“A dì 31 marzo del 1282 celebravansi i sacri vespri fuori le mura di Palermo, nella chiesetta di Santo Spirito, quando un soldato francese, di nome Drouet, mosso da libidine, sul pretesto di ricercar armi sopra una giovinetta palermitana, osò tentare immetterle la sua mano nel seno. Ma non giunse a contaminare la castità di quella vergine, chè un giovane, strappata al francese la spada gliela immergeva nel ventre. A quello spettacolo, fu unanime il grido che risuonò nella capitale, morte ai francesi”.
Il celebre episodio che scatenò la guerra del Vespro in Sicilia viene così ricordato dallo storico agrigentino Giuseppe Picone nell’operetta “Girgenti e il Vespro del 1282“, pubblicata nel 1882, in occasione del sesto centenario dei Vespri siciliani.
Al testo del Picone attingiamo le notizie sullo svolgimento di quei drammatici eventi nella città di Girgenti.
Durante la guerra del Vespro “un tal Arrigo di Girgenti fu spogliato dal popolo di tutti i beni, e fa meraviglia com’egli, devoto alla causa di Angiò, in quel furiare di turbe, fosse rimasto in vita, per lo che Carlo, nella speranza di riconquistarci, nel 1283 gli prometteva farlo giudice di questa città. Né possiamo permettere, che i nostri Manfredo e Giovanni Chiaramonte seguirono fino ad un anno dopo le parti di Carlo, ma poi rinsaviti, si volsero al partito ghibellino, ed un Riccardo Chiaramonte perseguitava un Federico Musca, forse girgentino, capo di taluni almugaveri , specie di zuavi algerini.
Allora Girgenti nominò i suoi capi, si resse a comune, e mandò i suoi rappresentanti in Parlamento.
Nel 6 maggio di quell’anno Papa Martino ci fulminava lo anatema e lo interdetto, e il nostro Vescovo ne veniva anch’egli colpito.
Furon serrate le chiese, fu negata la sepoltura, cessarono i riti sacri, ma non cessava negli animi dei nostri avi l’ardore della vendetta!
Pietro di Aragona, cui i siciliani avevano mandato ambasciatori, approdava a 10 agosto di quell’anno in Trapani con cinquanta galee, e molte navi da carico. Fu generale esultanza. La fiducia sopra una potenza riconosciuta dai governi, rinvigorì il coraggio e generò dei sospetti. Alaimo da Lentini, uno dei rigeneratori dell’Isola, venne accusato di parteggiare per lo espulso Angioino, e Girgenti a 13 o 14 gennaio 1285 vide, in una delle sue piazze, decollare Matteo Scaletta, perché fra tormenti confessò aver congiurato a favore di Carlo, con Alaimo suo cognato.
Malgrado le pertubazioni, e le guerre alimentate dalla pervicacia degli Angioini, malgrado gli anatemi di Onorio IV, e l’abbandono di re Giacomo, noi resistevamo alle pubbliche calamità, finché suo fratello Federico, da lui lasciato vicario nell’Isola, non ebbe riordinata la cosa pubblica, per cui Girgenti solennizzava nel maggio del 1293 pubbliche festività, ed ovazioni a Federico lo aragonese.
Egli nel 1295, fu proclamato nel Parlamento tenuto in Catania, re di Sicilia, e nel 1296, prode in arme, e di fermi propositi, investiva gli eserciti di Carlo II e ne trionfava nella celebre battaglia di Falconara, ove per noi pugnarono Manfredo e Giovanni Chiaramonte, girgentini, e Farinata degli Uberti, e dopo la vittoria, scorse per le città più famose del vallo, e toccò Girgenti, a rincorarla della vittoria, e delle riacquistate garantigie.
La città nostra apparecchiavasi ad un tripudio maggiore per la pace conclusa cogli Aragonesi nel 1297, in un luogo tra Sciacca e Caltabellotta, nel quale sorgevano due capanne di mandriani. Allora i due eserciti nemici posarono le armi, e si sbandarono lieti per la campagna e la vicina riviera. Da qui Carlo III, il duca Roberto, e i magnati che lor facevano seguito, onde approdare in Catania salparono, radendo lentamente il lido, che non spirava alcun vento, e pel primo toccarono Girgenti, ove furono rinfrancati di qualunque specie di ristoro, e di aperta ospitalità.
Così ebbe termine quella lotta sanguinosa, così Sicilia riprese il pacifico dominio di sè stessa”.
Elio Di Bella