Giacché abbiamo accennato, nella puntata precedente, a Porto Empedocle come unico scalo marittimo di Agrigento, torna opportuno un chiarimento su tale nostra affermazione.
Si legge nel libro VI di Strabone: “Da Lilibeo ad Eraclea 75 miglia: da Eraclea all’Emporio degli Agrigentini 20 miglia”.
Considerato che il miglio romano equivaleva a 1472 metri, la distanza tra Eraclea e l’Emporio sarebbe stata di m. 29440. Or questa distanza corrisponde precisamente a quella che intercorre fra lo scalo di Porto Empedocle ed il punto dov’era ubicata l’antica Eraclea.
Siamo lontani dal presumere di aver definito la tanto dibattuta questione, se l’Emporio Agrigentino fosse situato nella costa agrigentina di San Leone o a Porto Empedocle, e rimandiamo all’interessante pubblicazione del Prof. Baldassare Marullo (Due punti da chiarire per la storia di Porto Empedocle) coloro che volessero ampliare le proprie cognizioni su tale controversia storica;
ma se il ragguaglio fra le misure romane con quelle dell’attuale sistema metrico è esatto e se il sito dove si colloca l’antica Eraclea è preciso, ciò costituisce un argomento molto forte in favore della tesi secondo la quale l’Emporio Agrigentino sarebbe stato dov’è attualmente lo scalo marittimo di Porto Empedocle o per lo meno in prossimità di esso.
Molti altri argomenti sono stati addotti dal Marullo in favore di questa tesi, ma, per quella obbiettività che è essenziale nelle discussioni storiche, sussistono due elementi in contrario, elementi sui quali solo nuove scoperte potrebbero far luce:
1° l’affermazione degli scrittori latini dei periodo romano che fissa l’Emporio alla foce del fiume Akragas, la mancanza di un dato archeologico dell’epoca romana nel sito dov’è attualmente lo scalo marittimo di Porto Empedocle. Auguriamoci che il tempo faccia luce su questo punto, tanto interessante per la storia della nostra città.
Ed ora riprendiamo la trama storica. E’ risaputo che Cesare Augusto divise le provincie in tributarie (assegnate Senato) e stipendiarie o di Cesare (riservate a sé). La Sicilia fu classificata fra le tributarie e, quindi fu tale anche la città di Agrigento.
I proconsoli e i procuratori, che furono designati per l’amministrazione di esse, non cessarono di tormentarle con soprusi e vessazioni fiscali d’ogni sorta, e tale situazione continuò per parecchio tempo, anzi divenne più critica, allorquando gli imperatori romani, perseguitando il Cristianesimo, davano modo ai pro-consoli di coonestare le loro ruberie col pretesto di condurre la lotta contro i Cristiani.
Un po’ di tregua a tali tribolazioni si ebbe sotto l’impero di Antonino Pio (138 d. c.) e forse anche sotto quello di Alessandro Severo (222- 235).
Dopo che per l’editto di Costantino Magno (313) era rinata la calma per i Cristiani, alla morte di lui si riaccesero le persecuzioni; basti pensare a Giuliano l’Apostata.
Venuta l’epoca delle invasioni barbariche, anche la Sicilia ne subì gli effetti funesti, perché l’isola cadde sotto i Vandali (476), ai quali succedettero i Goti.
Pur fra tanto marasma, troviamo una testimonianza che conferma la efficienza marinara delle nostre città siciliane; Procopio, nel “De Bell. Goth. Lib. Ili, c. 15, ci narra che mentre Totila si accingeva a riacquistare i perduti domini bloccando Roma, le nostre città apprestavano al Papa Virgilio abbondante copia di frumenti, uomini e legni da carico (vedi anche Picone Memoria Quarta, cap. 2).
Dopo che Narsete riprese Roma (553) ponendo line al regno degli Ostrogoti, e Agrigento ritornò all’impero d’Oriente, sorse nella nostra città un astro luminoso: S. Gregorio II (559).
Dopo dieci secoli si riproducevano in Agrigento i giorni di Empedocle ad opera del nostro Gregorio. La sua liberalità e la sua dottrina furono tali da poter dare lustro non ad una città ma ad impero. Letteratura, eloquenza, astronomia, che cosa non studiò Gregorio pur fra le molteplici e tumultuose vicissitudini del suo apostolato?
Basta considerare il grande apporto che egli diede alla famosa controversia fra le due teorie astronomiche le quali oggi si direbbero teoria di Tolomeo e teoria di Copernico intorno al sole.
Alcuni decenni dopo la morte di Gregorio un nuovo formidabile nemico dell’impero annientava le sue conquiste.
I Musulmani sbarcavano in Sicilia nel 652. Cominciava allora, pur fra alterne vicende, un’altra fase della storia d’Agrigento che, dopo l’occupazione dell’Arce da parte dei Musulmani, (827-828) vide cambiare il suo nome in quello di Gergent.
Le principali schiatte colonizzatrici della Sicilia furono due: quella dei Berberi e quella degli Arabi.
II Picone nella sua Memoria quinta, in Memorie storiche agrigentine, fissò tra 1’840 e 1’841 l’epoca in cui i Berberi posero stanza in Agrigento; e quest’epoca da lui stabilita «ci rende la ragione per cui dopo mezzo secolo Girgenti riacquista uno splendore tale da mantener desta la fiamma dell’indipendenza, da sfidare le ire dell’aristocrazia arabica e degli emiri e da chiedere ed ottenere aiuti dalla corte bizantina.
Girgenti, capitale dei Berberi, venne a trovarsi in discordia con Palermo, capitale degli Arabi. A frenare tale discordia il califfo Ibraim spedi in Sicilia, il figlio Abd-Allah, il quale con centoventi navi da trasporto e quaranta navi da guerra approdò a Mazara il 1 Agosto dell’anno 90 (Picone, loc. cit.).
Tali rinforzi, uniti alle forze agrigentine, destarono tale preoccupazione presso l’esercito palermitano che decise di ritirarsi subito dalla lotta.
Pur fra molteplici alterne vicende, Girgenti continuò a tenere desta la coscienza della sua tradizionale grandezza, fino a quando, nell’anno 1015, i Berberi furono espulsi da Girgenti e da tutte le città della Sicilia.
Antonino Bruccoleri