
“ La popolazione antica della Sicilia „ del Beloch
1. Ho parlato di Siracusa perché gli scrittori dell’antichità si occuparono a preferenza dell’astro maggiore; ma quando noi sappiamo che in quei tempi fortunati tutte le città della Sicilia erano ugualmente popolose e fiorenti, credo di aver parlato implicitamente anche della importanza di Agrigento.
Essa fu detta sempre una grande città, e a dire del Beloch, di colui che dà alle città popolazioni minime. Agrigento e Taranto (non dico Siracusa) superarono tutte le città della madre patria, e la sola Atene poteva gareggiare con esse, considerando insieme l’Asty e il Pireo (1).
Per popolazione e potenza Agrigento fu senza dubbio la seconda città dell’isola, si che parecchie volte volle aspirare alla egemonia della Sicilia, come ai tempi di Falaride e dei suoi successori, allor quando arrivò a conquistare quasi tutta la parte occidentale e settentrionale sino ad Imera ed al mar Tirreno, e si spinse sino a Leontini; e poi quando insorse contro Agatocle; e sotto il comando dell’agrigentino Senodico bandì la guerra a tutti i tiranni della Sicilia.
Ebbene, certi dati di fatto ci mettono nella necessità di mantenere una certa proporzione fra le due città sovrane, e se Siracusa occupava l’area contenuta entro il perimetro di 180 stadi e con una immensa popolazione, possiamo credere che Agrigento abbia avuto un’estensione minore ed una popolazione più limitata, ma non faremo delle differenze troppo marcate per non creare delle inverosimiglianze ad episodi storici certi.
2) Diodoro riferisce che ai tempi della seconda spedizione punica in Sicilia, Agrigento contava una popolazione di 200 mila (2). Diogene Laerzio la portava a 800 mila (3). Questa difformità tra le due cifre è stata spiegata in questa guisa: che il primo parli dei cittadini: uomini atti alle armi, mentre il secondo accenni al numero effettivo della popolazione; considerando che in Grecia la proporzione tra il numero dei cittadini atti alle armi e quello della intera popolazione (comprese le donne, i servi ed i meteci) era di 1 a 4; le due cifre adunque, in apparenza discordanti, in fondo corrispondono tra esse.
Altri la spiegano in quest’alla maniera: che nel vasto territorio della città risiedessero gli 100 mila sopra indicati, e dentro le mura da 200 a 300 mila. Per verità queste cifre sono state accettate sempre dagli scrittori antichi e moderni, fino al nostro Picone, al Fischer, all’Holm, allo Schubring. L’Holm, attribuisce a tutta la Sicilia una popolazione complessiva di 3.620 mila, il Fischer di 3 milioni.
Tutti adunque convengono approssimativamente in quelle cifre : solo il Beloch ne dissente, portando la popolazione di tutta la Sicilia ad 800 mila, assegnandone al territorio agrigentino 124 mila (4) ed alla città da 50 a 60 mila (5).
È vero quello che sostiene la critica moderna, che i Greci magnificarono esageratamente le cose loro e quelle dei romani loro vincitori, sì che dal Vico e dal Niebhur in qua c’è stata una specie di reazione contro di essi; però lo studio del Beloch a me sembra, che pecchi di esagerazione nella reazione.
3. Io non scendo a dettagli, e credo che nelle cose antiche, anche nelle moderne, dobbiamo restare soddisfatti quando si possono stabilire delle cifre ragionevolmente approssimative. Non saprei approvare perciò numeri, che hanno l’aria dell’esattezza aritmetica, come i 124 mila dal Beloch attribuiti al territorio agrigentino, e che non potevano essere le cifre più arrotondate di 1-5 o 130 mila, ed i 3.620.000 dati dall’Holm alla Sicilia, come se quei 20 mila, in più della cifra grossa e tonda di 3.600 mila, fossero stati esattamente numerati e calcolati.
Gli antichi non facevano il censimento della popolazione, come oggi, ma per necessità di cose, ai fini della leva militare, tenevano i registri dei cittadini atti alle armi, ed anche in questa guisa si giungeva bene a conoscere il numero (6). Pertanto, se le fonti a cui attinsero Diodoro e Diogene Laerzio erano al caso di conoscere la verità, e se tali notizie concordano con quelle altre che si ricavano dalla storia, e con l’importanza dei monumenti arrivati sino a noi, non mi sembra logico doverli smentirli in modo marcato. Crederemmo a delle esagerazioni? E sia pure: i cittadini di Agrigento non saranno stati 800 mila; ma da quella cifra ad arrivare sino a 50 mila del Beloch la differenza è troppo forte. Un pò di discrezione è sempre prudente : sit modus in rebus.
4 II Beloch ottiene risultati cosi meschini in base a criteri fondamentali tutt’altro che esatti. Nella presente monografia non mi è lecito occuparmi di tutti gli argomenti trattati dall’illustre Professore, ne tocco solo uno che è fra i principali :
«Non vi può essere questione di una decadenza del- l’isola, di un esaurimento della terra in confronto dei tempi «antichi; che anzi la rendita dei campi nativi, probabilmente, non fu giammai più alta di quanto lo è oggidì… ». (7) Così egli scrive, e calcola un prodotto medio del frumento del 6 per 1 di semenza. « Oggi (continua) la Sicilia non è più in grado di esportare grani, ed appena basta a se stessa (8 ), mentre allora ne mandava fuori una grande quantità; e dell’intera produzione del frumento, detraendo quello che si pagava come tributo, quello che si esportava, «a semenza, etc , ne rimaneva così poco nell’isola che in ragione della quantità bisognevole al consumo di ogni individuo la Sicilia non poteva avere una popolazione densa come quella di oggi (9), e di qui gli 800 mila in tutto distribuiti un po’ per una alle singole città e regioni».
5. Nessun maggiore errore che giudicare delle cose antiche con criteri moderni; nel caso in specie credere che una terra sfruttata per tremila anni e più possa conservare la stessa forza produttiva dei terreni vergini (In Babilonia oggi non si ha quella produzione del 300 per uno, vista da Erodoto (10).
Ma ciò che mi fa vedere come il Beloch non si sia reso esatto conto della cosa, è l’argomento da lui addotto per assottigliare la produzione dei tempi antichi, e che dimostra invece la tesi perfettamente opposta. Allora (egli osserva) le montagne di Sicilia, dall’Etna al mar Tirreno, erano coperte di boschi, prova ne sia che ancora al tempo della dominazione araba i fiumi erano più ricchi di acqua (11).
Verissimo: e prove di cotesto fatto ne potrei addurre parecchie, e fra le altre la mia testimonianza. Cinquanta e sessanta anni fa i nostri fiumicelli di S. Leone e di Naro erano molto più ricchi di acqua, in estate avevano gorghi larghissimi e profondissimi che oggi non esistono più. Tale fenomeno però significa che allora pioveva assai; perocché le sorgenti ed i fiumi sono animati soltanto dalle acque piovane, ed oggi no; e posso aggiungere che nelle coste, dove sono i terreni pianeggianti e meglio adatti alla coltivazione dei cereali, per sei o sette mesi non piove mai e spesso le acque si fanno desiderare anche di inverno.
Prima dunque pioveva molto ed oggi no; allora le nostre terre erano irrorate dalle piogge e dai raggi del sole, ed ora l’acqua manca e ci è rimasto il sole africano. Data dunque questa grande differenza nelle condizioni meteoriche ed altresì lo sfruttamento della terra, ritengo non sia possibile non dico esatto il confronto fra la produzione del sesto e quinto secolo a. C. con quella di oggi. E non parlo di altre cause di minore importanza, come le conseguenze del regime feudale, del monachesimo, del latifondo etc.
lo mi spiego perché l’antica favola abbia detto la Sicilia sacra a Cerere, che quivi sia avvenuto il ratto di Proserpina, che l’isola sia offerta dalla medesima come dono di nozze, e che quivi le due dee abbiano avuto il loro soggiorno preferito.
Non saprei però smentire Diodoro e fin anche Fazello, i quali affermano di aver visto nascere e produrre bene il frumento non seminato. Comprendo perché Alcibiade stimasse la Sicilia come un magazzino dal quale poter trarre le vettovaglie per gli eserciti greci, e Cicerone dicesse che la Si ciba sola abbia provveduto di vestimento e vettovaglia i più grandi eserciti romani; e perché Livio avesse affermato che la conquista dell’isola abbia sollevato il mercato di Roma e dell’Italia tutta, e Catone l’avesse chiamato la nutrice della plebe romana. Mi persuade la parola del Beloch che Pindaro e Teocrito non riconoscerebbero più la Sicilia da loro decantata perché oggi inaridita e deserta; ma trovo incomprensibile il cennato confronto di lui con tutte le conseguenze, che egli ne tira, in ordine alla densità della popolazione.
G. Il Beloch desume la quantità del frumento prodotto dalla Sicilia nei tempi antichi dalle notizie lasciateci da Cicerone nelle Verrine. Anche questo è un errore basilare in cui è incorso, perché egli non si rende ragione delle conseguenze che arreca necessariamente, il cambiare delle condizioni delle cose e dei tempi. Diodoro Siculo e Strabono descrivono lo stato dell’isola nostra nel tempo della sua maggiore felicità, e poi, alcuni secoli dopo, al tempo di Cicerone.
Sentiamoli : Dice il primo «che dopo la battaglia d’Imera «coltivando i Sicelidi in piena pace il territorio loro fertilissimo, ben presto 1′ abbondanza li fece ricchi; e tutto il paese fu pieno di servi, che lavoravano, e di bestiame di ogni sorta, e di ogni cosa infine per le quali si vive «felicemente, crescendo ogni ora i proventi (12)
« Gli Agrigentini (nella previsione dell’assedio ad opera dei Cartaginesi) presero l’espediente innanzi tutto di trasportare in città frumento ed altri frutti della terra, e quanto vi era di meglio in dovizie di ogni maniera; poichè a quel tempo e il contado e la città erano ricchissimi di ogni cosa, del che credo non inopportuno dare qui un’idea. Hanno gli Agrigentini vigneti di ampiezza spaziosissime di amenità egregia. La parte massima del loro paese è coperta di olivi dei cui frutti, o in olio o in natura, andavano a far mercato a Cartagine, perciocché a quel tempo in Africa codeste piante non ancora si coltivavano e per tale via guadagnavano immense somme. E dell’opulenza, a cui sorsero, restano anche presentemente parecchie prove, di che dirò qualche cosa », (13) e seguita di questo passo.
Strabone descrive in ben altro modo lo stato dell’isola al tempo della dominazione Romana. « Degli altri lati della Sicilia quello che dal Pachino tira al Lilibeo è tutto abbandonato, serbando solamente qualche vestigio degli antichi edifici tra i quali è Camerina, colonia dei Siracusani. Vi è rimasto pure Agrigento degli Ioni e la stanza delle navi, e il Lilibeo. Perciocché essendo state queste parti in massima soggette ai Cartaginesi, per le spesse e lunghe guerre, che vi si facevano, molte ne andarono in « ruina. L’ultima e la maggiore costa (la settentrionale) ancorchè essa non sia abbondante di abitatori, è nondimeno assai bene edificata. Questi deserti adunque essendo stati conosciuti dai Romani, poiché ne furono padroni, concessero le montagne e la maggior parte delle pianure ai guardiani di cavalli, di buoi e di pecore, dai quali fu l’isola molte volte posta in pericolo ». (14)
Ecco lo stato della Sicilia nei suoi tempi felici, e poi al tempo della dominazione romana; il distacco fra l’uno e l’altro è così forte, che non mi sembra possibile alcun confronto, sotto nessun riguardo. Altra cosa doveva essere la produzione del frumento, quando le campagne erano popolate di gente libera; che sapeva coltivarle; e ne aveva i mezzi; e le coltivava nell’interesse proprio; e ne valorizzava i prodotti spedendoli all’estero; e ben altra dovette essere la produzione ottenuta nel tempo in cui la terra era deserta, tenuta soltanto ad uso di pascolo, ed abbandonata nelle mani di pochi guardiani di cavalli, di buoi e di pecore, di schiavi cioè che odiavano i padroni e congiuravano contro di essi.
Il Beloch non tenne conto, che nei quattro secoli, seguiti a quel tempo beato, la Sicilia dovette subire le devastazioni ed il dominio dei Cartaginesi, e le guerre e le conquiste dei Romani, e per tino le guerre servili, a cui accenna Strabone nel passo sopra riportato. Parlare dunque indifferentemente dell’uria e dell’altra epoca costituisce un vero e proprio criterio erroneo.
7. E per ultimo dirò che non è neanche vero che la densità della popolazione debba misurarsi dalla quantità del frumento prodotto: l’Olanda, il Belgio e la Germania ne producevano e producono pochissimo, eppure— specie prima dell’immane guerra mondiale — erano i paesi più ricchi e più popolosi di Europa
8. Per concludere: lo studio del Beloch è fondato sul preconcetto che gli antichi scrittori guardassero le cose loro con la lente di ingrandimento; egli però, a titolo di reazione le rimpicciolisce troppo.
note
- Julius Beloch, La popolazione antica della Sicilia » Trad. di Allegra De Luca Pag. 21,
- Lib. XIII Cap. XV.
- Vita di Empedocle.
- Op. Cit. Pag 68..
- Op. Cit. Pag 60.
- Plutarco – Vita di Nicia — XVIII
- Op. Cit. Pag 22.
- Op Cit. Pag. 27.
- Op. Cit. Pag. 36
- Lib. 1.
- Op. cit. Pag. 26.
- Lib. XI Cap. XVII.
- Lib. XIII cap. XV
- Lib VI
Michele Caruso Lanza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Agrigento 1931, pp. 104-112