Quando alla fine degli anni Trenta m’incontravo al Viale della Vittoria con Mario La Loggia ,con Peppe Ragusa, con Giacinto Veronica e con pochi altri, ci si meravigliava che si era solo in pochi a preferirla alla più centrale e movimentata via Roma di allora, e oggi via Atenea come nei tempi più remoti.
Ma ci si dimenticava che tutto sommato eravamo solo gli studenti tra i giovani a ostentare presenza nelle due vie delle quali ho già parlato.
Gli altri, gli altri giovani, dico, preferivano gestire la modestia del loro abbigliamento nei loro quartieri. Voglio essere creduto da chi mi legge: questo fatto ci addolorava e si capiva bene che c’era una grande sofferenza economica, perlomeno.
E sognavamo la nostra città diversa, migliore. La sognavamo come Palermo o come Messina, le città dei nostri studi e possibilmente di quelle ancora più bella perché ne aveva le potenzialità come le ha ancora oggi. Con l’aggravante, oggi, che la città quella bella, dico, la città della collina sta per essere abbandonata.
E oggi c’è chi dice di vivere ad Agrigento, ma lì nella vera Agrigento, nell’Agrigento di sempre non c’è mai stato, e non la conosce. e non è mai stato a Santa Maria dei Greci, in via Duomo, in via Oblati, al Piano Maraventano o al Piano Palillo.
Ma c’è anche chi l’apprezza, chi ha l’intenso piacere di godersela come Soraja Guedraoui che in una sua delicata poesia, lei, studentessina della Scuola Pirandello, nel cantare la sua felicità ci rimprovera il colpevole abbandono.
Mi ha colpito la lettura di questa poesia e forse mi è spuntato un luccicone. Ma debbo sinceramente complimentarmi col mio carissimo amico avvocato Grillo che ha avuto l’intelligenza ed il buon gusto di valorizzare, abitandolo, un delizioso appartamento di Salita Sanzo.
Appartamento con giardino come molti altri appartamenti della vecchia Girgenti, come tanti ne ricordo per averli visti negli anni della mia infanzia. E complimenti anche a Michele Guardì che può godersi la splendida casa nella meravigliosa posizione di via S.Vincenzo.
Sono stato in questi giorni ad Agrigento. Per carità! nessuno mi chieda perché mai l’ho lasciata quella città. Non me lo chieda nessuno perchè non saprei rispondere, perchè soffrirei a dare una qualsivoglia risposta, perchè non saprei dare una intelligente risposta.
Non mi si metta in imbarazzo. Ma gli agrigentini si sono mai chiesti perchè mai tanta gente, tanti figli di quella terra si sono allontanati dalla loro città per cantarne le lodi poi, da lontano con struggente nostalgia piangendo un passato irrecuperabile?
Oggi non potremo più rivolgere una simile domanda a Tano Argento, a Pino Cucchiara, a Biagio Faletra, a Lillo Paci, a Giovanni Pinzarrone, a Martino Azzarello, a Totò Ilardi, a Peppino Moscato, a Michele Lanza, a Nenè Gueli, e a tanti altri cari amici brillantissimi e non solo tra i banchi dei licei, ma anche brillantissimi tra i “banchi” della vita, e questo perchè oggi questi cari amici non ci sono più, ma non sapremmo rispondere neppure quelli che ci siamo ancora qui a Roma o altrove.
Ma è proprio per questo che dentro il cuore fanciullino di ognuno di noi si cova il sogno fiabesco di una città ideale sempre situata proprio lì dove gli uomini sorretti dalla divinità l’hanno situata: lì, su quella meravigliosa collina solatia e splendente, spazzata spesso dal vento provvido che ne rinnova l’aria ed i profumi, e irrorata dalle provvidenziali piogge che quand’ero bambino mi sembravano essere il gigantesco rito lustrale portato a compimento dalle immense, generose e protettrici forze della natura impegnate a restituirle periodicamente igienico lindore.
Così ci appariva la città dopo una benefica ed improvvisa pioggia: linda nell’aria, purificata e linda nei tetti delle case e nelle strade.
E me la immagino ripopolata dagli stessi agrigentini pentiti di averla abbandonata, ma confortati dalle comode e realizzabilissime scale mobili del tutto simili a quelle delle grandi metropolitane, e da capienti ed anch’essi realizzabilissimi ascensori posti sapientemente nei punti che non certo lo scrivente ma l’intelligente studio dell’urbanista avrà indicato.
Delirio? Può darsi! Ma non è un’utopia. La tecnica moderna risolve problemi ben più ardui di quello da me indicato. La spesa folle a suo tempo affrontata per il molto discutibile Viadotto Morandi avrebbe certamente potuto coprire le spese per la realizzazione di questo programma del quale vado cianciando.
Parliamone realisticamente con quegli urbanisti che hanno realizzato le nostre metropolitane, utilizziamo quegli approfonditi studi geologici che a suo tempo, dopo la “frana” sono stati realizzati non certamente per migliorare le condizioni della città, ma per andare alla ricerca del responsabile capro espiatorio da sacrificare sull’altare della divinità della vendetta se non del tornaconto.
Ma poichè mi sono immerso nel sogno delirante, perchè non restaurare tutte le meravigliose chiese della città a cominciare da quel piccolo gioiello che è la chiesa di Santa Maria dei Greci . E quella di Santo Spirito e quella del Carmine, e quella di S.Francesco e quella di S. Rosalia a suo tempo deturpata e privata della facciata?
Ma bisognerebbe liberare quelle che senza troppo impegnative e molto dispendiose opere possono essere liberate dalle casette che ai meravigliosi monumenti sono state addossate. Evitiamo che facciano la fine delle chiese di Santa Lucia di San Michele e di San Vincenzo.
E la sera questi gioielli, rimessi in evidenza ed opportunamente illuminati, finirebbero con l’incantare ancora di più chi la Valle ed i Templi e la Città venisse a visitare. E sarebbe allora meta ambita per il turista di alto bordo che in alberghetti che dovrebbero nascere entro la vecchia città, potrebbero trovare prima sereno e salutare soggiorno in una città finalmente in assoluto priva di smog onde provare struggente nostalgia dopo, a partenza avvenuta.
E potrebbe nascere là, dentro le mura della vecchia città una scuola alberghiera, una scuola per guide turistiche e perchè no, un conservatorio di musica da intitolare a quei musici agrigentini che nell’antichità seppero incantare con le loro tibie quanti ebbero la fortuna di ascoltarli.
E rivedremmo i Goethe, tornare a soggiornare nelle nobili stanze di palazzo Celauro e rivedremmo i Puccini tornare a soggiornare nelle suites dell’Hotel des Temples, oggi, per fortuna rimpiazzato da altri rispettabilissimi alberghi.
Ma forse dai terrazzi delle antiche case potremmo vedere i porti dell’antico Emporio gremiti di lussuosi natanti in attesa di salpare coi loro proprietari troppo impegnati a godersi l’incanto del paradisiaco soggiorno e poco disposti a ricercare altrove improbabili simili paradisi.
Ho sognato! Ma ho proprio sognato? Ma riteniamo proprio irrealizzabili ipotesi del genere?
Chi ha visto nascere Porto Cervo o Portorotondo in Sardegna sa che queste sono cose già realizzate
Ci vuole solo la volontà di chi è preposto a realizzare queste cose senza rimanere nell’attesa dell’Aga Kan di turno che come per incanto risolva i suoi piuttosto che i nostri problemi. E allora qui troverebbero soluzione i problemi dell’occupazione giovanile e felicità gli abitanti di questa nobile terra tanto amata da Dio, tanto screditata dagli uomini! Lo voglia il cielo!
E allora caro Gerlando, mia cara Patrizia, non considerate la mia un’attività rivolta solo alle celebrazioni., e aiutatemi a trovare, dopo averle cercate, soluzioni intelligenti, realizzabili, eccitanti, stimolanti. Il fatalismo è colpevole.
Voglia il cielo che i giovani di Agrigento, ad imitazione ed emulazione dei loro predecessori del periodo risorgimentale comincino a stampare i loro fogli per far sentire la loro fresca voce di protesta, quando necessario, e sempre attenta e costruttiva perchè di questa città, domani possano essere i felici ed invidiati fruitori.