Palermo. La mattina del 16 settembre 1866 verso le quattro antimeridiane si sentiva una viva fucilata dal lato meridionale e settentrionale della città. Accorsa la forza sul posto, avvennero degli scontri con comitive armate, le quali dapprima alquanto sgominate, ingrossando man mano di numero, invasero in tutti i sensi i principali quartieri della città stessa. Allora concentrato uno scarso numero di militi ed ufficiali di Guardia nazionale nel palazzo del municipio, si pensò a provvedere alla difesa di quel locale, ove erano già in sedute permanenti il Sindaco, i componenti della Giunta municipale e parecchi altri ragguardevoli personaggi. Verso le sette antimeridiane vi si recarono il Prefetto commendatore Torelli, col suo consigliere delegato cavaliere Achille Basile. Si operò una sortita per le vie principali della città dei militi e graduati della Guardia nazionale che in scarso numero si trovavano già raccolti presso il Palazzo municipale, con alla testa il Prefetto del sindaco. L’effetto morale di questo passo ardito fu meraviglioso, e se in quel punto si fosse alquanto rinforzato di altro buon numero di guardie nazionali quel nucleo di uomini che si era spinto con tanto coraggio proprio nel centro dei rivoltosi, la loro disfatta si sarebbe allora anche completamente effettuata.
Sul far della sera il Sindaco e la giunta si stabilivano nel Palazzo di Città da presso agli altri funzionari governativi, tanto per coadiuvare lì di tutto il loro appoggio, quanto per mantenere incolume la dignità e la nobile indipendenza della rappresentanza legale del paese.
la difesa della città
Da quel momento si provvide alla difesa del Palazzo Reale, restando in potere della reggia truppa il forte di Castellammare, le finanze e le carceri. Avvegnachè la poca forza e i pochi privati cittadini che erano dentro il Palazzo di Città, già circondato dalle bande dei rivoltosi, la sera del 17 volgente, non potendo più volte prolungare la loro resistenza, fecero risolutamente una sortita e riuscirono a riunirsi alla gente raccolta dentro il Reale palazzo.
Durarono così le cose sino al giorno 21, quando arrivati tre battaglioni comandati dal prode generale Masi, fecero una brillante carica per il corso Vittorio Emanuele, e poscia rientrarono negli accampamenti.
L’indomani giungevano pure altre truppe che fanno parte delle divisioni Angioletti, Longoni, mentre che nella rada erano già ancorati un gran numero di legni da guerra.
Questo apparato di forza così numerosa, riunita in così breve tempo, ne impose agli insorti, e mostrò a tutti come il regio governo abbia mezzi abbastanza efficaci per vincere i conati della ribaldaglia e della reazione.
Nel giorno 27 si ristabilirono perfettamente le comunicazioni tra il Regio palazzo e l’interno della città e dell’ora in avanti tutto rientrò nella più perfetta calma.
In quel medesimo giorno giungeva sul vapore postale la stella d’Italia, Sua eccellenza il luogotenente generale Raffaele Cadorna, comandante delle truppe dell’isola e regio commissario con pieni poteri per la città e provincia di Palermo, ed immediatamente assumeva le sue funzioni. Veniva in pari tempo chiamato alla reggenza della prefettura il cavaliere Achille Basile.
Frattanto convergevano in città e propriamente nel Reale palazzo le colonne di regie truppe che avevano circuito su bordi esterni di essa dal lato del sud e del nord, sgominando e sconfiggendo le ultime squadre dei ribelli, che si abbandonavano a precipitosa fuga dinanzi alla viva fucilata dei nostri valorosi soldati e alle ininterrotte cariche dei prodi bersaglieri.
Palermo deplora i saccheggi, gli incendi e gli altri eccidi perpetrati da una bordaglia ubriaca di sangue e di rapine. Saccheggiata la casa del sindaco, marchese di Rudinì, il magazzino merci, la Biblioteca, l’Ospedale e il Comando militare.
In Misilmeri e in altre adiacenze di Palermo si commisero atrocità senza esempio e senza riscontro negli annali della più efferata barbarie.
Tutte le altre città insulari e la parte eletta della popolazione di Palermo hanno altamente riprovato siffatta orgia del delitto e dell’anarchia. Ora il regio governo le autorità locali che degnamente lo rappresentano faranno opera, che cessa una volta questo facile imporsi del malandrino aggio alla quiete d’onesta cittadinanza, e che forza sia data alla legge
Giornale di Sicilia 24 settembre 1866, numero 206