Negli anni compresi tra il 1816 e il 1826 l’Italia è coinvolta in una crisi economica europea assai grave e di vasta portata.
In Sicilia già nel Settecento il marchese Domenico Caracciolo e il principe di Caramanico, viceré borbonici, avevano ingaggiato una coraggiosa lotta contro il baronaggio e contro le persistenti strutture feudali, nel tentativo di alleviare le tristi condizioni di vita in cui si trovavano molti nel Regno.
In particolare Luigi de Medici, primo ministro sotto Ferdinando I, proseguì in questo tentativo abolendo ogni forma di fidecommesso e realizzando la vendita di una parte dei beni ecclesiastici e del patrimonio del demanio.
Tali misure però suscitarono la forte opposizione degli ambienti baronali più retrivi, in particolare in Sicilia. Questa può essere considerata una delle cause della partecipazione di tale ceto ai moti del 1820-21. Le nuove leggi favorirono inoltre l’affermazione della piccola proprietà e l’acquisizione di molti latifondi nelle mani della nuova borghesia.
Nel complesso nell’Isola (a parte qualche progresso nelle coltivazioni arboree) il sistema agrario dominante restò ancora per molto tempo quello agrario e maggese, senza rotazione dunque e senza alcuna sostanziale riorganizzazione del territorio. Intorno a questo periodo abbiamo pochi studi che esaminano le condizioni di vita economica in Girgenti e nella sua provincia.
Lo storico Giuseppe De Marzo dice che “l’estensione territoriale di Girgenti comprendesi in salme 15108,751 delle quali divise in cultura, 25,874 in giardini, 30,175 in orti semplici,2,511 in canneti, 657,536 in seminatori alberati, 10156,746 in seminatori semplici, 2991,638 in pascoli, 189,013 in vigneti alberati, 336,078 in vigneti semplici, 671,886 in terreni improduttivi, 5380 in suoli di case”. Secondo altre statistiche vennero coltivate salme 8188 nel 1840, 8581 nel 1841, 8581 nel 1842, 8743 nel 1843. Molto poco insomma rispetto alle 20265 salme che erano in grado di dare buoni raccolti in cereali (cfr. Calogero Ravenna, Giornalismo girgentino dell’800, dattiloscritto, presso biblioteca Pirro Marconi).
L’economista Molina ci ha lasciato un manoscritto, datato 1/8/1843, conservato presso l’archivio della Camera di Commercio di Agrigento in cui leggiamo: “Nessuno ignora che i prodotti della provincia di Girgenti sono esclusivamente relativi alla mineralogia, all’agricoltura ed alla pastorizia; e che la esportazione dei medesimi ne costituisce quasi tutto il commercio. Svariatissimi sono poi tali prodotti, al punto che poche località ne offrono forse un maggior numero; ed io, nel darne la seguente enumerazione, sono anticipatamente sicuro di ometterne diversi.
Comincio coi più importanti: zolfo, grano, mandorle, lana, semi di lino, orzo, fave, olio, pistacchi, cotone, vini, formaggi, soda, carrube, cantaridi, gomma, ceci, sommacco, riso, scagliuola, lenticchie, liquirizia, gelso, acciughe salate, pelli di capretto, ecc.
Oltracciò si rifletta che lo zolfo, come il grano si suddividono in molte qualità; che fra le mandorle vi sono le dolci e le amare, quelle sgusciate, e quelle che si lasciano in scorza; che la lana è bianca o nera; che il sommaco si vende in foglia o macinato.
E tali distinzioni, ed altre di cui non faccio parola, moltiplicano, in certo modo, i summentovati generi i quali sono tutti più o meno abbondanti. Con tante fonti di ricchezze, pare che Girgenti dovrebbe trovarsi in uno stato di prosperità ognor crescente; e che se si penetrasse nell’interno delle famiglie, si avrebbe a scoprire ovunque non solo il necessario alla vita civile, ma benanché il superfluo; e finalmente che l’esterno della città stessa dovrebbe respirare (se così posso esprimermi) un’aria di benessere”, ma purtroppo non era così.
Nel 1839 il governo borbonico cercò di porre rimedio alla miseria riconoscendo ai contadini il diritto di provvedere alla semina “con soccorsi di generi e di denaro da richiedere ai proprietari”, per favorire le colture estensive ed intensive del grano. Ma l’opposizione dei proprietari vanificò il provvedimento. Si è detto poco dell’artigianato e della pesca perché specie in questa prima metà del secolo sono ancora a conduzione familiare e assai lontane dal divenire piccole industrie organizzate.
Elio di Bella