La Sicilia aveva già conseguita la propria indipendenza dall’Africa, ma le coste dell’isola erano infestate da frequenti scorrerie non soltanto da parte di africani ma anche da i parte di siciliani stessi.
Tale stato di cose durò fino al 1038, anno in cui Giorgio Maniace soggiogò la Sicilia. Cosi Girgenti ricadde sotto i Bizantini.
Maniace cominciò a fortificare la nostra ed altre città per prevenire il pericolo dei Musulmani limitrofi, ma poi venne richiamato a Costantinopoli per gelosia di corte. Allora l’isola si scisse in due partiti e Girgenti cadde in potere degli Arabi e precisamente sotto la signoria di Ibn Hawwasci (l’agitatore), uomo di grande generosità e di non meno e grande ambizione.
Quando costui venne in lotta col cognato Ibn-Timma, quest’ultimo, per abbattere la potenza di Hawwasci, indusse i Normanni a scendere in Sicilia. Questi scesero fra noi | verso la fine di febbraio del 1061, i quando Ibn Hawwasci spedì contro di loro a Messina “una flotta con vettovaglie e cavalleria, ai quali apparecchi Girgenti apprestò il suo contingente „ (Picone, Memorie storiche agrigentine, Memoria V, cap. II).
Continuando la lotta fra i Normanni e i Musulmani di Girgenti, questi chiesero aiuto al califfo Ibn- Bàdis, il quale spedi in loro soccorso il suo naviglio che a causa di una bufera si disperse.
La lotta continuò, anche dopo che Palermo nella primavera del 1072 dovette cedere all’impeto dei Normanni, i quali nel 1081 s’impadronirono anche di Catania.
In una battaglia navale tra Normanni e Siciliani presso il porto di Siracusa i nostri Girgentini fecero prodigi di valore, ma nella battaglia stessa perì Ibn el-Werd, il loro strenuo difensore.
Resistette ancora Girgenti per quindici anni, ma infine — assediata — dovette cedere per fame e il 1087 si arrese ai Normanni di Ruggiero.
Anche sotto la nuova dominazione Girgenti fu una grande piazza di commercio, e tale la troviamo nel 1153 quando Edrisi, l’eruditissimo arabo, pubblicò e dedicò al re Ruggiero la sua grande opera geografica. In detta opera si fa menzione di Licata come città e porto di notevolissima importanza.
Girgenti, che era stata dichiarata città demaniale, concorse a rafforzare la famosa Lega lombarda (1167-68) contribuendo con molto oro; ne conseguì che i Comuni del continente stringessero amichevoli rapporti con noi: Senesi e Amalfitani vennero nella nostra città ad esercitarvi i loro commerci e i loro trattici, e parecchi di loro rimasero definitivamente presso di noi; anzi parecchie famiglie vi permangono tuttora.
Tra i Crociati siciliani, che furono i primi a soccorrere i cristiani barcati in Palestina nel 1188 e arrestarono le armi vittoriose di Saladino, non mancò il contributo dei Girgentini.
Nelle Crociate trovarono un pretesto i Tedeschi che, nel 1194, riunitisi in numero di sessantamila con la parvenza di portar la guida di Enrico, colsero il momento buono per impadronirsi di Girgenti. Si iniziava cosi la dominazione sveva.
Nella nostra citta, intanto, c’erano ancora numerosi mussulmani i quali di tanto in tanto causavano lotte con i Cristiani; ma sotto il regno di Federico II, essendo loro fallita l’ultima riscossa, furono espulsi dall’isola (cfr. Picone, Memoria VI).
Dopo che la Sicilia passò in potere degli Angioini, l’incendio causato dalla guerra del Vespro (marzo 1282) si estese anche a Girgenti che — come altre città dell’isola — nominò i suoi capitani e si resse a Comune. Nella guerra tra Roberto d’Angiò e Pietro d’Aragona i Siciliani mandarono a quest’ultimo i loro ambasciatori offrendogli il regno, ed egli approdò a Trapani con cinquanta galee e molte navi da carico.
A quella guerra parteciparono anche i Licatesi, che mandarono una galea capitanata dal loro concittadino Mugnos barone Luigi e si distinsero nella battaglia presso il golfo di Napoli vinta dagli Aragonesi, agli ordini dell’ammiraglio Ruggero di Lauria (1° maggio 1287). Il Mugnos perì gloriosamente nella mischia (cfr. C. Domenico Gallo – Annali di Messina).
Non mancò in quella guerra, che dal 1286 durò fino al 1290, il concorso dei Saccensi, tra i quali rifulsero i nomi di Federico ed Enrico Incisa. Leggiamo infatti nella « Storia della Città di Sciacca» d’Ignazio Scaturro :
“ Importanti notizie si hanno sul modo come eseguivasi l’armamento del naviglio di guerra in Sicilia, Catalogna e Maiorca, nei porti più notevoli di tati regioni, specialmente in Val di Mazzara, Messina e Barcellona. In Sicilia l’incarico di assoldare i marinai, oltre che al baiulo e ai giudici, era affidato a speciali persone, inviate da Lauria nelle diverse terre e città oltre (ad occidente) il fiume Salso. Fra questi luoghi si menzionano Sciacca e Caltabellotta; e quindi Castelvetrano, Girgenti, Licata, ecc. ».
G. La Manta,anel Cod dipl. Arag. (pag. 586 e seg., doc. CCXLI) che è un’approvazione di conti dell’Amministrazione dell’ammiraglio Ruggero di Lauria (1° luglio 1285 – ago sto 1287), ha menzionato parecchie volte il saccense FEDERICO INCISA, come maestro portulano del Regno.
Nel dizionario dei Siciliani Illustri, pubblicato nel 1940 in occasione delle celebrazioni dei grandi Siciliani, si legge :
« Federico Incisa nacque a Sciacca nel 1276 da una famiglia discendente dai Duchi di Sassonia. Si dedicò alla carriera delle armi e fu nominato Cavaliere dai Re Federico. Combatté contro la quadruplice alleanza dei re di Napoli, di Francia, di Aragona e della Corte Romana, nelle Calabrie e nelle Puglie. Si distinse all’assedio di Sciacca, che culminò nel trattato di Caltabellotta.
Per le sue eminenti qualità di diplomatico, esplicate in difesa del trattato di Caltabellotta dinanzi al Papa Bonifacio, fu elevato al grado di Gran Cancelliere. Fu anche Maestro di Giustizia e nominato Re Roberto, quando ascese al trono, Generalissimo perpetuo delle armi. Fu acclamato dai suoi concittadini – Padre e salvatore della Patria „ (Diz. Sic. III., pag. 269).
Nell’opera di Scaturro citata più sopra leggiamo, a proposito di Enrico Incisa, che alla battaglia navale di Ponza (fra Aragonesi e Angioini) del 24 giugno 1300, “ parteciparono anche galee sciacchitane, ed Enrico Incisa da Sciacca, il quale doveva comandare una galea di questa città, vi fu preso prigioniero ».
A. BRUCCOLERI
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