Natalia Aspesi ha recensito, nel 1998, per i lettori de “La Repubblica” il bel libro di Paolo Erasmo Mangiante “L’albero del barbagianni “, che racconta la vicenda tormentata, a causa dei pregiudizi degli adulti, della prima studentessa di Agrigento. Sebbene nel racconto si dica che abbia frequentato il liceo di Sciacca, in realtà fu la prima alunna del Liceo classico di Girgenti. Natalia Aspesi infatti nell’articolo dice di avere saputo che non a Sciacca, ma proprio a Girgenti Teresa ebbe l’iscrizione.
“Quando la quindicenne Teresa fu iscritta al liceo nel 1896, a Girgenti scoppio’ uno scandalo: era la prima ragazza della citta’ a osare cio’ che nel resto d’Italia era ormai una consuetudine, e l’idea che una fanciulla, per di piu’ nobile, dovesse subire l’oltraggio di passare ore nella stessa stanza con coetanei maschi, sconvolse le chiacchiere dei salotti aristocratici – scrive la Aspesi – Non era solo questione di onorabilita’: chi avrebbe mai sposato una ragazza istruita, in grado quindi di essere indipendente, come lo erano allora solo le donne di malaffare ?”
Molti anni dopo la prima studentesa agrigentina raccontò al nipote le sue disavventure
“Tanti anni dopo, a Genova, Teresa diventata nonna, raccontava al nipote Paolo Erasmo questa storia, e tutte le storie della sua infanzia e fanciullezza siciliane, di palazzi e feudi, di ricevimenti e balli, di servitu’ e precettori, di miserie e ricchezze, di duchesse bigotte e carusi sfiancati, di miniere, antri di disperazione e circoli politici, luoghi dorati della conservazione: di Girgenti e di Sciacca, dove poi la famiglia si era stabilita nel magnifico palazzo Arone di Bonfiglio, andato in eredita’ alla madre Margherita”, continua la giornalista.
Ma Teresa era a conoscenza di molte altre realtà siciliane che caratteriozzavamo la cultuta e i costumi dell’Isola alla fine dell’Ottocento e nei primi del Novencento:
“E quando nel 1958 fu finalmente pubblicato Il Gattopardo, un anno dopo la morte di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’ultrasettantenne Teresa scosse il capo. “Queste cose io le sapevo gia’, le ho vissute. Ma mio padre Don Achille era molto piu’ gentiluomo di Don Fabrizio”.
Cosi’ Paolo Erasmo Mangiante, adesso chirurgo massilo-facciale, direttore della clinica odontoiatrica di Genova, studioso del Goya, crebbe nel mito del bisnonno Achille e nell’antipatia per il Principe di Salina, “un opportunista di poca nobilta’ interiore, che amava piu’ il nipote dei figli, prigioniero della conservazione a tutti i costi, del “cambiare perche’ nulla cambi”.
Tutto ciò ha dato a Paolo Erasmo Mangiante molti spunti per realizzare un testo di successo
” L’albero del barbagianni (editore Novecento, pagg. 272) nasce dai racconti della bellissima nonna, dalla fugace visione della bisnonna Margherita, morta molto vecchia, dalle lettere, documenti, scritti, fotografie di famiglia ritrovate in casa e da un’accurata ricerca storica su quegli anni siciliani in cui “rotti i millenari equilibri stava avvenendo un trapasso dei poteri dalla nobiltà ormai perduta alla nuova borghesia arricchita e spietata“:
e se il libro e’ un vero e proprio romanzo, fa un certo effetto, alla fine, ritrovare i personaggi che paiono di fantasia, rappresentati dalle loro sbiadite fotografie: il severo e laconico Don Achille dalla folta capigliatura nera tra i suoi cani Scilla e Cariddi, Donna Margherita dalle trecce bionde e gli occhi chiari, elegante nei suoi abiti fatti venire da Firenze su disegni parigini e l’aria dominatrice delle donne aristocratiche di un tempo, analfabete perche’ cosi’ le volevano padri e mariti, pero’ abituate a parlare francese tra amiche e in famiglia:
la bellissima Teresa dai magnifici occhi azzurri, al liceo nel 1898 (frequentato a Girgenti anche se il romanzo lo colloca a Sciacca, dove in realtà allora non c’era), e sotto un gran cappello all’università di Napoli nel 1902; e il palazzo di famiglia, con le sue favolose trecento stanze, e i saloni rosso, verde, oro, dalle volte affrescate, tutto un intrico di cortili per ospitare un numero senza fine di cocchieri, camerieri, guardarobiere, stallieri, giardinieri, sguattere, maggiordomi, che nella foto si affaccia su una misera strada di terra, riprendendo tutta la sua realtà ottocentesca siciliana“.
L’albero del barbagianni si presenta per Natalia Aspesi come la “ricostruzione di un’epoca, la fine del secolo scorso, che appare arcaica e quasi assurda, di una piccola città termale isolata e raggiungibile per molto tempo solo per mare, come Sciacca, di una casta, quella dominante dei latifondisti sostenuta a Roma dai suoi emissari, che da quell’angolo remoto di Sicilia richiedeva la cancellazione del suffragio universale (da cui comunque erano escluse le donne), dell’istruzione obbligatoria, che toglieva i poveri dall’eterna soggezione, e dell’imposta progressiva, che colpiva, sia pure lievemente, i grandi inattaccabili privilegi.
Di quella che era stata la mitica Xacca, importante come Palermo e Messina grazie al suo porto, tanto da poter battere moneta, alla fine dell’800 restava una cittadina ormai assopita, chiusa sul suo passato: e i nobili, ancora una trentina di baroni e duchi con palazzi e feudi impoveriti “ridotti ormai di potere e di censo, catafratti nei loro olimpici cerimoniali e nelle genealogiche sicurezze, continuavano ignari e indifferenti ad attraversare la vita avanti e indietro nei loro lando’, senza quasi accorgersi della miseria materiale e spirituale che stava sclerotizzando attorno a loro i traffici e le arti, gli animi e le menti”.
fonte: NATALIA ASPESI la Repubblica 16 marzo ’98 Tornano i gattopardi
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