
Fondazione d’Agrigento in Sicilia. (olimpiade XLIX, ann. 2, 582 avanti G. C.)
Agrigento che dovè principalmente a’ suoi tiranni una funesta celebrità, fu fondata, secondo Tucidide ( Diodor. lib. XVI.), da una colonia venuta da Gela, 108 anni dopo la nascita della medesima; calcolo che a riferir si viene al secondo anno della XLIX olimpiade. Tucidide è fra gli Antichi il solo che assegni questa data con precisione; non la da Eusebio (3), ma mette il principio del regno di Falaride al secondo anno della XXXII olimpiade, 68 anni avanti la fondazione d’Agrigento; calcolo evidentemente falso. Non bisogna tuttavia accusar questo cronologista, imperocché, alcune pagine appresso egli rapporta il regno del medesimo Falaride al quarto anno della LIII olimpiade, data più conforme alla narrazione di Tucidide e a quella che dà Suida(4). L’epoca, a cui lo scoliaste di Pindaro, Demetrio Triclinio(5) , assegna la fondazione d’Agrigento, poco si discosta dal calcolo di Tucidide (6), poiché ei la ripone verso la L olimpiade, e io stesso Pindaro par se n’avvicini, allorché egli mette fra la vittoria riportata da Terone a’ giuochi olimpici della olimpiade LXXVII e questa fondazione, un intervallo di cento anni; ma noi avremo ben presto occasione di spiegare questo importantissimo passo che Dodwel non ha ben compreso.
Agrigento era colonia di Gela, come lo dice Tucidide, l’autorità del quale confermata viene dalle testimonianze di Scinno da Chio e da Artemone di Pergamo(1). Polibio che ci ha lasciata una descrizione assai dettagliata di questa città dice essere stata fondata da’ Rodii, locchè non può intendersi che de’ Geloi, i quali erano effettivamente di rodici origine. Pur nondimeno lo scoliaste di Pindaro rapporta un’altra tradizione, secondo la quale una porzione della colonia che fondò Gela, si stabilì all’epoca medesima in Agrigento.
Ma questa opinione, contraria alla verosimiglianza e formalmente smentita dall’autorità più grave di Tucidide, aver non può altro fondamento che la vanità d’una città tropp’orgogliosa di sue ricchezze e di sua possanza, per non rendere alla sua metropoli povera ed abbietta lo rispetto che le si dovea(2); Pindaro cerca di lusingare questa vanità nazionale, nella sua ode indirizzata a un vincitore agrigentino.
Strabone pretende (3) che questa città era colonia di Jonii, e ciò che confermar parrebbe questa tradizione rigettata senza esame dai moderni Critici, si è che il culto di Minerva, divinità degli Jonii originari d’Atene, era stabilita in Agrigento e divideva col Giove Atabirio gli omagi de’ suoi abitatori. Diodoro fa menzione(1) d’una collina situata nella parte superiore della città, e che portava il nome di Ateneo, senza dubbio perchè il tempio di questa Dea eravi innalzato. Potrebbe spiegarsi questa origine jonia, supponendo che una parte degli Jonii Samii ed altri, che le conquiste de’ Persiani costrinsero a rifugiarsi in Sicilia, venne a stabilirsi in Agrigento; congettura cui non si oppongono le regole della critica, nè quelle della verosimiglianza. Ma un fatto riferito dall’istorico Menecrate(2) toglie via ogni difficoltà; secondo questo scrittore i Rodii che fondarono Gela e che da lì passarono in Agri-gento, discendevano la più parte da quegli Ateniesi, ch’erano partiti e che preso aveano parte alla emigrazione di Tlepolemo, e questi, come dicemmo dianzi, avevano già istituito a Rodi il culto di Minerva, che essi portarono ancora in Sicilia.
Agrigento ricevè inoltre intorno alla LVI olimpiade, una colonia, di cui la maggior parte dei moderni par abbiano ignorato l’esistenza, e di cui, per la ragione medesima, parmi di qualche importanza a ben determinare l’origine e il tempo. Pindaro, nella sua seconda olimpica, diretta al principe d’Agrigento, fa spesso allusione alla origine tebana del medesimo, e gli scoliasti ci ci han conservati i fatti che il poeta, nel suo figurato linguaggio, contentavasi indicar leggermente. Thera, che fu condottiero d’una colonia nell’isola dello stesso nome, ebbe Samo a figliuolo, e da questo principe nacquero Telemaco e Clizio. Ei par che quest’ultimo sia rimasto nell’isola di Tera, dov’egli succedè probabilmente a suo padre; Telemaco formossi uno stabilimento; l’espressione vaga dello scoliaste, non ci permette di affermare se ciò fu nell’isola stessa di Thera o altrove. Checche ne sia, pentissi egli tantosto d’uno stabilimento così precario, adunò una colonia, e trapassò in Sicilia, dove si rendè signor d’Agrigento. Lo scoliaste non lo nomina; ma poiché Terone era uno dei discendenti di quel Telemaco, e noi veggiamo tutta la di lui posterità stabilita in Agrigento, gli è ben chiaro non potersi diversamente interpretare i termini dello scoliaste, e questo si è in oltre quello che meglio dimostrerà ciò che segue.
Da Telemaco insino a Terone, l’antico scoliaste non conta oltre a tre generazioni, compresavi anco quella di Terone, ed ecco l’ordine con che egli le novera: Telemaco, Calciopeo, Enesidamo, Terone. Il nuovo scoliaste v’aggiunge Emmenide ( 1 ) tra Calciopeo ed Enesidamo; ciò però non basta onde riempiere l’immenso intervallo che separa Telemaco, nipote di Tera, da Terone, che fioriva nella LXXVII olimpiade. Gli è adunque ben chiaro esservi a questo luogo una enorme lacuna nel calcolo de’ scoliasti, e d’essa è certamente nella prima parte di questa genealogia, cioè a dire, in quella di Telemaco, che fia d’uopo riporre questa lacuna. Di fatto lo scoliaste medesimo (2) ci fa sapere che Telemaco avendo distrutta la tirannide di Falaride in Agrigento, vi si fermò, e che Emmenide, suo figliuolo, fu il padre à’ Enesidamo, che generò poi Terone. Questo passo dello scoliaste è tanto più a pregiarsi, che oltre la conferma ch’egli dà alla nostra spiegazione del passaggio dianzi allegato, ci dà a di vedere la data precisa dell’arrivo di Telemaco ad Agrigento. Falaride, secondo Suida(3), s’impadronì della tirannide in sul principio della LII olimpiade; e siccome questa signoria durò sedici anni, secondo la testimonianza d’Eusebio (4), gli è dunque intorno alla LVI olimpiade che noi dobbiam riporre il suo distruggimento, e l’arrivo della colonia di Telemaco. Il calcolo delle generazioni rafferma questa datà; di fatto, Pindaro dice(1), ch’ei corre presso ad un secolo tra la fondazione d’Agrigento e la settantesima settima olimpiade, in cui fioriva Terone, è partendoci dalla LVI olimpiade, epoca del rinnovamento d’Agrigento, che solo interessar poteva il poeta in rapporto al suo eroe, noi troviamo insino alla LXXVII olimpiade uno spazio di ottantotto anni che riempirono le tre generazioni di Telemaco sino a Terone.
Agrigento giunse rapidamente a un alto grado di potere, e divenne quasi all’istante preda dei tiranni. Il di lei sito sulla spiaggia della Sicilia più esposta alle invasioni de’ Cartaginesi, fu per lei le più volte funesta; assai spesso venne ella assediata e presa da costoro; rovinolla da cima a fondo Amilcare, il primo anno della XCIV olimpiade (2), e quegli tra’ suoi abitanti che sopravissero alla sua ruina, rifuggironsi dapprima a Gela, indi a Leonzio, che i Siracusani lasciaron loro. Gli è probabile, ch’ella fu ristabilita poco tempo appresso; conciossiachè noi veggiamo ch’essa fu a parte della spedizione di Dionigi contro ai Cartaginesi (3), il quarto anno della XCV olimpiade, e questi due fatti, contestati da uno scrittore nazionale e degno di fede a sufficienza distruggono l’asserzione di Plutarco(1), il quale pretende che Agrigento si rimase deserta dopo la guerra del Peloponneso infino a’ tempi di Timoleonte. A quest’epoca, secondo lo stesso istorico, ricevette ella una colonia elea, guidala da Filisto e Megillo, sotto l’autorità di Timoleonte, e questa colonia, di cui anche Diodoro attesta l’esistenza (2), rapportata viene da questo autore al secondo anno della CX olimpiade.
Poche colonie ci son note d’Agrigento. Una piccola città di Phalarium, sita in poca distanza di lei, e il cui solo nome dinota essere stata fondata da Falaride, fu senza dubbio qualcheduno de’ suoi primi stabilimenti. Camico, rinomata città nei tempi mitologici per la morte di Minosse (3), e che sussistè sempre da poi, era abitata dagli Agrigentini ai tempi d’Erodoto (4). Questa tradizione vien confermata da Ippostrate(5), il quale egualmente parla d’una colonia d’Agrigento condotta a Camico, e che per capi le assegna Ip-pocrate e Capys, sortiti dai ramo cadetto di Telemaco. Questi principi intrapresero certamente di contendere la sovranità a Terone che gli cacciò via, e fu allora ch’essi andarono a stabilirsi a Camico. Questo passaggio ci fa conoscere al medesimo tempo i capi, la cagione e l’epoca di quello stabilimento, che noi rapporteremo verso la LXXVII olimpiade. D’altronde, questa città, che non è guari conosciuta se non pei mitologici avvenimenti di cui fu essa il teatro(1), non è quasi rammentata in altra occasione; egli è ancora probabile che ella , del pari che tante altre città, subito avesse il giogo de’ Cartaginesi; e però è senza dubbio, che Strabone(2) la ripone nel numero delle città barbare della Sicilia; egli soggiunge di più ch’era deserta a’ suoi tempi e che non rimanevano che il solo nome; terribile calamità divenuta comune alla più parte delle greche colonie di questa isola, la di cui fertilità medesima ne cagionò la rovina, e dove, la merce della instancabile barbarie de’ suoi tiranni e dei suoi nemici, contavansi più ruine che abitazioni.
Raoul Rochet Storia delle colonie greche e del loro stabilimento in Sicilia, in Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia, Tomo XXX, anno VIII, aprile-giugno 1830, Palermo
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