• Menu
  • Skip to right header navigation
  • Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina

Before Header

Agrigento Ieri e Oggi

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
CHIESA SAN CALOGERO

Guida di Agrigento: la chiesa di San Calogero

16 Gennaio 2022 //  by Elio Di Bella

Poco fuori Porta di Ponte, ad Agrigento, procedendo oltre i giardinetti con cui il colonnello borbonico Fleres volle decorare un secolo e mezzo fa l’ingresso della città, svetta la Chiesa dedicata dagli Agrigentini al Santo a loro più caro, l’eremita San Calogero, uno dei santi più amati e venerati nella Sicilia occidentale e in particolare in diversi centri dell’agrigentino (oltre al capoluogo, Sciacca, Naro, Porto Empedocle, Aragona in particolare).


Non molti edifici religiosi vennero costruiti nei secoli passati fuori dalle mura chiaramontane che circondavano la medievale Girgenti, ma gli Agrigentini vollero che la chiesetta venisse innalzata proprio sul luogo (allora piuttosto impervio ed alle falde della Rupe Atenea) dove la tradizione indica le grotte in cui il Santo avrebbe trovato rifugio durante la sua permanenza in città.


Tra gli estimatori del Santuario troviamo l’artista siracusano Raffaello Politi, che trasferitosi ad Agrigento nel 1804 vi rimase sino alla morte e fu a lungo custode delle antichità della città. Nell’opera, “Il viaggiatore in Girgenti e il Cicerone di piazza, ovvero guida agli avanzi di Girgenti” (1826), Politi ha accenni di ammirazione per la chiesa sancalogerina, che definisce: “la più graziosa di tutte per la sua leggerezza e semplicità architettonica”.


Appare tuttora incerta la data di fondazione della Chiesa. Alcuni studiosi ritengono che il Santuario risalga almeno al XIV secolo, ma è comunque certo che nel 1573, considerata la vetustà del piccolo Santuario medievale dedicato a San Calogero e la sempre maggiore affluenza dei fedeli, ben 86 notabili agrigentini ottennero l’autorizzazione a ricostruire il tempio.


Fonti d’archivio (datati 4 dicembre 1573) ritrovati dal sacerdote Salvatore La Rocca (che al culto di San Calogero ha dedicato diverse opere) attestano infatti che esisteva sullo stesso luogo una chiesa dedicata al santo eremita e che i Giurati di Agrigento (i baroni Pietro del Porto, Pietro Montaperto e il vicario generale della Diocesi mons. Giacomo Sanfilippo), col consenso del vescovo, mons. Hoxeda, furono lieti di autorizzare i lavori richiesti dai notabili della città per migliorare l’edificio. Gli interventi sulla precedente struttura medievale furono piuttosto laboriosi perché l’edificio venne notevolmente ampliato e ristrutturato ed affrescato da un artista di cui non ci è pervenuto il nome. Il tetto ligneo era tra le parti più ammirate.


Quattro secoli fa questo luogo era remoto e solitario. Anche se non distava certo molto da Porta di Ponte, tuttavia, tra questa Porta e la Chiesa di San Calogero vi è stato per molto tempo un fossato, che solo nel secolo scorso è stato colmato, ma che fino ad allora ha reso piuttosto impervia la località; tanto che per gli Agrigentini, per secoli, quella chiesetta assunse quasi l’aspetto di un eremo e veniva pertanto indicata come “u rimitaggiu di San Caloriu” (l’eremo di S. Calogero).


Nella piccola Chiesa di San Calogero si costituì il 30 giugno 1595 anche una confraternita di cittadini di diverso ceto, fra i quali figuravano anche nove ecclesiastici, un principe chierico, Vincenzo Pitruzzella, 5 spettabili, 16 magnifici, 7 notabili (tra cui un notar Gerlando de Maxara); 47 onorabili, maestri e un personaggio più umile, un certo Nardo Bonanno, in rappresentanza del popolo.


I confrati manifestarono sin dall’inizio l’intenzione di celebrare ogni anno la festa di San Calogero. Il vescovo Hoxeda accolse benevolmente la Confraternita e la benedisse dicendo di condividerne i benefici scopi. Un suo successore, il vescovo Orosco de Leiva approvò nuovi capitoli della Confraternita che nel mentre aveva aperto le porte a molti figli del popolo. La Confraternita continuò ancora per diversi anni il suo cammino e tra l’altro diede incarico ad un artista rimasto sconosciuto di realizzare la statua che ancora oggi viene portata in processione, che è infatti d’epoca certamente non posteriore al 1600.


Da allora nel mese di luglio si videro in città, in occasione della festa dedicata a San Calogero, i Confrati che sfilano in processione con le torce, coperti con mantelli e sacchi; calzavano semplici sandali e chiedevano umilmente l’elemosina.
E’ probabile che venisse condotta in processione anche un’immagine del Santo (probabilmente una statua).


La Confraternita rendeva alla fine conto al Vescovo delle elemosine raccolte e del reddito della Chiesa e questi fondi servivano soprattutto a compiere i necessari lavori per migliorare l’aspetto della chiesetta e per costruire un oratorio.
Difatti nel XVII secolo, quando era a capo della Chiesa agrigentina mons. Francesco Gisulfo (1653-1664), la chiesa subì nuovi interventi: vennero tolti gli archi a sesto acuto e le finestre a feritoia e furono realizzate nuove finestre rettangolari. All’interno l’artista Michele Blasco da Sciacca realizzò nuove decorazioni, una serie di stucchi e gli affreschi con i quattro Evangesti e San Gerlando.


Nei secoli successivi la chiesetta venne ancora abbellita con altre opere raffiguranti San Giacomo, San Paolo, Sant’Emiliana e con i medaglioni di San Barnaba, San Mattia, San Filippo, Sant’Eufrosina, San Simone ed altri che ancora nel 1927 era possibile ammirare, prima, cioé, dei lavori di restauro realizzati in quell’anno e che tra l’altro hanno ripristinato le antiche finestre a feritoia che si trovano sul prospetto laterale ed hanno rinnovato la facciata anche con la realizzazione di nuovo elegante portale di stile trecentesco. Altri interventi sono stati realizzati nel 1938, nel 1950 e in anni assai recenti ed hanno permesso il recupero dell’altare centrale e del tabernacolo oltre che arricchito la chiesetta di nuove decorazioni.


Negli ultimi anni la piazzetta antistante l’ingresso principale è stata meglio pavimentate e sistemata e su di essa si eleva una più agevole scalinata.


Nel XVII secolo venne realizzato accanto alla chiesa un conventino, in cui oggi sono ubicati alcuni uffici pubblici, ma che nei secoli passati ha alloggiato vari ordini religiosi, l’ultimo dei quali fu quello dei frati minori del convento di San Vito che nel 1863, con la soppressione degli ordini religiosi, videro espropriato il proprio convento e trasformato in carcere. Anche le opere d’arte che prima erano sistemate nel suddetto convento vennero pertanto collocate a San Calogero ed ancora oggi si possono ammirare. Ci riferiamo in particolare al Crocifisso ligneo realizzato da Frate Umile da Petralia nel 1637, alla bella statua lignea raffigurante San Diego, ad una Madonna con Bambino di stile gaginesco, alla statua di San Pasquale ed alla Pietà.


Si tratta delle uniche opere oggi esistenti all’interno del Santuario.


Durante le varie trasformazioni subite i preziosi affreschi che ne ornavano la volta e le pareti sono andati, infatti, completamente distrutti. Il campanile è stato rivestito in cotto ed ha assunto una forma piuttosto moresca che riecheggia i motivi del campanile della Chiesa di San Domenico. La Chiesa è stata elevata a Santuario nel 1977 grazie ad un decreto del Vescovo, mons. Giuseppe Petralia.


La statua di San Calogero che si trova sopra l’altare si conserva con molto amore. Raffigura un vecchio alto e forte, col volto scuro, vestito da monaco antico, con una lunga barba che gli scende sul petto e l’aureola. Sta assorto, nella lettura di un libro, che ha aperto sulla palma destra, mentre tiene la sinistra poggiante ad un lungo bastone ferrato rivestito d’argento. La statua che si trova sopra l’ingresso principale, in una nicchia, ha un panneggio diverso ed inoltre presenta una cassetta, in forma di piccolo baule, attaccata all’avambraccio destro e una fida cerva, rannicchiata accanto al Santo.


In sagrestia si possono ammirare molti attestati di grazie ricevute (gli ex-voto).Si tratta di quadretti che descrivono con disegni assai semplici, ma efficaci, eventi miracolosi e in genere riportano il ritratto del fedele che ritiene di avere ottenuto da San Calogero una straordinaria grazia; invocando il Santo, ad esempio, ha ottenuto la sua intercessione ed ha avuto la vita salva, dopo un grave incidente o una grave malattia.


Riguardo, poi, all’altra intenzione della confraternita, di promuovere cioè la devozione a San Calogero e di un’organizzarne un annuale festa ricordiamo che alla fine del secolo XVI il Cardinale della Curia romana, Simone Aragona, approvò l’ufficio e la messa da celebrare nella festa di San Calogero che il sacerdote di Sciacca Andrea Argomento aveva composto.


Sia l’ufficio che la Messa vennero approvati successivamente anche dal Papa Clemente VII, con decreto del 3 giugno 1598 per tutta la Sicilia. Ciò fu considerato un importante riconoscimento e diede impulso al culto e alla festa del Santo.


Circa la festa annuale al Santo diremo inoltre che, dopo i primi anni di fervore religioso, già nel secolo XVII, quando la stessa Confraternita cessò di esistere – e non sappiamo bene perché – anche la festa di San Calogero perse alcune caratteristiche originarie e cominciò ad assumere quella dimensione molto più popolare che ha oggi.

La festa nei secoli passati arrivò a durare anche un mese (mentre oggi si svolge nella prima settimana di luglio) e si caratterizzò sempre di più come il momento più alto della religiosità popolare locale. In poco tempo riuscì a divenire il vero festino di Agrigento, ottenendo un successo assai ampi.

Alla festa venne associato un mercato e divenne la manifestazione più vivace durante l’anno del mondo contadino agrigentino. I semplici e umili devoti contadini, infatti, hanno dato vita nei secoli a festeggiamenti meno pomposi e forse anche meno ordinati, ma pieni di passionalità, spesso fino all’irriverenza, tanto che qualche Vescovo ha dovuto minacciare pene severissime nei confronti di coloro che, per esempio, davano la scalata all’altare prima che terminasse la Messa per arrivare prima degli altri a prendere possesso della statua e condurla a spalle in processione (in questo senso si esprime anche un documento del Viceré del 1756).


Ma spesso inutili erano, allora come oggi, questi moniti, perché era (ed è) pressoché impossibile frenare gli entusiasmi di un popolo in estasi per il Santo delle Grazie.


Elio Di Bella

Categoria: Guida di AgrigentoTag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, akragas, chiesa di san calogero, diocesi di agrigento, girgenti, san calogero, sicilia, valle dei templi

Post precedente: «chiesa di san nicola Guida di Agrigento: la Chiesa di San Nicola
Post successivo: Guida di Agrigento: la chiesa Santa Maria dei Greci »

Footer

Copyright

I contenuti presenti sul sito agrigentoierieoggi.it, dei quali il Prof. Elio di Bella è autore, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all’autore stesso. È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001.

Privacy

Questo blog rispetta la normativa vigente in fatto di Privacy e Cookie . Tutta la docvumentazione e i modi di raccolta e sicurezza possono essere visionati nella nostra Privacy Policy

Privacy Policy     Cookie Policy

Copyright © 2023 Agrigento Ieri e Oggi · All Rights Reserved