
Una delle più singolari feste campestri è quella che, ogni anno, si celebra nella valle di Santanicola (San Nicola) in onore del Signore della Nave.
Fin dal mattino, lungo la Via dei Templi, è un formicolìo di gente. Allegre comitive su carri siciliani vanno al suono di tammura e di friscaletta e si fermano nei pressi della chiesa, sul prato antistante, alla Casa Romana, all’ombra degli alberi o dei loro carri, che hanno spaiato dai muli e messi con le aste all’insù.
Giorno di scialo è quello; e la baldoria aumenta man mano che la spianata della Chiesa, il prato adiacente si popola di macellai, di friggitori, di venditori ambulanti, venuti dalla città a rendere omaggio ò Signiruzzu.
I cubaitara piantano le loro tende. Già i macellai incominciano a capuliari la carne per farne salciccia e i friggitori, che hanno improvvisato i loro fornelli sulle scarpate o lungo le siepi, gridano: — Veni mancia e veni frii, senza grana nun ci viniri!…
Queste grida, ripetute da due, tre, quattro friggitori, accompagnati dal frastuono dei macellai, che maciullano e tritano la carne, frammiste a quelle dei rivenditori ambulanti e ai canti della ciurma avvinazzata, produce uno stordimento, che fa dimenticare, per poco, le angustie e le afflizioni della vita cotidiana.
Un chiasso festaiolo è da per tutto. Asini, muli, carri si sono assiepati lungo lo stradale gremito di uomini, donne, fanciulli. Un odore di carne arrostita si spande per l’aria e una leggiera sottile nebbiolina di fumo investe i passanti col suo piccante profumo.
Sui prati, sulle siepi, sui ruderi della Casa Romana, nel giardino retrostante alla chiesa, sotto i pini ombrelliferi, ovunque sono capannelli, comitive, famiglie che mangiano per la prima volta carne di maiale e bevono e scialano. Le liete brigate, tra un sorso e l’altro di vino, dànno la stura ai brindisi, ai canti, agli schiamazzi.
— Cumpà, manciamu e vivemu a la nostra saluti!…
— Vivemu, cumparii… — e i bicchieri si svuotano l’uno dopo l’altro, con l’epicurèa spensieratezza degli antichi agrigentini.
’U Signiruzzu d’a Navi, come il Santissimo Crocifìsso di Siculiana, è miracoloso ed ha una leggenda, che trascrivo come l’ho intesa da una vecchia contadina.
“Signù, — mi diceva — lu nostru Signiruzzu è miraculusu. I nostri vecchi cuntanu ca lu truvaru supra ’na navi, nni la spiaggia di Santuli. ’A navi comu fu vicina a la forgia, nun ci fu versu ca potti sicutari la so’ strata. Chi è chi nun è, cercami e trovami nni lu funnu ’na cascia sigillata. L’aprinu e vidimi lu nostru Signiruzzu: chistu ca ora è nni la nostra chiesa. E lu purtaru ’n prucissioni cu gran festa sina cca, nni sta chisuzza di Santanicola, ca è antica assà. Dicinu ca li puvireddi ca eranu malati a mala pena lu tuccaru si guareru. E chiddi ca l’havianu nni la navi, ca eranu saracini, a sti miracoli si cummirteru. Di tannu lu Crucifissu lu chiamaru ’u Signiruzzu di la Navi. Chi festi, signù, haiu vistu ogn’annu! „.
’U Signiruzzu di la Navi ha mollissimi fedeli. Il giorno della festa molte contadine vengono da lontano a piedi scalzi, coperti, cioè, soltanto da piduna (calze) e recitano sotto voce delle preghiere. Questa particolare forma di pellegrinaggio si chiama viaggiu ’n piduni.
Nel pomeriggio il Crocifisso è portato fuori dalla chiesa in un fercolo, accompagnato da una folla di campagnoli, nei costumi caratteristici, sino alla porta della città, dove sosta un po’ per poi ritornare in chiesa.
Già il sole è completamente scomparso dall’orizzonte, lasciando dietro Monserrato un bagliore di fiamma. Le ombre della sera vengono giù dense con le prime stelle.
La processione, al lume delle torce e al suono dei tamburi, è d’impressione fantastica.
Quando il Crocifisso giunge sulla spianata
della Chiesa, ha luogo lo sparo dei mortaretti.
É bello vedere, nell’oscurità, lo scoppio delle bombe, le quali fanno piovere dal cielo, a mille a mille, faville multicolori.
Frattanto la turba, gavazzando ancora, si spande nella vallata al chiarore dei rossi fuochi sparsi qua e là per la campagna. Gli echi di quel frastuono volano infino ai tempii lontani e destano nella nostra fantasia il ricordo degli antichi baccanali. A poco a poco la valle si spopola.
La luna, intanto, gobba e sanguinolenta s’alza dal San Biagio e, a poco a poco, illumina la valle acragantina, mentre lo zirlìo dei grilli rompe il silenzio solenne della notte luminosa.
Calogero Ravenna, La sagra del Signore della Nave, Agrigento, 1938