La storia di Agrigento è tinta di rosa.
E’ stato molto importante in varie epoche il coinvolgimento che le donne hanno avuto nella rinascita della Città dei Templi e della sua provincia.
Non solo per la loro bellezza vennero ammirate nella storia, come quando il celebre pittore greco Zeusi, chiamato dagli agrigentini a fare un quadro della dea Giunone da esporre nel suo tempio, volle prima esaminare le fanciulle agrigentine nude, quindi ne scelse cinque come modelle affinché la pittura rendesse ciò che c’era di più bello in ciascuna di loro e alla fine realizzò una delle più belle opere artistiche tra quelle in cui si ammiravano le grazie femminili nell’antichità.
Oggi gli scavi archeologici condotti a circa 10 km da Agrigento ci hanno restituito una bella ragazza agrigentina di seimila anni fa, Sofia.
Il suo volto è stato ricostruito dagli scienziati americani.
Le donne agrigentine vennero soprattutto ammirate per il coraggio di una di loro, Damareta, la Figlia di Terone, tiranno d’Akragas, sposa di Gelone, tiranno di Siracusa. Dopo che Akragas sconfisse i Cartaginesi, nella battaglia di Imera del 480 a. C., Damareta ebbe un ruolo fondamentale nelle trattative per la pace ottenendo, fra l’altro, che non si sacrificassero più bambini alle divinità. E’ divenuta per tale impegno un simbolo di pace.
Altre s’impongono nella storia della città più tardi per il ruolo politico e religioso che hanno avuto in momenti cruciali della storia civile e religiosa, come Marchisia Prefoglio, moglie di Federico Chiaramonte che fondò il partenio di Santo Spirito come attesta l’atto di donazione del 27 agosto 1299 stipulato presso il notaio Giovanni di Amarea di Girgenti : “Quella dinanzi a noi Marchisia Prefoglio… del nostro patrimonio abbiamo fondato e faremo fondare in detta città agrigentina dentro le sue mura un Monastero di Santo Spirito”. Diverrà uno dei più grandi e celebri monasteri cistercensi del meridione.
Altre agrigentine non sopportarono la tirannia dei Borbone in Sicilia e parteciparono come poterono ai moti che portarono alla liberazione dell’Isola nel 1860.
Non potendo seguire i suoi fratelli nell’azione rivoluzionaria, la coraggiosa Caterina Ricci Gramitto, volle comunque dare il suo contributo e rischiando cucì, in un sottoscala, la prima bandiera tricolore che il 4 aprile 1860, sfidando il presidio borbonico in via Atenea, venne issata in città, in pugno ad una statua che ancora si trova nella faccia della Chiesa di San Lorenzo (Purgatorio). Caterina sarà poi la madre di Luigi Pirandello e quindi trasmetterà al figlio quei valori patriottici. C’è chi dice poi che la vita e l’arte di Luigi Pirandello furono profondamente legate a sua moglie, l’agrigentina Maria Antonietta Portulano.
Sono sempre agrigentine le donne borghesi che per il risveglio culturale e la promozione umana e sociale delle altre donne fondarono nei primi anni del Novecento il primo movimento femmininista; ”Unione femminile girgentina”. Diedero vita ad una scuola estiva per le donne che volevano migliorare la loro cultura elementare e tante altre iniziative per il loro riscatto morale e sociale, come i laboratori di cucito, dio maglieria e di ricamo. Si distinse in queste attività la professoressa Rosina Vadalà.
E se non agrigentina di nascita certo di adozione è stata Vittoria Giunti diventata prima cittadina di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento.
È stata la prima donna a guidare un paese in Sicilia, la terza in tutta Italia. Nell’anno in cui, per la prima volta, le donne hanno potuto votare. “Vittoria Giunti guidò le donne che aprivano i cortei, affinché i gabelloti mafiosi non potessero usare violenza nella vera guerra civile siciliana, in cui si contarono più di duemila morti”, ricorda il suo biografo Gaetano Alessi.
Elio Di Bella