Garibaldi in Sicilia
IL PROCLAMA DI MARSALA.
Siciliani. Io vi ho guidato una schiera di prodi, accorsi all’eroico grido della Sicilia – Resto delle battaglie lombarde, noi siamo con voi! – E non chiediamo altro che la liberazione della vostra terra – Tutti uniti, l’opera sarà facile breve – Allarmi dunque! Chi non impugna un arme, è un codardo od un traditore della patria. Non vale il pretesto – della mancanza d’armi. Noi avremo fucile, ma per ora un arme qualunque ci basta – Impugnata dalla destra di un valoroso – I municipi provvederanno i bimbi, le donne, e dei vecchi derelitti. – Allarmi tutti! La Sicilia insegnerà ancora una volta come si libera un paese dagli oppressori, con la potente volontà di un popolo unito. Firmato G. Garibaldi. (Giornale di Sicilia, 7 giugno 1860 numero 1).
L’ingresso a Palermo.
Comunicato ufficiale. La notte del 26 al 27 corrente il nucleo delle forze italiane e le squadre dei comuni della Sicilia girando le maremme del piano di Stoppa facevano un alto nel convento di Gibilrossa, donde poscia guadagnando rapidi sentieri dai Ciaculli alla Favara, giungevano al bivio della Staffa ai cui molini portavasi l’avanguardia del regi.
Questa che componevasi di un distaccamento di Cacciatori retrocesse incalzata sul Ponte dell’Ammiraglio, sostenuta da due compagnie della stessa arma che formavano l’ala sinistra delle truppe distese in linea sino al Camposanto.
All’urto entusiastico dei soldati italiani, all’invasione delle squadre armate che mi seguivano, il nemico batteva in ritirata riordinandosi sull’opposta riva del fiume, dove la carica di mezzo squadrone di cavalleria napoletana si ruppe all’impeto dei nostri prodi. La resistenza che opposero i regi fu gagliarda, ma il prestigio di una causa gloriosa, come assicura i nostri trionfi, così nullifica i loro sforzi e tutto il compito dei loro mezzi. Respinti sempre, operarono la ricongiunzione col forte delle truppe stanziate al quartiere Sant’Antonino; ma i nostri avviatisi per Porta Termini e impassibili alla mitraglia del piroscafo Regio che spazzava il Quadrivio, difilarono avanti l’eroe posto ivi in mezzo e penetrarono nella città.
L’alba mesceva i suoi raggi a quelli della vittoria, il movimento elettrico dei valorosi spandeva per tutto il raggio del paese.
Il reali ne subivano già la scossa vigorosa, e lasciando tutte le loro posizioni prese, al quartiere Sant’Antonino, ai Quattro Cantoni, a Porta Maqueda, riparavano, concentrandosi, al quartiere generale estendendo la linea per San Francesco di Paola insino ai Quattroventi. L’istesso giorno questa linea era rotta, chè da San Francesco di Paola veniano respinti. Il generale percorreva a cavallo la città sino piazza Bologni e poi stabiliva il suo quartiere generale a Palazzo Pretorio.
Ieri giorno 28 le carceri si vuotavano per la defezione de’ regi da quel locale, ed ai Quattroventi, dietrochè il paese fulminato dalle bombe e rovine, non ha fatto che ripetere con più energico entusiasmo il grido di Viva Vittorio Emanuele, viva l’Italia, viva Garibaldi. Dalle macerie sorge sempre un eco che risaluta costante l’aureola della libertà siciliana che fondesi nella immensa luce dell’italica nazionalità.
Oggi 29 maggio il guadagno di taluni pezzi di artiglieria tolti alle avanguardie del quartiere generale preludia nel momento in cui scriviamo altri più importanti successi.
Giova annunziare che la imponente vandalica risorsa del bombardamento è stata per protesta del corpo consolare interdetta. Dalla segreteria di Stato del governo provvisorio di Sicilia. (Giornale di Sicilia, 7 giugno 1860, numero 1)
CATANIA INSORGE E SI LIBERA DAI BORBONICI.
Il giorno 31 maggio i giovani più distinti e più volonterosi di dedicare la loro vita alla patria, annodati a attorno al prode soldato Giuseppe Poulet, piombarono ad attaccare il presidio Regio stanziato in Catania; e lo trovarono forte di trinceramenti, di barricate, di mezzi materiali di guerre, padrone dei punti strategici della città. Tale apparato, lungi di scorare gli assalitori, non fece che aumentare il loro entusiasmo guerriero; ed in breve ora superarono barricate, obbligarono l’artiglieria regia a tacere, costringendo la fanteria e la cavalleria ripiegarsi nel centro della città ed a fortificarsi nei palazzi delle strade Etnea, Ferdinando e Corso. L’eccessivo ardore che spingeva i nostri ebbe però attrarli dentro un cerchio di fuoco nei due larghi del Duomo e dell’ Università; le munizioni, nel maggior uopo, mancarono; sopravveniva contemporaneamente la colonna del generale A Fan da Rivera; ed a’ nostri fu forza lasciare le posizioni con tanto valore conquistate, ed i regi rimasero padroni della generosa sventurata Catania.
Il momentaneo trionfo è stato, al solito, segnalato con la viva ed efferata crudeltà degli incendi e dei saccheggi.
Il 3 giugno Catania fu libera, essendosi i regi ritirati verso Messina per la via di Acireale.
Traversando Acireale, rilevarono una dolente contribuzione di 4000 ducati (Giornale di Sicilia, 7 giugno 1860, numero 1)
I BORBONICI IN FUGA: I DANNI ARRECATI A PALERMO.
L’armistizio continua. I regi vanno effettuando il loro imbarco al Molo. Fra poco la città sarà sgombra della loro presenza.
In mezzo alle emozioni di felice successo, nell’ebbrezza di una realtà che par sogno, la città si inchina riverente a Dio, la di cui destra ha protetto la giusta causa nazionale; si stringe consensi di ammirazione, di riconoscenza, di devota fiducia al grande italiano, che ha deciso il trionfo di una rivoluzione, la quale, in tanta disuguaglianza di forze tra un potere forte ed armato ed un popolo oppresso e inerme, lottava ostinatamente da due mesi; abbraccia questi eroici fratelli, che dal Piemonte, dalla Liguria, dalla Lombardia, da ogni parte d’Italia, lasciando gli agi e le dolcezze della vita domestica, sono corsi nell’Isola a versare il loro sangue, e a dar tra noi l’esempio del coraggio, del sacrificio, del virile amore di patria, a compiere una delle più ardite e cavalleresche intraprese che le presenti generazioni ricordino; benedice agli stenti durati, ai corsi pericoli, a’ danni infiniti e gravissimi – a prezzo di una libertà che il paese saprà tener cara e difendere; poiché tanto ha sospirato, ha sofferto, ha combattuto a raggiungerla.
La curiosità degli stranieri presenti a Palermo non si stanca di portarsi sullo spettacolo delle enormi rovine cagionate dal bombardamento, dagli incendi, e da tutti i mezzi adoperati dalla ferocia del regi. Dopo le vicinanze del Duomo e del Palazzo Reale, l’attenzione lo stupore di tutti si arrestano sulle accumulate macerie del monastero di Santa Caterina, e di quel tratto della via Toledo che risponde di contro al Monastero delle Vergini e alla Chiesa di San Matteo. Del resto non è strada, non è isolato di case, che non mostri i suoi guasti e le tracce della vandalica rabbia. Tra per le offese nemiche e la calda e provvida cura che spingeva i cittadini a smuovere lastricati ed afforzare di barricate ogni angolo ed ogni sbocco di via, la materiale apparenza delle città di Palermo si mostra tale che si direbbe aver subito un cataclisma della natura (Giornale di Sicilia 11 giugno 1860 n.4)