Il memorabile assedio di Akragas del 406 a.C. è descritto soprattutto da Diodoro Siculo.
I Cartaginesi si accinsero all’assedio piantando in diversi luoghi due accampamenti. Prima di assalire la città proposero ai Siciliani una neutralità amica durante la conquista che intendevano intraprendere nell’Isola. Gli Agrigentini però rifiutarono e quindi Annibale e Imilcone, i generali punici, collocarono di fronte alle mura due torri e avviarono il loro tentativo di espugnare la città. Gli assediati però con una sortita riuscirono ad incendiare le macchine belliche e quindi Annibale ordinò di abbattere le tombe che si trovavano fuori le mura e di utilizzare il materiale di demolizione per costruire dei rialzamenti di terra in grado di pareggiare l’altezza delle mura.
Durante quei lavori però scoppiò una epidemia di peste e i Cartaginesi attribuirono il fatto ad una vendetta degli spiriti usciti dalle tombe distrutte. La peste colpì a morte lo stesso Annibale.
L’assedio comunque continuò e i Siracusani inviarono Dafneo in aiuto agli Agrigentini. L’esercito alleato era costituito da 30 mila fanti e 5 mila cavalli e ad esso si aggiunsero altri rinforzi inviati dalle altre città siciliane alleate.
Dafneo riuscì a sconfiggere ad Imera l’esercito che i Cartaginesi avevano spinto contro di lui per fermarlo prima del suo arrivo ad Agrigento. Gli Agrigentini appresero della vittoria degli alleati Siracusani e chiesero ai loro condottieri di organizzare una sortita per stringere i nemici di fronte e alle spalle. I comandanti agrigentini – forse perché si erano lasciati corrompere o per timore di lasciare indifesa la città – non accolsero tale invito e diedero cosi la possibilità ai Cartaginesi di far ritorno nei propri accampamenti da dove preparare la fuga. Il generale cartaginese Imilcone, infatti, temendo il prossimo arrivo dei Siracusani, si ritirò.
Gli Agrigentini accolsero con gioia Dafneo e invitarono ancora una volta i loro capi a dare battaglia, sfruttando il momento favorevole. Questa volta il rifiuto dei condottieri venne interpretato dalla popolazione come un atto di viltà e i quattro capitani agrigentini vennero lapidati. Solo il Lacedemone Desippo, capo supremo dell’esercito agrigentino, riuscì a conservare il suo posto.
Intanto, sull’altro campo di battaglia la situazione dei Cartaginesi si faceva di giorno in giorno sempre più difficile e pertanto Imilcone, avendo saputo che erano partite da Siracusa dirette ad Akragas delle navi cariche di vettovaglie, riuscì a fare intercettare la flotta carica di ogni bene e se ne impadronì. Furono così gli Agrigentini a trovarsi senza viveri e a soffrire la fame. La loro situazione si fece così disperata che alcuni cittadini e soldati passarono nel campo nemico e si consegnarono ai Cartaginesi, tra questi vi fu anche Desippo con parte delle truppe. Altri Agrigentini, scortati da Dafne, riuscirono a raggiungere Gela e Lentini e si salvarono dalla morte per fame.
Nel 406 a.C., nei primi di dicembre, Akragas cadde in mano ai Cartaginesi, che trucidarono quanti erano rimasti dentro le mura cittadine. Vi furono scene di indicibile disperazione. I Templi vennero profanati e incendiati. Della città non rimase che un cumulo di rovine.
Elio Di Bella