Le sorti della città sembrarono comunque volgere al meglio quando nel 1817, grazie al regio decreto che mutava in Sicilia il sistema amministrativo, Girgenti divenne capovalle, avrebbe retto pertanto una delle sette provincie borboniche dell’Isola. Ciò assicurava alla città soprattutto un grande sviluppo nel settore dei servizi pubblici.
Ed in effetti il provvedimento ebbe una certa importanza nella vita della città in quegli anni, ma assai meno rispetto alle aspettative.
La vita degli Agrigentini allora era funestata oltre che dai notevoli problemi economici, anche dalle frequenti epidemie e dalla pessima amministrazione dei vari settori della vita pubblica. Ciò provocava malcontento presso tutte le classi sociali.
Non dobbiamo stupirci pertanto se Girgenti nel 1820 fu tra le prime città dell’Isola ad aderire al moto rivoluzionario che prese l’avvio a Palermo e in breve coinvolse molte città della Sicilia. Anche se a Girgenti non si verificarono episodi particolarmente gravi e cruenti in quei giorni, quando le truppe borboniche ripresero il controllo della Sicilia, la città pagò duramente quella ribellione.
La protesta antiborbonica continuò a vivere soprattutto grazie alle società segrete che anche nella provincia agrigentina si svilupparono, nonostante il rigido controllo della polizia borbonica.
Tali società segrete guidarono la rivolta del 1848, scoppiata presto in città e questa volta alimentata dalla convinta adesione non solo della classe popolare ma anche di quella borghese e di una parte dello stesso clero.
La Guardia nazionale agrigentina riuscì ad avere la meglio sui presidi borbonici e un comitato rivoluzionario, guidato dall’ex colonnello borbonico, Gerlando Bianchini, guidò la vita cittadina sino alla fine della rivolta. L’esempio di Girgenti è rimasto tra i più importanti nella storia di quei moti in Sicilia.
Ma anche questa esperienza rivoluzionaria siciliana si concluse in un fallimento. La logica della Restaurazione ebbe la meglio e i Borbonici invasero la Sicilia di truppe e riportarono il loro ordine in ogni città. Tra i 43 esclusi dall’amnistia vi furono alcuni agrigentini, tra i quali lo stesso Bianchini che riparò a Malta, dove si suicidò.
Nei mesi successivi, i borbonici parvero avere imparato qualcosa da quegli eventi perché aprirono molti cantieri per dare lavoro agli operai agrigentini, che si trovavano in condizioni difficilissime. In questo periodo la città cominciò a mutare anche la propria struttura urbana. Vennero realizzati viali, ville, giardinetti, palazzi pubblici anche dentro le mura che dal Quattrocento costituivano il recinto della città. Venne anche ristrutturato il Molo.
Ma lo spirito antiborbonico, anche dopo la repressione del 1849, continuava a diffondersi. Una certa fortuna ebbe persino il movimento mazziniano, specie tra la gioventù studiosa di Girgenti.
Alcuni agrigentini parteciparono all’episodio della Gancia e furono accanto a Crispi e agli altri emissari garibaldini che prepararono lo sbarco dei Mille.
Così quando nel luglio del 1860 le camice rosse, guidate da Bixio, fecero il loro ingresso, la città accolse festante la fine del regime borbonico e si augurò per tutti un diverso futuro.
Fin dalla vendita dei beni ecclesiastici, con la coscrizione obbligatoria e le nuove odiose imposte, specie quella sul macinato, gli Agrigentini avvertirono invece una profonda delusione per quanto avveniva anche sotto il nuovo regime.
Le condizioni delle classi più umili rimanevano difficilissime, una nuova epidemia di colera nel 1867 aveva colpito la città, importanti settori economici, come quello legato alla commercializzazione dello zolfo languivano per la mancanza di una adeguata politica economica e delle necessarie infrastrutture (il Molo non funzionava adeguatamente, le ferrovie rimanevano un sogno). Lo sviluppo era molto lento, sebbene in alcuni periodi si siano registrati dei miglioramenti, ma erano di corto respiro e a giovarsene erano poche famiglie che continuavano a mantenere in città il potere (la camerilla), anche se insidiati da una coraggiosa opposizione, espressa anche da movimenti progressisti abbastanza diffusi come quello dell’internazionalismo socialista.
Così alla fine del secolo esplose soprattutto nelle provincie di Girgenti e di Caltanissetta il movimento dei fasci siciliani che ottenne in pochi mesi uno straordinario successo e vinse in alcuni centri dell’agrigentino anche le elezioni amministrative del 1890. Si trattava soprattutto di una organizzazione a carattere sindacale che intendeva far sentire in alto la propria voce per ottenere miglioramenti nella vita economica e civile e per contare di più nella vita politica locale.
Come è noto, il presidente del consiglio Crispi, di Ribera, prendendo a pretesto alcuni disordini scoppiati durante le manifestazioni dell’autunno del 1891, sciolse il movimento dei fasci siciliani con la forza e proclamò in Sicilia lo stato d’assedio.
Svanita anche quest’ultima speranza a molte migliaia di lavoratori agrigentini non rimase che la via dell’emigrazione e con questo triste evento, che caratterizzò gran parte della vita delle famiglie agrigentine ancora per diversi decenni, si chiuse il secolo.
Elio Di Bella
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All’alba del secolo scorso la città di Girgenti (oggi Agrigento, in Sicilia) contava circa 26 mila anime. Francesco Vergara, duca di Cracò, in un’opera pubblicata a Palermo nel 1806, ci ha offerto una delle poche descrizioni delle condizioni sociali, politiche e religiose della città di Girgenti nei primi anni del secolo: “Situata in eminente scoscesa, sette miglia in distanza dal lido, ov’è il Caricadore, ed il novello Molo, gode i vantaggi di un’area salubre e di piacevole veduta. Torreggia la Basilica nell’altura, vi ha la sua sede il vescovo e gli fanno cerchio venti Canonici ed altri trenta Prebendati, tutti con lautissimi appannaggi.
Tra quelli con le dignità di decano, Ciantro, di Arcidiacono, di Tesoriere. Il magnifico Palazzo del vescovo ne è una continuazione. San Libertino ne fu il primo Vescovo nei tempi Apostolici, ed il compatriotto San Gerlando allorché il Conte Ruggeri rinovellò questa sede, su cui splende adesso Mons. Saverio Granata, Teatino Messinese, dal 1795; pella festività di quel Santo (San Gerlando) nella seconda domenica di Pasqua si tiene un assai lucroso mercato per 15 giorni, che serve molto ad animare il commercio interno dell’Isola.
Il Seminario dei Chierici fondato da Mons. Cesare Marullo, nel Palazzo altra volta dei Chiaramonte, nel 1575 ebbe notabile accrescimento dal suo successore Vincenzo Bonincontro. Vi si accorse da vari Poeti ad appararvi l’utili cognizioni, e con ispezialità quelle proprie alle persone di Chiesa. Decente è la Casa Civica, e del pari all’altre Città del regno. Il Governo sceglie tra i Nobili un Capitano, che veglia sugl’affari di giustizia insieme con due Giudici, e quattro Giurati, pella buona amministrazione dei viveri, e della pulizia, in più della cittadinanza, che in numero, dicesi, di quasi ventiseimila.
Nel castello presiede alla guarnigione un distinto uffiziale. Abbelliscono anch’esse Girgenti le Chiese di S. Michele e S. Pietro, aventi i loro Curati di S. Croce e del Duomo.
Su i rimasugli del tempio di Cerere ergesi il bell’oratorio di S. Biagio, ma non vi sussistono gli antichi monasteri dei Cassinesj, e dei Cisterzienzi, decentissimi vi sono i conventi e le Chiese dei Carmelitani e l’Oratorio degli Agostiniani Scalzi. L’Abbadia Grande di Santo Spirito, fondata dalla moglie di Manfredi Chiaramonte Conte di Modica. Le Clarisse di S.M. dell’Ajuto, l’altre di San Vincenzo sotto il vecchio Castello che soltanto serve di prigione; il ritiro di correzione, lo Spedale, due Collegj di Maria, il Monte di Pietà, la Commenda di S. Maria Maddalena un tempo de’ Teutonici oggi di Malta” (Francesco Vergara e Caffarelli, Duca di Cracò, Descrizione geografica dell’Isola di Sicilia, Palermo, 1806, vol. I, pp. 56-59).
Un altro viaggiatore, il professore in filosofia e teologia Federico Munster, che aveva visitato Girgenti qualche anno prima, aveva trovato le sue strade “incomode, alcune dritte, ma nella maggior parte scoscese, ed anguste. Non vi sono belle fabbriche, le case si trovano troppo ristrette, e quasi tutte costruite senza calce” (Federico Munster, Viaggio in Sicilia, Palermo, 1823. Il viaggio è stato compiuto da Munster nel 1785).
Il principe di Biscari, Ignazio Paternò, notò invece che Girgenti è tra le città più mediocri del Regno e consigliava il viaggiatore, “tralasciando di entrare in città” di dedicarsi esclusivamente alla visita dei Templi greci (Ignazio Paternò, Principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Palermo ,1817).
Elio Di Bella