Le truppe italiane sono entrate in Roma, non senza prove di valore. Esse già occupano la città, dopo aver costretto a capitolare le truppe straniere che vi stavano a difesa. E’ questo un grande avvenimento che segna la caduta del potere temporale e la trasformazione del Papato, che ne sarà la necessaria conseguenza.
Noi ce ne rallegriamo e come Italiani e come cattolici. Come Italiani, perché il possesso di Roma ci resta indispensabile per compiere la nostra unità, per distruggere quel covo di reazionari che all’ombra delle Sante chiavi cospiravano contro la patria nostra.
Come cattolici, perchè siam persuasi, che il Papato, reso libero da ogni mondano interesse, potrà ritornare alle sue pure origini, quando la voce di un povero pescatore di Galilea bastò a trasformare la società romana e l’edificio religioso e politico sul quale era fondata. Ieri sera, al lieto annunzio che le truppe italiane, valorosamente combattendo, erano entrate in Roma, la città fu tosto imbandierata ed illuminata.
Il popolo festante si sparse per le maggiori vie acclamando al Re, all’Esercito, a Roma capitale. Una gran massa di gente, preceduta da bande musicali, recavasi al largo della Vittoria sotto i balconi del Palazzo Reale, da uno dei quali affacciatosi il generale Medici, prefetto della Provincia, pronunciò nobili parole, che furono salutate da applausi. Era uno spettacolo commoventissimo.
Nessuna dimostrazione fu più di quella solenne ed imponente. Era un intero popolo, che festeggiava il più grande avvenimento della nostra storia: il riacquisto della capitale, che ci fu a lungo contesa dallo straniero! (Giornale di Sicilia 21 settembre 1870, n. 218).