• Menu
  • Skip to right header navigation
  • Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina

Before Header

Agrigento Ieri e Oggi

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana
  • Storia Agrigento
  • Storia Comuni
  • Storia Sicilia
  • Storia Italiana

Header Right

  • Home
  • In 5 Minuti
  • Agrigento Racconta
  • Attualità
chiesa di san biagio
chiesa di san biagio

I colori di Agrigento. All’inizio del Novecento una sera un visitatore

9 Settembre 2014 //  by Elio Di Bella

 

chiesa di san biagio
chiesa di san biagio

Traversando l’antica terra di confine. al cui ponente era una volta territorio cartaginese e al levante gli antichi confini dei Greci, il treno scende rapidamente alla spiaggia meridionale, e a 84 miglia da Palermo raggiunge la città di Girgenti.

Era caduta la notte, e mentre eravamo trasportati via dalla stazione osservammo i lumi della città su Mons. Camicus tremolare in alto su di noi, come un gruppo di stelle scintillanti in una notte tranquilla. Dopo circa tre quarti di miglio al di là della città giungemmo all’Hotel des Temples, dove fummo ben accolti e provveduti d’ogni comodità per la notte.

 
Brioso e sollecito, il mattino appresso, il signor Francesco Ciotta, agente consolare degli Stati Uniti a Girgenti, ci aspettava, e cortesemente ci offerse di farci da cicerone nelle nostre esplorazioni dei recinti e dei dintorni della sua città nativa. Noi accettammo con gratitudine le sue proposte, e avemmo ben ragione di rallegrarci con noi stessi che il sig. Ciotta usasse la bontà di trattare da amici gli stranieri in casa propria.
Alla distanza di poco più di un miglio dal mare africano, Mons Camicus e la Rupe Atenea sorgono arditamente a un’altezza di mille piedi, signoreggiando un altipiano che si estende dalla base della fronte meridionale delle due rocciose alture a mezza strada sino al mare. Questo altipiano termina all’orlo di una fila di rupi, le quali si abbassano per duecento piedi sino a un piano che dolcemente inclina verso il lido.
Mons Camicus era l’Acropoli dell’antica Acragas e l’Athenaeum era una volta coperto dalle case dell’antica città greca.
Oggi Girgenti, ridotta alle sue proporzioni originali, trova spazio sufficiente per tutte le sue abitazioni sulla cresta di Mons Camicus, mentre ITALY SICILY 1911 SPRING DAY in a Valley near GIRGENTI.le alture della Rupe Atenea sono sparse di rovine di fortificazioni e d’alti edifici, che non sono, però, di grande antichità. Lungo il lato volto a mare dell’altipiano sul margine delle rupi, a mezza via tra il lido e la Rupe Atenea, il popolo di Acragas costruì il grande antemurale della città, e dentro i suoi merli eresse una serie di templi, sei in tutto, le cui ruine sono oggi lo stupore e l’ammirazione di tutti gli osservatori.

La fertile pianura è una vasta regione prativa, piantata qua e là di boschetti d’aranci, limoni, olivi e mandorleti, in pieno fiore, questi ultimi, ne’ giorni de’ quali stiamo scrivendo.

Quand’anche i templi ruinati sorgessero solitari sopra lo sterile piano, come le rovine di Selinunte e Pesto, essi sarebbero tuttavia di una bellezza indescrivibile, ma il fatto che essi appaiono in mezzo a un paesaggio del quale nulla vi può essere di più ameno, accresce il loro incanto; l’occhio ama riposare sulle loro belle proporzioni, e la memoria conserva i loro contorni e dintorni superbi e pittoreschi. Il materiale del quale sono costruiti i sei templi offre deliziosissimo contrasto col verde svariato onde le ruine sono in parte rivestite.
Nella luce del mattino la gialla pietra arenaria mostra tinte delicate di perla, madreperla e viola, rilevate da ombre fosco-azzurre di una morbidezza di velluto; il cielo d’un azzurro profondo si curva sopra i dorati santuari cinti di verzura e di splendidi innumerevoli fiori; l’aria è pregna dell’odore dei fiori di mandorlo; i rosignoli, svolazzando sui rami di venerabili olivi, flauteggiano le loro dolcissime note, e le allodole s’innalzano cantando dai prati.
E’ impossibile credere che non sia più tardi dell’ultima settimana di febbraio; noi respiriamo l’aria del giugno.
Il tempio di Juno Lucina sorge all’angolo sud-est dell’altipiano sopra il letto dell’Acragas, detto ora fiume Biagio, un piccolo fiume che scorre traverso il piano sino a raggiungere lo Hypsas, il Fiume Drago, e formare il Fiume Girgenti. Alla foce di quest’ultimo corso stava una volta Emporio, il porto di mare di Acragas.
Il tempio, che si suppone essere stato eretto tra gli anni 480 e 500 a.C., sorge sopra un’alta piattaforma (stilobato) e ci si sale per una grandiosa scalinata che conduce al portico orientale. Esso ha 6 colonne di fronte e 6 a tergo, 22 altre ai lati, e tutte scanalate.

E’ di stile dorico, e appartiene al periodo migliore di quella scuola architettonica.

Le colonne della fronte sono in buono stato di conservazione, e sostengono ancora uno dei suoli di blocchi del cornicione. Due colonne perfette all’angolo sud-est, tenute insieme in alto da un monolito, sono tutto ciò che rimane della fronte del tempio, tranne un’altra colonna rovinata a mezzo, che sorge sola. Della costruzione del lato meridionale vi rimangono soltanto 4 o 5 frammenti di colonne tutte molto guaste dallo scirocco, “lo spietato distruttore dei templi degli dei”.
Seguendo la pittoresca ruina delle mura della città per poche centinaia di metri verso ponente, oltrepassando molte tombe e nicchie sepolcrali scavate nella superficie interna delle mura, venimmo al tempio della Concordia.

Dorischer_Tempel di agrigento hans for bartles

Questo edificio, quasi al tutto simile di forma al tempio di Giunone, ma un po’ più grande, deve il suo presente stato di conservazione al fatto che nel terzo secolo fu convertito in Chiesa cristiana e riconsacrato a “San Gregorio delle Rape”.
Il tempio della Concordia ha resistito molti secoli; il suo stile leggero di architettura lo avvicina molto all’ideale moderno del bello e del buon gusto, così che paragonarlo con quello di Pesto è come paragonare la forma di un dio con quella di un gigante.
Benché molto più piccolo del tempio di Nettuno a Pesto, il tempio della Concordia è per tutti i rispetti più bello e più interessante. Quando fu trasformato in chiesa cristiana gli intercolonni furono murati, e la cella soffittata di travi è di una costruzione sovrapposta. Queste sconvenienti aggiunte furono tolte, e il piano originale del tempio lo si può studiare a parte più che non si possa nelle altre costruzioni doriche di Sicilia e d’altrove.
A ponente , ancora, del Tempio della Concordia, a trecento metri o più sulla linea degli antichi baluardi, giace una vasta confusione di blocchi enormi, in mezzo ai quali sorge una colonna di pietra arenaria che segnala il sito, o almeno si suppone, di un tempio di Ercole, costruzione molto più grande dei due templi su menzionati. Per questo santuario Zeusi dipinse il suo famoso ritratto di Alcmena, madre di Ercole, e di esso ci narra Cicerone che Verre tentò di rubare di notte la statua di Ercole per poterne adornare il suo palazzo. – Molto vicino al tempio di Ercole, e più sotto di esso, sono le ruine della Porta Aurea di Acragas, per la quale entrarono le legioni romane sotto Levino quando nel 210 a.C. i mercenari Numidi sotto Mutine tradirono la guarnigione cartaginese agli assedianti. Da quel giorno il nome di Acragas sparì dalle pagine della storia o fu travisato nella forma romana di Agrigento.
Tornati entro i confini della città, ci fermammo nell’altipiano immediatamente di contro al tempio di Ercole, dove è una vasta ruina, le cui parti giacciono disperse sopra la pianura come “le ossa di uno scheletro di gigante”. Sono i resti del grande tempio di Giove Olimpio, il solo tempio nell’antico recinto di Acragas conosciuto con sicurezza per il suo vero nome antico.

tempio di castore e polluce

Nulla rimane dell’edificio se non caduti frammenti di pietra, ma noi possiamo farci un’idea della sua vasta grandezza, delle sue proporzioni enormi delle sue parti, dal fatto che le scanalature delle sue colonne rovinate sono così larghe che un uomo complesso, appoggiandosi col dorso contro la pietra, appena ne empie il vuoto. Ogni colonna ha 22 scanalature e 14 piedi e tre quarti di diametro, cioè a dire 44 piedi e un quarto di circonferenza e 53 piedi di lunghezza.
Il tempio stesso misurava 340 piedi su 160, e Diodoro afferma che era alto 120 piedi. Era dunque il secondo maggior tempio che mai si costruisse o dedicasse dai Greci a un dio, essendo superato dal tempio di Diana in Efeso, e sorpassando esso molto, di grandezza, il tempio di Apollo a Selinunte, il quale è il terzo fra i grandi templi del mondo. E’ vero, poi, che due, almeno, dei templi di Sicilia erano di dimensioni più grandiose di qualunque altro tempio dell’antica Grecia. Questo fatto solo, se ne mancassero altri, attesta la ricchezza delle città greche di Sicilia, e specialmente la magnificenza di Selinunte e di Acragas.

Nella cella giace una statua gigantesca che ha più di 20 piedi di altezza, una delle tre cariatidi (telamoni) che sostentavano una parte del cornicione.

Gregorovius descrive questo gigante con parole piene di vigore poetico:

“E ivi distesa, questa strana forma gigante, appare come quella di un dio, Ercole stesso, il quale si sia messo a giacere nella ruina di questo tempio a un sonno di secoli, per non essere risvegliato da terremoti o da lotta di elementi, né da lacuna parola evocatrice della storia della piccola stirpe umana”.
Questa figura di Gigante suggerì agli abitanti di Girgenti il loro motto municipale: “Signat Agrigentum mirabile aula Gigantum”. Più in là, a occidente del Tempio di Giove, trovammo la rovina più pittoresca di tutte, quattro colonne del Tempio di Castore e Polluce, circondata da vecchi alberi d’olivo e di mandorlo, in mezzo ad una confusa vegetazione di viti, crochi, gigli, asfodelli e papaveri scarlatti e paonazzi. Questo edificio, in origine, aveva 6 colonne per ogni portico e 13 ai lati, e tutte furono abbattute, e giacciono in ruina da molti secoli.
Non molto tempo addietro quattro delle colonne, due del portico occidentale e le due che le congiungono al lato nord, furono diligentemente restaurate e rimesse a posto, ed ora sostengono un angolo della cornice e del cornicione. Veramente l’effettto pittoresco prodotto da questo frammento dell’antico tempio giustifica che quelle colonne siano state rimesse in piedi.
Le quattro colonne formano un tratto così incantevole nella bella scena, che l’averle riposte sulle loro antiche basi palesa il buon gusto e il criterio artistico dell’archeologo che le rialzò. Fossero stati tutti i restauratori di antichità siciliane dotati di così schietto senso della convenienza delle cose! Si vede chiaro che le quattro colonne restaurate, come tutte le altre parti di questo tempio, erano in origine di stucco; e sulla cornice vi sono tracce di brillanti vernici, rossa, azzurra e nera, una prova di più che i Greci coloravano le parti esterne di certi templi di pompose tinte.
Più sotto del Tempio di Castore e Polluce, in un burrone ove scorre un ruscelletto che cade nell’antico Hypsas, vi sono i resti di una grande “piscina” e nel lato ulteriore dello Hypsas, una colonna, sola in mezzo a un boschetto di mandorli, indica dove il Tempio di Vulcano sorgeva in un giardino le cui bellezze sono celebrate da Diodoro.

Dai templi noi prendemmo una via che conduce alla Rupe Atenea, e salimmo le alture sulle quali prima sorgeva il Tempio di Atena, che diede il nome alla roccia. Vicino alla estremità orientale dell’Ateneo sono i resti di un altro tempio che si suppone essere stato consacrato a Demetra e a sua figlia Persefone.

Questo antico edifizio fu convertito dai Normanni in chiesa cristiana, ma quasi nulla rimane della loro costruzione o decorazione, e si ha ben lieve compenso della salita, se non fosse la veduta che si gode dall’orlo delle rupi; questo, a dir vero, merita una escursione anche più lunga e faticosa.
Mentre si sta guardando verso il mare, la città di Girgenti sul Mons. Camicus sorge in vista, dalla destra; oltre quella una fila di colli scende gradatamente verso il mare Africano.
Di fronte alla Rupe Atenea, e giù, lontano, si estende l’altipiano già occupato dalle case dell’antica Acragas, piantata ora di olivi e di mandorli, in mezzo a cui stanno le ruine dei grandiosi templi antichi.
Oltre il piano più basso le onde vengono a morire sopra un lido di sabbia gialla. Quieta e placida è la scena, e non si riesce facilmente a credere che nei passati tempi tutte quelle belle praterie siano state il luogo di accampamento di vaste armate assedianti una popolosa città. Acragas, l’antica, è diserta; nulla rimane di tutti i suoi edifici se non i santuari de’ loro morti iddii, e la rotta fila delle mura della città e dei merli
“Noi passammo sulle orme di antiche guerre eppure tutto il suolo era verde”.
Era cosa singolare star lì nel silenzio del dorato pomeriggio, pensando quanti secoli erano trapassati da quando sull’altare de’ più vasti fra tutti i templi si facevano offerte dai sacerdoti greci a Zeus. Sullo stesso altare erano stati accesi sacrifici umani per placare l’ira di Moloch. Forse nello stesso luogo, dove noi eravamo, Falaride rizzò la sua bronzea immagine di toro, l’ardente, torrida fornace entro la quale gettava le sue vittime, i cui gemiti lo spietato tiranno assomigliava ai “muggiti della bestia divoratrice”.
(W.A.Paton, Sicilia pittoresca, Sandron Editore, Milano-Palermo-Napoli, 1905, pp. 281-292).

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

Post precedente: «Filippo Bentivegna Lo scultore Filippo Bentivegna di Sciacca.Video del 1953
Post successivo: L’affascinante storia di San Leone il lido di Agrigento »

Footer

Copyright

I contenuti presenti sul sito agrigentoierieoggi.it, dei quali il Prof. Elio di Bella è autore, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all’autore stesso. È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001.

Privacy

Questo blog rispetta la normativa vigente in fatto di Privacy e Cookie . Tutta la docvumentazione e i modi di raccolta e sicurezza possono essere visionati nella nostra Privacy Policy

Privacy Policy     Cookie Policy

Copyright © 2023 Agrigento Ieri e Oggi · All Rights Reserved