
L’ex Feudo “ Civita „
1. Havvi in Agrigento un ex feudo denominato «La Civita » dentro del quale sorgono i maestosi tempii dell’epoca greca e, ad ogni piè sospinto, si riscontrano monumenti ed avanzi di antiche costruzioni. Se si facessero scavi, ne verrebbe alla luce una buona parte dell’antica città.
Prima di procedere oltre, mi pare opportuno di mettere in evidenza questo nome di «Civita», conservato intatto a quei luoghi dai tempi romani ad oggi, da duemila anni in qua.
1) Fazello, quattrocento anni or sono, così scriveva : « Id solum hodie constat, quod vetus urbs, quae vulgo adhuc Civitas dicitur, prorsus jacet, nulla aedificiorum antiquorum (ut dixi) majestate integra». (1)
Ebbene io non credo che quello sia un indizio da doversi trascurare, quel nome solo ci addita, che la città, la civitas, si trovava qui, in questi luoghi.
2. Guardando la Civita dalla spiaggia del mare, e meglio ancora dalla cima della Rupe Atenea, donde si può abbracciare tutta, con unico colpo d’occhio, si riceve la prima impressione, che poi è la genuina, che solamente là dentro l’antica città era contenuta. La Civita infatti è costituita da un altipiano sopra del quale si erge come torre ferma la Rupe Atenea. In genere essa è pianeggiante nella parte orientale e nel centro, ma poi abbastanza accidentata nella parte volta all’occaso. La nota caratteristica della contrada è questa, che è orlata tutta all’intorno di una roccia, dove più e dove meno alta, ma sempre dalla natura tagliata a picco, e quella roccia alla sua volta è sovrastante ad altri scoscendimenti di terreno: la Civita dunque forma come un corpo a sé separato fortemente da ogni altra parte del territorio agrigentino; e non suscettivo di essere confuso con verun’altra parte del terreno circostante.
3. I confini della tenuta Civita sono i seguenti :
A Nord la Rupe Atenea, dalla Villa Garibaldi sino alla sua estremità orientale; termina dal lato esterno con un taglio netto verticale dell’altezza media di 30 o 40 metri, e dove la roccia finisce comincia alla sua volta un terreno scosceso di 1000 o 1500 metri, in molte parti anche oggi impraticabile.
Ad oriente: dalla Rupe Atenea alla roccia su cui giace il Camposanto, si nota un avvallamento di parecchie diecine di metri, situato sopra un terreno molto scosceso che va a terminare al fiume S. Biagio, Dal Camposanto al Tempio di Giunone (2) abbiamo un sasso, egualmente tagliato a picco dalla natura dell’altezza approssimativa di venti metri circa, e che sovrasta egualmente un altro terreno scosceso ed a forte pendio. Su questa linea si apre un solo varco, probabilmente la Porta di Gela.
Queste balze formano il confine orientale della tenuta Civita
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Dal mare o da quei pressi si abbraccia con l’occhio tutto il lato meridionale dell’ex feudo Civita, costituito da una linea retta di due chilometri e più. S’innalza nella pianura fluviale dell’Akragas mediante un piano inclinato dove più e dove meno rapido, terminato alla sua volta dal solito sasso di pietra viva, tagliato verticalmente. Lungo questo lato meridionale della Civita si osservano oggi sei tempii in fila, quelli di Giunone, della Concordia, di Ercole, di Giove Olimpio, di Castore e Polluce, e quello di Vulcano (3)
Infine, il lato di occidente non è riconoscibile a primo aspetto come gli altri tre, perché presenta curve e rientranze, e non può essere abbracciato perciò a colpo d’occhio. Esso però non è meno evidente, perché finisce nella stessa maniera con balze e precipizi in alcuni punti anzi ancora più marcati degli altri lati, come per esempio, nelle vicinanze del secondo ponte della ferrovia Agrigento – Porto Empedocle.
Dal tempio di Vulcano fino alla Serra Dara quelle voragini sovrastano il fiume Drago, che in quei luoghi assume il nome di fiume di S. Anna; poi la Serra Dara e la Serra S. Leonardo stanno sopra il vallone delle Cavoline; e quindi dalle radici della Rupe Atenea sino alla Villa Garibaldi eravi un grande burrone denominato la « Nave ».
note
(1) Fazello, Deca I-Lib. VI.
(2) Quel tempio viene chiamato indifferentemente coi nomi di Giunone Lucina e di-Giunone Lacinia. Faccio notare alle persone profane di storia e di mitologia, che i due attributi della divinità non hanno nulla di comune fra essi; il primo. Lucina, deriva da lux. luucis era la moglie del dio della luce, che apportava al mondo essa pure la luce, ed aveva sotto la sua protezione le donne prossime a dare alla luce. Juno Lucina la chiamavano i Romani, gli Ellenl la dicevano Era Eileithyia. Il tempio è greco; vuol dire che se fosse vero che dai nostri padri antichi sia stato dedicato a questo nume, noi oggi lo chiameremmo con lo stesso nome tradotto in latino. Il secondo attributo, Giunone Lacinia, proviene dal tempio famoso dedicato a Giunone sul Capo Lacinio, nel Mar Jonio, tra il golfo di Taranto e quello di Squillace :
«… hinc sinus Herculei, si vera est fama. Tarenti
Cernitur, attollit se diva Lacinia contra.
Caulonisque arces, et navifragum Scylaceum »
VIRGILIO – Eneide Lib. III – v 551 -553
Ed anche Diodoro Siculo fa menzione di questo tempio famoso sul Capo Lacinio, allor quando narra la passata degli Ateniesi in Sicilia — Lib. XIII -.
Il primo attributo adunque, si riferisce ad una qualità del nume: essere propizio alle partorienti: il secondo riguarda un luogo preferito dalla dea, perché vi otteneva una grande venerazione. Come si vede è un errore chiamare promiscuamente il nostro tempio di Giunone Lucina o di Giunone Lacinia, come se si chiamasse una sacra immagine un pò Madonna Concezione, e un poco Madonna di Pompei.
E qui ritengo opportuno un Nota Bene. Nel corso della presente monografia chiamerò i nostri templi e monumenti antichi con quegli stessi nomi coi quali sono volgarmente intesi : la mia convinzione in proposito è questa, che tolto il tempio di Giove Olimpio, la cui identificazione è certa, i nomi di tutti gli altri sono, non solamente arbitrari, ma sicuramente sbagliati. Pero un senso di opportunità deve consigliare a noi di seguitarli a chiamare con gli stessi battesimi sbagliati che si hanno, tanto per poter capire, e poterci fare capire. Avviene spesso, infatti, che ogni scrittore crede di poter affibbiare dei nuovi nomi ai nostri monumenti, e, mancando di prove sicure, si affida a delle semplici impressioni personali. Cosi, per portare un esempio: l’Holm propone di chiamare il nostro tempio di Giunone col nome del dio dei mari, Poseidon; Leake (v. Schubring pag 181), lo suppone consacrato a Cerere e Proserpina; il Picene a Venere Urania; lo Schubring ad Apollo, ecc. ed intanto il nostro popolo non è rimasto convinto delle ragioni portate da ogni singolo scrittore, e seguita a chiamarlo tempio di Giunone Lucina, o Lacinia.
Di fronte alle persone competenti è onesto dichiarare che, col materiale scientifico e letterario posseduto fin oggi, riesce facile a dimostrare l’errore dei nomi attribuiti ai nostri monumenti, ma tuttavia ci dobbiamo contentare di lasciarli correre almeno per intenderci nel parlarne
(3) I Greci solevano innalzare vicini l’uno all’altro i loro tempii maggiori a quelli dedicati alle divinità maggiormente venerate, e poi circondarli di un recinto sacro — cosi in Atene, in Olimpia, e altrove. Agrigento li mise in fila lungo le sue mura meridionali, come permetterli in bella mostra a coloro che venissero per mare.
Michele Caruso Lanza, Osservazioni e note sulla topografia Agrigentina, Agrigento, 1931, pp. 23-37