I primi tentativi di conquistare Girgenti da parte dei Normanni avvennero già a partire dall’anno 1061, quando per la prima volta Ruggero giunse alle porte della città, attentamente sorvegliata dagli Arabi. Allora il sovrano normanno dovette rinviare la conquista di Agrigento perché non aveva forze sufficienti. La città cadde in potere ai Normanni (dopo un lungo assedio, durato almeno quattro mesi) il 25 aprile 1086.
Il territorio agrigentino venne diviso in varie signorie e quindi anche in questo angolo della Sicilia sorse di fatto il sistema feudale. Agrigento però venne dichiarata dal sovrano normanno Ruggero città demaniale. Dopo due secoli e mezzo di dominazione musulmana, con la conquista normanna assistiamo alla rifondazione della Diocesi e alla rievangelizzazione della città. Il nuovo vescovo della risorta Chiesa agrigentina fu Gerlando di Besançon, scelto all’importante compito dallo stesso Ruggero.
Nella seconda metà del XII secolo regnarono in Sicilia tra le agitazioni interne e le guerre esterne contro gli imperatori di Oriente ed Occidente i sovrani Guglielmo I il Malo e Guglielmo II il Buono. In quel periodo gli Agrigentini concorsero a rafforzare la Lega Lombarda nella lotta contro Federico Barbarossa (1167-68), contribuendo con molto oro; ne conseguì che i Comuni del continente strinsero amichevoli rapporti con gli Agrigentini: Senesi e Amalfitani vennero nel capoluogo siciliano ad esercitare i loro commerci e i loro traffici, e parecchi di loro rimasero definitivamente in città; così che molte famiglie agrigentine tuttora esistenti possono vantare quelle remote origini.
Tra i Crociati siciliani – che furono tra i primi a soccorrere i cristiani sbarcati in Palestina nel 1183 e che arrestarono le armi vittoriose dei musulmani – troviamo diversi Agrigentini. Ma durante le guerre sante contro gli infedeli con un pretesto i cavalieri Tedeschi (riunitisi in numero di sessantamila) s’impadronirono di Girgenti (1194) ed ebbe inizio così la dominazione sveva, con l’incoronazione a Palermo di Enrico VI di Svevia.
Ma fin dall’inizio i rapporti tra il nuovo sovrano e gli Agrigentini non furono facili. Infatti, quando i baroni siciliani avevano proclamato re di Sicilia Tancredi di Lecce, figlio naturale di Ruggero II, il vescovo di Girgenti, Bartolomeo, era stato tra i primi a salutare con favore il nuovo monarca, che si opponeva con tenacia agli imperiali. Ma subito dopo la scomparsa di questo sovrano (1194), gli Agrigentini dovettero arrendersi volontariamente ad Enrico VI, il quale, non solo imprigionò il vescovo Bartolomeo (che era stato nominato arcivescovo di Palermo da Tancredi e dunque era considerato suo partigiano), ma vessò la Città dei Templi.
Sotto Federico II per la chiesa agrigentina vennero altri difficili giorni. Il nuovo imperatore, infatti, impose esosi balzelli e poco si curò delle difficili condizioni economiche della città. Guglielmo Capparrone divenne signore di Agrigento che perdette dunque la demanialità. Ma nel 1232 Federico II visitò Girgenti e le restituì i privilegi e un po’ di serenità, ma decretò l’espulsione dei musulmani, che avvenne nel 1245.
Successivamente la città parteggiò con Corradino e si costituì a città autonoma, sotto il protettorato di Clemente IV, che devolse a beneficio del vescovo di Agrigento Rainaldo le rendite fiscali che si dovevano alla corte pontificia. Il provvedimento durò sino al 1256, quando Manfredi confiscò i beni della Chiesa agrigentina. Girgenti divenne ghibellina e il papa Alessandro la fulminò con l’anatema.
Giunse in Sicilia Carlo D’Angiò e nel 1266 la città passò spontaneamente dalla parte del nuovo signore. Nel 1268 però si ribella e fa sventolare dal suo castello la bandiera degli Svevi, almeno fin quando Corradino, l’ultimo rampollo della famiglia sveva non viene sconfitto da Carlo d’Angiò decapitato (29 ottobre 1269). Allora gli Angioini si volsero contro i Siciliani e in due battaglie a Sciacca e ad Agrigento all’inizio del 1270 posero le premesse per la definitiva conquista dell’Isola. Quindi Carlo d’Angiò ebbe mano libera sul territorio agrigentino e sui suoi beni.
Ma nell’aprile del 1282 – al grido “morte ai Francesi!” – anche Agrigento partecipò alle rivolte e poi alle cruente guerre del Vespro, che liberarono la Sicilia dal giogo degli Angioini. Costanza (figlia del re Manfredi) quando divenne moglie di Pietro III d’Aragona portò in dote al marito i diritti sulla corona di Sicilia. Il Parlamento siciliano, nell’aprile del 1282, acclamò Pietro III di Aragona re di Sicilia. Il nuovo re sbarcò nell’agosto del 1282 nelle coste siciliane e così cominciò la lotta tra Siciliani ed Angioini, conclusasi con la pace di Caltabellotta il 24 agosto del 1302 e l’affermazione degli Aragonesi.
Nel secolo XIII si svilupparono sensibilmente gli scambi commerciali con le città dell’Italia settentrionale. Furono molti i mercanti senesi, genovesi, pisani che aprirono in città nuove aziende e che poi stabilirono duraturi rapporti con gli Agrigentini. Essi costituirono il primo nucleo di una moderna borghesia cittadina, destinato a influenzare notevolmente la vita locale.
Non mancò nello stesso periodo comunque un certo sviluppo anche della feudalità locale che venne a beneficiare della ripresa economica. Essa era soprattutto costituita nei primi tempi da piccoli feudatari e da milites che si dedicavano con un certo successo alle libere professioni ed al commercio. Tra le prime maggiori signorie del tempo ricordiamo quelle di Gaspare Capparone, del conte Bernardino. Ad esse si aggiunsero successivamente quelle di origine genovese, come i Mosca, un ramo della famiglia Doria, dei provenzali Rosso, dei Maletti e degli Asopello. Emersero però tra tutti i Montaperto e i Chiaramonte.
Nel XIV secolo Agrigento subì infatti la signoria della potente famiglia Chiaramonte, rimanendo coinvolta nei contrasti che questa famiglia ebbe con altri nobili siciliani e con potenti sovrani. Quando Andrea Chiaramonte lasciò la testa sul patibolo, Agrigento tornò al regio demanio. Accolse nel novembre del 1398 il Re Martino che le confermò gli antichi privilegi e ne concesse dei nuovi.
In questo periodo le attività commerciali ebbero notevole impulso e la città divenne uno dei più importanti scali della costa meridionale della Sicilia. Sotto le famiglie Chiaramonte e Montaperto nel XlV secolo aveva assunto un assetto urbano più definito.
Ai Chiaramonte si deve la costruzione della cinta muraria che inglobava, oltre alla cittadella (detta anche Terravecchia), i borghi di San Francesco, San Pietro e San Michele . Le coeve fondazioni dei complessi conventuali di S. Francesco e di San Domenico seguirono i limiti dell’espansione urbana.
Le mura erano fornite di numerose torri e postierle (di una porta sul lato meridionale resta il ricorda della zona oggi denominata Porta di Ponte), di cui purtroppo si conserva assai poco.
Nella guerra dei quattro vicari Agrigento seguì le parti della Regina Bianca e, nel 1411,venne occupata da Bernardo Berengerio e Filippo Marino o de Marinis, partigiani della Regina. La città si dovette difendere in varie epoche dalle scorrerie dei pirati Berberi che minacciavano continuamente le coste della Sicilia.
Nel 1492 anche ad Agrigento vennero espulsi tutti gli Ebrei e ciò provocò non pochi problemi economici alla città.
Già nel primi decenni del secolo XV i cittadini avvertivano la profonda crisi in cui versava la città e che non risparmiava il suo porto “che duna la vita e la substantia a tutti li habitaturi di Girgenti”, come leggiamo in un testo dell’epoca. Troviamo infatti sul libro verde della città, quello che conserva tutti i privilegi, le consuetudini del tempo questo significativo appello: “Lu caricaturi di Girgenti eni unu di li plui antiqui carricaturi di lu Regnu di Sichilia, lu quali era sulu infra Xacca e la Licata, per lu quali cuncurrianu in Girgenti tutti li convichini portandu tutti li frumenti ki facianu videlicet Naru, Calatanixetta, Petrapritia, Rachalmutu, Musumeli et Bivona, li quali indi portavanu in grandissima quantitati et di li cosi ad loru necessarii si fornianu di la ditta chitati, dundi insurgia grandi utilitati a la Regia Curti et a li chitatini, per lu grandi spachamentu ki havianu in Girgenti per lu carricaturi ki era abiatu, et li frumenti si extrahianu di fora et vinia grandi utilitati a li tratti a di duani a li cabelli di vinu di carni per li cosi necessari ad loru, ki tanta era la multitudini di genti ki vinianu di quisti terri a la ditta chitati di Girgenti ki omni jornu era una fera, et lu vindiri et lu accattari ki fachianu e la iornata era inextimabili”. (Archvio di Stato di Palermo, Cancelleria, reg. n. 69, anno 1443-34, f. 49 Trascritto nel manoscritto in Archivio del Comune di Agrigento, libro di tutti li privileggi, li consuetudini, e particolari ordinationi di questa Magnifica Città di Girgenti, 1634. Si tratta del cosiddetta Libro verde ff. 7a-7b –
Traduz.: Il caricatore di Agrigento è uno dei più antichi caricatori del Regno di Sicilia; esso era il solo fra Sciacca e Licata, per cui giungevano ad Agrigento tutti i commercianti dei centri vicini portando qui tutto il raccolto di frumento, da Naro, Caltanissetta, Pietraperzia, Racalmuto, Mussomenli e Bivona; le quali città quindi trasportavano in grandissima quantità (molte mercanzie) e si rifornivano nella detta città di Girgenti delle cose a loro necessarie, in tal modo la regia Corte otteneva notevoli benefici e così pure i cittadini, per il grande ritorno economico che avevano ad Agrigento, grazie al fatto che il Caricatore era ben avviato e per la grande quantità di frumento che veniva importato si ottenevano notevoli introiti, come anche grazie ai dazi doganali e le gabelle che si pagavano per il commercio del vino e della carne e per le cose necessarie; così tanta era la moltitudine di gente che arrivava a Girgenti dalle terre vicine che ogni giorno sembrava giorno di mercato e il vendere e l’acquistare che ognuno esercitava e il profitto da ciò realizzato erano notevoli).
Elio Di Bella