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sinatra giuseppe

Agrigento, un ricordo di Giuseppe Sinatra, il più grande mecenate agrigentino

9 Settembre 2021 //  by Elio Di Bella

GIUSEPPE SINATRA

1920- Frequentavo la quinta ginnasiale e professore di lettere era Giuseppe Longo.

Era un sognatore, poeta ispirato, colto umanista .

Era quasi il padre spirituale di tutti noi. Da vero educatore c’inculcava l’amore per il bello, per l’Arte per la natura e nelle belle giornate di primavera ci portava quasi ogni domenica in gita a visitare i resti dell’antica città greca, i gloriosi templi di Akragas e noi ascoltavamo entusiasti i suoi eruditi conversari.

Fu in occasione di una di tali gite che ebbi la fortunata occasione di conoscere Giuseppe Sinatra.

Avevamo oltrepassato il Tempio della Concordia e ci avviavamo verso quello di Giunone ma ci fermammo a metà strada per salire al primo piano di una casina posta a cavaliere sul costone che allinea i più importanti templi di Akragas (oggi Agrigento)

Di quella casina, che ora non c’è più, mi piace ricordare come essa era stata, prima di allora, al centro di una singolare vicenda che aveva fornito a Luigi Pirandello l’ispirazione per una sua divertente Novella :”Il Vitalizio”.

Appunto perchè essa pervenne alla famiglia Sinatra in forza di un vitalizio costituito a favore del precedente proprietario, un tale ………………detto Sajaro per via del mestiere di costruttore e riparatore di sedie, che morì all’età di centosei anni. Ignoravamo noi ragazzi di essere giunti alla meta della nostra gita e nessuno di noi sospettava che quella modesta casa di campagna potesse ospitare una tanto importante raccolta d’Arte, primo nucleo della “Galleria Sinatra”

Ci venne incontro col suo bonario, dolcissimo sorriso Giuseppe Sinatra e ci introdusse subito nell’ampio salone ridondante di opere d’Arte.

I miei compagni, dopo un sommario giro d’orizzonrte attorno alle pareti del salone, si riversarono nella grande, assolata terrazza.

Io invece non mi mossi più da quel salone, vi restai inchiodato a divorare con gli occhi tutte quelle tele che furono per me una rivelazione, il primo incontro con la pittura moderna.

Non mi sarei allontanato mai più da quel paradiso. Ero felice, avevo trovato l’anima gemella, l’appassionato cultore d’arte, al quale, per affinità di sentimenti mi sarei legato subito d’amicizia nonostante la notevole differenza di età.

Giuseppe Sinatra: alto, segaligno, figura quasi immateriale di asceta, si nutriva di aria e di latte, suo alimento esclusivo. Il suo viso emanava una pacata serenità, un senso di beatitudine, di bontà infinita.

Vi si recava solo di domenica in quella casetta. Durante gli altri giorni della settimana lo attendeva il quotidiano lavoro in quel suo negozio di merceria, quello che dava da vivere a Lui e agli altri suoi fratelli.

Era scapolo e viveva una vita ritirata e modesta, direi quasi monastica e non priva di sacrifici economici nonostante gli agi che gli permetteva quel commercio. Doveva economizzare per dedicare ogni risparmio all’Arte e alla beneficenza .

Non disdegnava di stare anche Lui con i commessi, dietro il lungo bancone che fiancheggiava le tre pareti del grande negozio a servire il pubblico con la sua abituale affabilità. Però, allo scoccare del tocco, si affrettava a lasciare il negozio per arrampicarsi su per la lunga scalinata che conduceva ad un locale sito al quarto o quinto piano di quello stesso stabile.

Portava con sè il termos contenente il latte, suo pasto abituale. Vi trascorreva l’ora del…..pranzo e della siesta e ritemprava il suo spirito in estatica contemplazione degli altri quadri che la casa di campagna non riusciva più a contenere.

Data la posizione collinare della città e la disposizione a proscenio digradante verso valle di tutte le case, quella finestra risultava strapiombante da quel lato per un’altezza pari a circa 8 – 10 piani, sicchè dominava, come da un aereo, l’intera vallata sottostante e la vastità del mare infinito.

Da quella posizione egli poteva perciò alternare lo sguardo rivolgendolo sia verso l’interno sia verso l’esterno, ammirando beatamente ora i suoi quadri ora i suoi templi lontani.

L’amicizia con Francesco Lo Jacono

In quelle pareti c’erano tutti i bozzetti e gli studi di Francesco Lo Jacono. il pittore ed amico della cui opera s’era ripromesso di fare sistematica raccolta.

Divenni assiduo frequentatore di quel solitario rifugio e mi accompagnai a Lui nelle gite domenicali giù nella valle dei templi.

Si partiva di buon’ora la domenica in calesse e si faceva sosta a metà strada per ascoltare la messa mattutina nella chiesetta di san Nicola.

Si ripartiva quindi alla volta della casina da dove, dopo breve sosta, ci si avviava a piedi per la campagna.

Giunti alla casina, si armava di treppiedi e della mastodontica camera oscura e via per la campagna alla ricerca di suggestivi spunti paesistici da ritrarre. Cacciava la testa sotto il panno nero che copriva la parte posteriore della camera oscura e vi rimaneva immobile durante tutto il tempo della lunga posa.

Non lontano da Lui io mi aggiravo col mio cavalletto che poggiavo dove l’ispirazione mi suggeriva inquadrature a me congeniali e lì mi isolavo a dipingere con giovanile foga, libero da schemi preconcetti. Furono giorni felici quelli trascorsi in sua compagnia ma non durarono a lungo purtroppo. Il lavoro mi chiamò altrove e dovetti allontanarmi da Agrigento.

Quando vi feci ritorno, l’amico Sinatra un po avanti negli anni, aveva già lasciato il lavoro e si era trasferito nella zona nuova della città, al Viale della Vittoria dove assieme ai fratelli si era fatta costruire una palazzina di cui occupava, assieme al fratello Francesco, l’ultimo piano, il più panoramico.

Da quei balconi si dominava l’intera valle sottostante e la vastità del mare. Nella nuova casa aveva trasferito la intera pinacoteca arricchitasi intanto di nuove opere di giovani artisti fra i quali eccelleva il pittore Francesco Camarda, ottimo ritrattista, che ebbe poi a completare opportunamente la collezione Sinatra con l’arioso felicissimo ritratto dello stesso collezionista – mecenate.

E anche qui nella collinetta a ridosso della nuova casa si era creato “l’Eremo” così lo chiamava. Un luogo solitario di riposo, quasi ritiro spirituale immerso nella natura, un giardino chiuso su tre lati da alte pareti di roccia, odoroso di cedrine e fiori che aurava con amore.

A riparo dalla calura meridiana c’era solo una minuscola casetta simile a capanna. .

L’amicizia con Plinio Nomellini

Nella nuova sede la pinacoteca divenne ben presto metà di visitatori anche eccellenti. Uno di quelli fu il pittore Plinio Nomellini che ebbi occasione di conoscere mentre dipingevo giù nella piana di San Gregorio. Era in compagnia dell’amico Sinatra che lo accompagnava in un giro di perlustrazione della zona archeologica. Prima che l’amico ci presentasse mi sentii interloquire: “la faccia cantare quell’ombra”.

Era l’ombra che un verde mandorlo proiettava in primo piano su un campo giallo di stoppie e di cui ero intento a trovare il tono di colore. Dopo qualche giorno mi recai a trovarlo nell’albergo che lo ospitava e mi mostrò le tele che aveva già dipinto giù nella valle.

Facemmo amicizia e scrissi della sua permanenza in Agrigento nel quotidiano “L’Ora”. Successivamente andai a trovarlo nel suo studio fiorentino di San Felice a Ema, che era vicino a quello di Rosai.

Durante quel decennio che saltuariamente vissi in Agrigento Sinatra, il caro Don Peppino, mi affidò il suo testamento col quale faceva donazione alla città di Agrigento dell’intera collezione d’Arte amorosamente accumulata in tanti anni di sacrifici economici. Mi aveva nominato suo esecutore testamentario.

Lo tenni con me sino alla primavera del 1939 quando dovetti allontanarmi da Agrigento per una missione in Sardegna che si protrasse per oltre tre anni. Gli restituii allora il testamento perchè lo affidasse ad altri.

Ritornai ad Agrigento dopo nove anni nella primavera del 1948, per rivedere i miei cari e per far loro conoscere la mia nuova famiglia.

Molti conoscenti e amici erano spariti e non c’era più Lui Giuseppe Sinatra, l’amico, il confidente, l’anima eletta che seppe elevarsi dalle passioni terrene per librarsi in un’atmosfera di pura poesia. L’innamorato cantore della sua terra.

Il cittadino esemplare che del frutto dei suoi sacrifici volle fare partecipi i concittadini e il mondo. Era morto pochi mesi prima nel gennaio di quell’anno.

La sua bella immagine occupa un posto d’onore nel sacrario dei miei ricordi così come un posto d’onore occupa nella mia casa il tangibile ricordo del suo affetto per me: il simpatico bronzetto riproducente un cerbiatto che si lecca la ferita ad una zampa – gradito dono di nozze che Egli assieme al fratello Francesco aveva preparato per me.-. Me lo consegnò il fratello dopo la sua morte in occasione del mio ritorno ad Agrigento.

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, akragas, arte, girgenti, luigi pirandello, sicilia, valle dei templi

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