Chi se lo poteva permettere, acquistava una cavagnedda di ricotta fresca che, al grido: “A ricò – ò- ò”, andava a ruba nei diversi quartieri della Città
Terminata l’uscita degli uomini verso le campagne, la calma durava ben poco. Dalle vie Anface e S. Stefano e dalla discesa Porto Empedocle, cominciavano a salire caprai e vaccai con i loro animali per fornire latte ai cosiddetti parrucciani (clienti abituali) che desideravano il latte munto sotto i loro occhi. Essi iniziavano dalla clientela del Ràbato superiore per spostarsi poi nel rione di via Garibaldi e negli altri quartieri della città.
Si vedevano transitare le mucche e dopo era la volta delle capre
Anche le mogli dei pecorai collaboravano, affinché anche ’a lacciata, che rimaneva nel calderone dopo che ’a tuma era stata estratta, fosse utilizzata. I mariti avevano avuto premura di prendere in affitto in vari punti del Ràbato superiore e inferiore un sottoscala o uno stanzino, ove veniva portato il calderone con a lacciata e veniva preparata ’a ricotta cu seru da vendere.
Infatti, a zà Milina Garretto, moglie di ’u zù Càmminu, quando nel calderone compariva la ricotta, iniziava ad abbanniari:
“’A ricuttedda calla è, curriti tutti ca picca cci nnè ”
“’U callaruneddu scinnutu è, curriti tutti ca picca cci nn’è!”.
Così, in via Cobajtari, nel cortile Zicari in un sottoscala di ’a zà Carmela Sapuritedda, accorrevano quanti non potevano permettersi una colazione con latte o ricotta abbondante: uscivano dalle loro case con un contenitore ove era stato sminuzzato del pane e, pagando poco, ricevevano un mestolo di siero con un po’ di ricotta e potevano consumare in tal modo una gustosa colazione.
Anche ’a zà Cicidda, sorella di Cicciu Signurinu, in altra zona preparava ‘a ricotta cu seru. Chi se lo poteva permettere, acquistava una cavagnedda di ricotta fresca che, al grido: “A ricò – ò- ò”, andava a ruba nei diversi quartieri della Città, ove era venduta o dai figli dei pecorai o dai loro garzoni.