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Toro di falaride

Falaride, tiranno di Agrigento: fu buono o cattivo ?

2 Novembre 2021 //  by Elio Di Bella

Falraride, tiranno di Agrigento fu uomo pio e giusto ?

È una domanda dal sapore provocatorio, ma è una domanda legittima perché ha un fondamento nella tradizione. In realtà Agrigento arcaica vuol dire Falaride, e Falaride è sinonimo di empietà, ingiustizia, crudeltà: dieci anni, o poco meno, separano la fondazione di Agrigento dalla conquista del potere da parte di Falaride, che si colloca probabilmente negli anni 591/0-556/5.

Falaride è un tiranno e la sua conquista del potere coincide con l’instaurazione della tirannide ad Agrigento e quindi con il rovesciamento del regime allora in vigore, l’oligarchia. Nulla di eccezionale in questo, come si vede: tant’è che Aristotele assimila la vicenda di Agrigento con Falaride a quella delle tirannidi ioniche poiché il tiranno ha conquistato il potere essendo già in possesso di un’alta magistratura, e di questa si è servito. Comune con tutte le altre tirannidi era la derivazione «dai demagoghi che si sono guadagnati la fiducia del popolo calunniando i nobili».

Motivi piuttosto ricorrenti, se non proprio luoghi comuni, si colgono nell’esposizione più compiuta dell’istaurazione della tirannide falaridea, che leggiamo in Polieno (V, 1): Falaride ricopriva allora la carica di telones, e promise ai suoi concittadini che avrebbe curato col massimo impegno la costruzione di un tempio dedicato a Zeus Polieus. Il demos di Agrigento credette nella promessa e gli accordò piena fiducia, cosicché egli col pubblico denaro pagò prestazioni di manodopera straniera e acquisto di schiavi, e gran quantità di legname e di ferro fece trasportare sull’acropoli; quindi, per evitare il rischio di furti, ottenne dal demos l’autorizzazione a recintare l’acropoli.

Allora liberò gli schiavi e li armò di pietre e di scuri, e mentre si celebravano le feste «thesmophorie», uccise la maggior parte degli uomini, si fece padrone di donne e fanciulli e instaurò la tirannide. Nessun motivo di sorpresa ancora in questa narrazione che riprende elementi comuni alla genesi di altre tirannidi: in particolare richiama l’attenzione la presenza di analogie con l’esposizione che leggiamo nello stesso testo di Polieno riguardo alla tirannide di Terone di Agrigento, e con il racconto di Polibio della storia di Agatocle di Siracusa.

È una circostanza quanto mai interessante: poco importa se il racconto riguardante Terone sia una reduplicazione di quello su Falaride, e se sia veridico, e in che misura; l’analogia è significativa (genesi, durata, programmi, ecc.), c quel che conta è chelèrone è stato «associato» a Falaride, e quel che leggiamo in Polieno deve avere una matrice, quale che ne fosse la fonte diretta: in altre parole, l’«associazione» dei due tiranni doveva esser ritenuta legittima o addirittura ovvia.

Ebbene: noi sappiamo che Terone fu un tiranno, ma un tiranno che la tradizione antica ci rappresenta nella luce migliore; è la versione che proviene da Pindaro, poeta di corte, ma sostanzialmente e anche la tradizione nota agli scoli a Pindaro stesso: il punto centrale si coglie nel tema propagandistico della rivendicazione di un potere legittimo (ossia non tirannico). In Pindaro la contrapposizione fra Falaride e Terone è un aspetto della propaganda filoteroniana; ma l’assimilazione dei due tiranni, nei momenti più rilevanti della loro storia, resta al di là delle esasperazioni di una accesa polemica.

In pratica, se un Terone «buono» poteva avere delle analogie significative con l’antico tiranno di Agrigento, o addirittura il Terone «buono» poteva essere costruito sul modello di Falaride, pare ovvio che una tradizione «buona» su Falaride dovesse esistere; e un Falaride «buono» ha anche una sua ragion d’essere in chiave di propaganda antiemmenide.

Per altro verso in direzione opposta ci porta l’analogia del Falaride di Polieno (della sua fonte, naturalmente) con l’Agatocle di Diodoro: si tratta verosimilmente dell’Agatocle di Timeo, ed e noto l’atteggiamento di accesa ostilità dello storico tauromenita nei confronti di Agatocle, ostilità accentuata anche da motivi personali. Le analogie della tradizione su Falaride e della trattazione diodorea di Agatocle, tiranno odiatissimo, sono ben significative di una lettura del tutto negativa di Falaride da parte di Diodoro (Timeo). Ma c’è di più: il Falaride «cattivo» è richiamato esplicitamente e campeggia nell’esposizione diodorea: cosi è ad es. per il luogo della battaglia decisiva per Agatocle, a Ecnomo nel 311/0, che rievoca col suo nome l’ecnomia del tiranno di Siracusa.

Ma anche Falaride è legato ad Ecnomo, dove fu ospitato il famigerato toro. Ancora: Timeo, citato esplicitamente da Diodoro (XX, 79), istituisce un parallelo tra Falaride e Agatocle come campioni di crudeltà ed efferatezza. Dunque elementi significativi che caratterizzano la storia di Falaride ricorrono, da un lato, nel profilo di Terone in Polieno – di un tiranno cioè di cui si è imposta nella tradizione una immagine essenzialmente positiva -, e ricorrono, dall’altro lato, nella raffigurazione di Agatocle in Diodoro, di matrice timaica, ostilissima al tiranno di Siracusa, e che richiama – quando implicitamente e quando esplicitamente il confronto col crudelissimo tiranno di Agrigento.

È verosimile allora che un ruolo di un certo rilievo sia da attribuire alla propaganda ora in un senso ora nel senso opposto, ad Agrigento stessa come a Siracusa o altrove; il che vuol dire un Falaride «cattivo» e un Falaride «buono» come simbolo di propaganda di opposte fazioni. Prevale l’ottica negativa, ma non si spiegherebbero nemmeno in modo plausibile i toni fin troppo accesi di essa se non si supponesse anche la va-lenza positiva del richiamo a Falaride. In questo senso ci è dato di cogliere qualche indizio rilevante nella tradizione e nella vicenda del toro.

Un Falaride cattivo e un Falaride buono

Predomina – com’è noto – una tendenza apertamente ostile: è superfluo fare un elenco, a partire da Pindaro ceTimeo, di cui si è detto, fin – poniamo – a Giamblico. Interessa invece rilevare il volto più umano del Falaride che emerge dalle vicende dei due amici Caritone e Melanippo nel racconto di Eliano e di Ateneo, un Falaride capace di apprezzare la forza dei nobili sentimenti, e quindi in vena di generosità impensabili nella prospettiva del «cattivo». Ma è il Falaride di Luciano che soprattutto attira la nostra attenzione; nel Falaride / e // il tiranno di Agrigento da empio e crudele, asebes e paranomos, si trasforma in eusebes, dikaios, eunomos.

E’ innegabile in Luciano la volontà di indulgere ai motivi di ispirazione sofistica, ma ridurre tutto entro i termini di un paradosso di impronta sofistica sarebbe semplicistico e forse anche fuor di luogo: non c infatti un rovesciamento delle parti quello che il testo ci presenta, dal momento che non son negate, nell’insieme, le colpe che hanno fatto di Falaride il simbolo dell’empietà e dell’efferatezza in una sorta di autodifesa in cui Falaride appare come costretto dalle circostanze e dalle provocazioni degli avversari.

É un quadro che per certi versi può essere realistico, ed è insieme una raccolta di temi per la difesa di qualsiasi tiranno: la scelta di Falaride per un «saggio» di tal natura da parte di Luciano è sintomatica nel senso di un «ponte» fra tradizioni opposte. Di fronte a un’unica tradizione di segno inequivocabilmente ostile, il saggio retorico avrebbe lasciato spazio solo a un totale rovesciamento delle parti, negando ogni logica a una ammissione-giustificazione qual è quella che troviamo in Luciano.

Ed ecco che nell’epistolario pseudofalarideo – opera composita, formatasi nell’arco di alcuni secoli – ci è dato di individuare l’aspetto più significativo della storia della tradizione su Falaride. la presenza c della versione ostile e della versione favorevole.

Si colgono nell’epistolario gli echi di un dibattito sulla tirannide e sulla monarchia che ha avuto vasta risonanza nella cultura c nella speculazione del mondo antico. Analogie sono di facile riscontro, ad esempio, con il Ierone di Senofonte e con il Falaride / e // di Luciano cosi come con la speculazione filosofico-politica e con i temi della tradizione retorica; tuttavia la linea di pensiero dell’epistolario sembra emergere ben distinta, e Falaride acquisisce una sua fisionomia – vera o falsa sul piano della realtà storica ha poca rilevanza nella fattispecie – in cui l’elemento di matrice favorevole è presente quanto quello di matrice ostile.

Se una tematica retorica è riconoscibile, i diversi connotati con cui i temi del dibattito compaiono nell’epistolario denotano la conoscenza di tradizioni che ne sono il necessario supporto. Ancora dunque la traccia di una versione favorevole, la stessa che ha condotto all’accostamento Falaride/Terone e al Falaride lucianeo: una falsariga comune pur con toni e caratteri propri legati alla natura peculiare dell’opera.

Il Toro di Falaride

Veniamo in ultimo al toro, il simbolo della crudeltà di Falaride; che servisse per punire gli stranieri o i concittadini, che emettesse sinistri muggiti o suoni flautati quando «funzionava». certo è che il motivo del toro di Falaride nulla ha da vedere, alla radice – con ogni verosimiglianza – con lo strumento di tortura ben noto a tutta la tradizione (un toro di bronzo, all’interno del quale – arroventato – venivano letteralmente arrostiti i nemici del regime: prima vittima, il suo stesso costruttore, l’ateniese Perdio = n.d.r.

In realtà il toro è un motivo caratterizzante della humus culturale rodio-cretese che ci riporta alle matrici coloniali della città, motivo ben presente nell’area geloo-agrigentina (ad es. il toro dal volto umano sulle monete raffiguranti il fiume Gela). Come la riattualizzazione della saga di Minosse, Dedalo e Cocalo, cosi pure il rilancio del motivo del toro trova una logica coerente in un disegno politico di unità fra indigeni e rodio-cretesi attraverso l’esaltazione di un motivo di ispirazione religiosa, di più facile presa sulla sensibilità popolare.

Se questo è un dato obbiettivo legato a fattori politici documentabili in qualche misura in sede di politica sia interna che estera, tutto quel che riguarda il «toro di Falaride» configura chiaramente un tema propagandistico in chiave anti- falaridea in quanto è innestato su un consolidato substrato culturale in cui il toro non manifesta connotazioni significative di crudeltà.

Già alla radice sembra allora di poter identificare nell’esistenza di opposte posizioni l’origine di una doppia tradizione, l’una favorevole, l’altra ostile: proprio questa, a cui è legalo il toro come strumento di morte – e fors’anche proprio per tale ragione – era destinata alla più grande celebrità, assumendo la dimensione di un simbolo. Ma dell’altra versione, quella di parte favorevole, – nata per contrapposizione, e comunque di poca presa sulla fantasia popolare – qualche traccia è pur rimasta.

Possiamo allora rispondere al quesito posto all’inizio, se sia lecito parlare di un Falaride «buono», eusebes e dikaios; probabilmente egli non fu eusebes e dikaios, se non nei punti di vista delle opposte fazioni, sia nell’Agrigento delle origini, sia nelle altre città in cui fu assunto come strumento di propaganda politica. Falaride fu un tiranno come altri tiranni sotto il profilo dell’ottica del potere, proprio come disse Aristotele nel testo citato all’inizio, e Aristotele non è un testimone dappoco.

Michele R. Cataudella, Falaride, tiranno di Agrigento: uomo pio e giusto ? Lumie di Sicilia, ottobre 1989, n. 4

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento, agrigento storia, akragas, falaride, sicilia, tiranno, valle dei templi

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