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mura greche di akragas

Agrigento, il perimetro delle antiche mura di Akragas

12 Novembre 2020 //  by Elio Di Bella

mura greche di Akragas

Versioni intorno al perimetro delle mura

1. Spesso mi sono meravigliato, come mai si sia potuto cercare la città di Agrigento al di fuori della sua cerchia naturale, specialmente da chi avesse esaminato e confrontato con un po’ di attenzione i luoghi sopra descritti ed il passo di Polibio; e mi sono persuaso, che più spesso di quanto si creda, si incontrano persone, le quali sacrificano la verità alla novità.

Quanto alle mura di Agrigento, vi sono coloro i quali vorrebbero tagliar via tutta la Rupe Atenea sino alle sue basi, eliminando così la balza e il precipizio inaccessibile esistenti dal lato esterno. Si tratta evidentemente di una supposizione inverosimile contraddetta dalla parola di Polibio e di Empedocle e che non vale la pena di confutare.

Di fronte a costoro, che chiamerei i minimalisti stanno il Cavallari, l’Holm, il Picone, lo Schubring, il Toniazzo che sono i massimalisti, perché sostengono una tesi più grandiosa, ma non meno erronea. Costoro includono nelle mura di Agrigento la collina attigua, sulla quale siede la moderna Agrigento.

Lo Schubring nella «Pianta della antica città di Acragante», annessa al suo volume, non segna convenientemente la forte depressione di terreno, che separava le due colline vicine, e poi, nel segnare in rosso la linea delle mura dal lato settentrionale, ne tira una che passa dalla estremità Ovest della Rupe Atenea, al di sopra delle Carceri S. Vito e della Villa Garibaldi sino ad attaccare alla Chiesa della Madonna degli Angeli. Ora chiunque si trovi sul piano di S. Filippo (cioè nello spazio intermedio fra queste due sommità) rileverà come sia inverosimile la continuità delle mura nei punti accennati; e la dirà addirittura impossibile, se terrà presente che il suolo da noi calpestato sul piano di S. Filippo è opera moderna, e che laggiù la «Nave» doveva avere la profondità di 30 metri circa di perpendicolare. E sommando questa profondità con l’altezza della Madonna degli Angeli o di S. Vito, otterremmo un dislivello di 80 o 100 metri in una gola fra due colline: e tale dislivello evidentemente non poteva essere supplito né con mura né con bastioni.

Lo Schubring inoltre nella stessa «Pianta della città» traccia le mura dal lato di occidente, segnando un’altra linea ancora più ardita, di quelle che si possono tirare solamente sulla carta; a salire dalla Serra Dara verso la Serra di S. Leonardo segna un ponte sopra tutto il vallone delle Cavoline, che avrebbe attaccato la Civita con le falde della collina di Agrigento: lo chiama Ponte dei morti, perché di là si sarebbero fatti passare i morti della città per essere inumati alle falde dell’ altro colle, ove era la necropoli principale. Il ponte avrebbe formato parte delle mura di cinta, secondo lo Schubring; le quali di là sarebbero continuate in linea retta fino sotto la Chiesa dell’Annunziata. Indi sarebbero salite sino al Seminario dei chierici per girare lungo la cresta della collina di Agrigento sino alla Madonna degli Angeli ed a S. Vito, facendo il salto di cui sopra ho parlato.

Il Ponte a cavalcare il vallone delle Cavoline e il restante di quelle mura sono stati supposti da tutti gli scrittori che ho chiamato massimalisti; la differenza fra essi consiste in ciò: che alcuni li pongono un po’ più in alto ed altri in un sito più basso di come sono supposti dallo Schubring.

Osservo che al preteso Ponte dei morti si vorrebbe dare una doppia funzione: come tratto di unione tra le due colline, e come mura di cinta della città. Se non m’inganno, una certa antinomia esiste fra ponte e mura, imperocché l’uno serve a dare passaggio e le altre ad intercettarlo.

Comunque siasi ciò, nel vallone delle Cavoline e nel Ponte io non saprei vedere le mura descritte da Polibio: « il muro di difesa le gira attorno sopra una rupe tagliata a picco, così dalla natura e dalla mano dell’uomo formato». — Né il vallone né il Ponte si possono chiamare certamente rupe tagliata a picco.

Passati al di là del preteso Ponte dei morti, ci troviamo in pieno camposanto: la linea segnata dallo Schubring per le mura si trova nel mezzo della necropoli, la quale non solamente non finiva ai confini delle pretese mura, ma saliva, saliva ancora sino alle mura dell’odierna Agrigento, come spiegherò meglio appresso. Basta quella constatazione per dire impossibili le mura in quei luoghi, perché le necropoli non furono mai aggregate alle città, ma tenute a ” debita distanza; sicché basta constatare solamente che dentro il perimetro segnato dallo Schubring, vi era la maggior parte della necropoli per convincerci che la città non poteva arrivare fin là.

Ma quello che mi fa vedere tutta la inverosimiglianza di quella versione è questo : la Pianta della città, prodotta dallo Schubring è nella proporzione 1 a 15000. Ho misurato sulla carta la linea segnata col nome Ponte dei morti, e l’ho trovata di due centimetri; fatto il calcolo, il ponte avrebbe avuto la lunghezza di trecento metri con un’altezza desunta da quella del vicino ponte nella ferrovia di trenta metri circa. Ebbene, supporre un tale ponte nel VII e VI secolo a. C. ed anche nei secoli posteriori, significa aver dimenticato completamente lo stato dell’architettura dei Greci in quei tempi. Essi non ebbero mai dei veri ponti, specie nei tempi antichi, ma si limitarono a costruire qualche cosa di simile e delle proporzioni dei nostri cavalcavia : erano a sesto acuto e composti di lastroni di poco sporgenti, collocati l’uno sull’altro, e perciò di luce limitatissima. Il ponte a tutto sesto è di origine romana. Impossibile, dunque, quello attribuito dallo Schubring all’antica città greca.

Tutto l’argomento contrario si riduce a questo : sulle alture del colle di Agrigento si riscontrano gli avanzi di un tempio greco; dunque — concludono — fin qui doveva estendersi l’antica città.

L’argomento non è univoco, ma equivoco : un monaco non fa convento, ed una rondine non fa primavera. Nei dintorni di ogni città, specie poi di una grande città non mancano mai ville, aggregati di case e borgate e che hanno sempre le loro chiese, e nei tempi antichi, come nei moderni, la pietà dei fedeli non ha risparmiato mai chiese e cappelle anche nelle aperte campagne; l’osservazione contraria dunque non è tale da farci risolvere l’argomento. Si aggiunga a ciò, che probabilmente sul colle di Agrigento doveva esistere un sobborgo abitato dai coltivatori della terra, con un’uscita verso Nord, nel punto della nostra Beberria, ove si nota una interruzione nella roccia, che cinge il lato settentrionale della collina. Ma nell’uno e nell’altro caso, ci sia stato un sobborgo o un semplice aggregato di case qual meraviglia che ci si trovi un tempio?

Si include tutta la nostra collina nell’ambito della nostra città a cagione di un tempio, che vi si riscontra, e poi si ammette anche 1’esistenza di un secondo tempio. Lo Schubring nella Carta topografica segna col nome di Giove Atabirio il sito, in cui sorge la nostra cattedrale.

Osservo sul riguardo che quella è una congettura non giustificata né da ruderi né da documenti. E la cosa si rivela inverosimile solo a pensare che la chiesa di S. Gerlando, posta sul vertice della nostra collina, dista non meno di due o tre chilometri dal punto più vicino dell’antica Agrigento, e non meno di sei o sette dal punto più lontano, che sarebbe il tempio di Giunone e sue adiacenze. Ora non sembrerà verosimile, che i fondatori di Agrigento abbiano voluto erigere un monumento — ricordo del dio della patria lontana, il primo tempio della nuova colonia, che ne doveva costituire il centro materiale e morale—e lo abbiano collocato poi a tanta distanza, sulle alture di un colle diverso da quello abitato, e separato dallo stesso da un profondo burrone. Se qui fossero stati i tempii dedicati alle due divinità più care agli Agrigentini, Empedocle non avrebbe eseguito il noto taglio, per non rendere malagevole l’accesso ai medesimi.

Quella dello Schubring adunque è una supposizione non verosimile.

L’illustre Professore dà il nome di Atena Lindia agli avanzi del tempio dorico, periptero, esistente in quei pressi, e che venne trasformato e adattato a chiesa cristiana, dedicata a S. Maria dei Greci.

Questo è smentito da notizie storiche pervenuteci. Polibio e Polieno ci fanno sapere che il tempio di Atena Lindia era antichissimo; quindi improbabile che in un’epoca remota sarebbe stato costruito un tempio periptero. Ma quel che più monta è ciò che lasciò scritto Diodoro Siculo: nel 406 a. C. cioè quando Agrigento fu espugnata dai Cartaginesi, Gellia vi appiccò il fuoco, e lo distrusse dalle fondamenta. Conseguentemente il tempio tutt’ora esistente non è quello distrutto da Gellia.

Potrei addurre anche un argomento benché di valore secondario: la fiamma toccando la nostra pietra arenaria le imprime segni indelebili: da giallaccia la fa diventare rosso-cupo. Lo Schubring stesso nota questo fenomeno. Ebbene, il tempio di S. Maria dei Greci non offre tracce di fuoco; anzi mostra le scanalature delle colonne con spigoli così vivi e freschi da far escludere l’ipotesi dell’incendio.

Questo tempio adunque non è quello incendiato e distrutto da Gellia; non è il tempio di Atena Lindia.(l)

Adunque, la città occupava soltanto l’area indicata oggi col nome di Civita, dalla Rupe Atenea a Porta Aurea, dalla Porta di Gela alla Porta Eraclea. Gli scavi potranno un giorno indicare in quali punti la roccia venne aggiustata con opere manufatte. Di recente, infatti, è stato scoperto il muro tirato dalla Rupe Atenea al Camposanto. Ulteriori scavi potranno dirci in che modo venne supplita la falla esistente tra la Serra S. Leonardo e il principio della Nave; se la Porta Eraclea giaccesse tra il Poggio della Meta e la Serra Dara, o fra la Serra Dara e la Serra S. Leonardo; ma la linea generale, il circuito delle mura della città resterà quello segnato dalla natura ; le balze e i terreni scoscesi descritti da Polibio con tanta precisione.

Nota

Vedi Cap.10 nota 5

Michele Caruso Laza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Agrigento, 1931, pp. 65-70

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, akragas, diodoro siculo, polibio, storia di agrigento, storia di akragas, valle dei templi

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