ed in esse si vedono le mogli e le figlie dei meticci obbligate a camminare dietro le mogli e le figlie delle aristocratiche e portare ad esse l’ombrello per ripararle dal sole, e le sedie per farle sedere quando quelle volessero.
Michele Caruso lanza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Agrigento 1931, pp. 91-97