Testimonianze degli antichi scrittori
1. Ed ora vediamo, se gli accenni fatti dagli antichi scrittori si adattino bene alle condizioni dei luoghi sopra descritti e se confermino le mie impressioni.
Virgilio: Enea fa il giro della Sicilia da oriente verso occidente, ed oltrepassato il Capo Bianco, vede l’antica città :
Arduus inde Acragans ostentai maxima longe moenia, magnanimum quondam generator equorum (1)
Il CABO traduce;
« Molto da lungi il gran monte Acragante vedemmo, e le sue torri e le sue spiagge, Che di razze fur già madri famose». (2)
La traduzione è un pò libera. Ai fini del mio argomento, noto questi due concetti : che Acragante è un monte arduus— alto, alpestre-il gran monte-; e che la città anche da lontano faceva bella mostra delle sue mura grandissime, nel senso militare, di alte, forti, inespugnabili. La frase di Virgilio scolpisce i luoghi, e chi li guarda dal mare riceve precisamente quella impressione.
Pindaro ha un tocco da maestro :
« Amica della gloria, più bella città dei mortali,
ben posta sovra il colle in riva all’erboso Acragante,
invocata regina, propizia ricevi da Mida glorioso questo serto in Pito ottenuto »
Cosi traduce il dott. Mariani la prima strofe della XII Pitia, a Mida Acragantino, aulete.
Le traduzioni del Mariani mi sembrano più fedeli di quelle del Borghi e del Fraccaroli, ma come tutte le traduzioni non rendono mai intero il concetto dall’ autore. Nel
caso in ispecie noto che è stato omesso un titolo carissimo ai cittadini quello di sede, sacra dimora di Persefone :
Περσεφόνας εδος
E per quanto riguarda il luogo, in cui sorgeva la città, osservo, il verso « ben posta sovra il colle in riva all’erboso Acragante », non rende tutta l’immagine, che volle presentarci Pindaro, il quale all’uopo adoperò tre termini significativi in una stessa proposizione: ά ι όχξαις—riva elevata sopra un nume; έυδματον — ben costrutto, ben piantato, Χολώναν — collina, parte alta di una collina; in guisa che l’immagine presentata da Pindaro alla nostra fantasia è questa; che la più bella città dei mortali, soggiorno preferito di Proserpina, è posta sulle alture di una collina forte, ben piantata, soprastante a sua volta sulla riva, che si eleva sopra un fiume erboso e non ancora pascolato (3).
Diogene Laerzio (4) ha conservato il distico di Empedocle ad Acrone (5).
Esso costituisce un bisticcio, nel quale tutto lo spirito coesiste nelle varie significazioni date ad una parola : all’aggettivo άκρος , alto, cima di una collina, da cui deriva il nome del medico Acrone, della città Acragas.
Su per giù il distico dice questo : Acrone il medico, Acrone figlio di padre eccellente fra gli Agrigentini, vuol essere seppellito sulle alture del colle dirupato della sua altissima patria. Ho tradotto più liberamente ed in modo più conforme al motto di spirito : « L’alto medico Acrone, figlio di padre altissimo fra gli Agrigentini vuole sepoltura sull’altura dell’alto colle dirupato della sua patria altissima».
Ai fini del mio argomento giova qui rilevare meglio il significato delle parole,, χρημνός άκρος le quali vogliono dire precipizio, dirupo di una montagna: l’aggettivo χρημνός; infatti deriva dal verboχρημνημι pendere dall’alto, ed άκρος nel caso vale per altura, collina. Secondo Empedocle, adunque, la parte alta della città, dove il medico Acrone voleva essere seppellito, presentava come distintivo un precipizio, o una parte dirupata di montagna. Tale circostanza di fatto si riscontra in quella parte della Rupe Atenea, che guarda il Nord e il Nord – Est.
Polibio, dopo di avere descritto esattamente il fondo Civita, mi piace ripetere le parole dello Storico antico per confermare come la descrizione di lui sia corrispondente alla natura dei luoghi, come siano stati chiaramente indicate tutte le balze e dirupi, che circondano l’area della Civita, cosi da meravigliare come mai si sia potuto discutere di fronte a tanta evidenza.
« La città degli Agrigentini, non solo a cagione delle « cose già dette, differisce dalle altre più grandi città, ma « ben anche per la sua massima fortezza e per la bellezza «del suo sito….
Il suo perimetro e per natura e per costi uzioni a preferenza di tutti gli altri è ben munito, imperocché il muro di difesa le gira intorno, sopra una rupe tagliata a picco, cosi dalla natura e dalla mano dell’uomo formata.
La parte alta della città giace al di sopra della medesima verso gli orienti estivi, e dal lato esterno è circondata da inaccessibile precipizio… . »
Diodoro Siculo in termini impliciti conferma quanto ci fa sapere Polibio, cioè che le mura della città, forti per conto proprio, furono aggiustate in qualche punto dalla mano dell’uomo, e rese inespugnabili. Egli narra infatti che gli schiavi cartaginesi, fatti alla battaglia di Imera, furono impiegati in parte alla costruzione di opere pubbliche, e fra queste crediamo certamente, che prima di ogni altra cosa i cittadini abbiano pensato a riparare le mura in quei punti che lo richiedessero, come è dichiarato da Polibio.
Ci narra altresì un episodio insignificante: nel 406 a. C. allorquando l’esercito Cartaginese arrivò sotto Agrigento, i due condottieri, Annibale ed Amilcare, esaminarono attentamente le mura della città, percorrendole in giro per vedere da quale parte sarebbe riuscito possibile l’attacco: giudicarono un solo punto adatto a ciò, e vi costruirono di fronte due torri di superba altezza, ma i cittadini incendiarono le torri e respinsero l’attacco; sicché i due capitani si convinsero che sarebbe stato inutile ogni altro tentativo, e decisero di stringere la città di rigoroso assedio e di prenderla per fame (6).
Questo episodio dimostra evidentemente che i cittadini utilizzarono tutta l’area della Civita, circondata dai dirupi ripetuti, imperocché, se ne avessero eliminato alcuna parte, il nemico vi sarebbe penetrato senza incontrare resistenza, pertanto le mura inespugnabili non potevano essere altre che quel giro di roccia viva tagliata a picco dalla natura ed aggiustato dalla mano dell’uomo, nè più nè meno come Polibio ha lasciato scritto.
Adunque, dentro il piano inclinato posto alle falde della Rupe Atenea e circondato da balzi e dirupi naturali, era contenuta l’antica Agrigento : lo dicono a chiare note i luoghi : il nome di Civita ad essi conservatole tutti gli antichi monumenti, ivi esistenti; e viene confermato poi per filo e per segno dalle varie testimonianze degli antichi scrittori.
I loro accenni, in apparenza, dicono cose diverse, ma in sostanza concordano tutti, trovando il loro preciso riscontro nella natura dei luoghi.
Virgilio ne dà il primo aspetto: un’impressione generale e fuggevole perchè Enea vede Agrigento da lontano, dal mare.
Pindaro scioglie un inno alla bellezza del sito della città e dei cittadini.
E mentre Virgilio e Pindaro hanno visto e descritto la città guardandola da sud a nord, dal mare verso la collina, Empedocle col suo accenno al precipizio esistente di là dalla Rupe Atenea, ci mette sotto gli occhi il lato settentrionale della collina medesima.
Polibio si occupa della parte militare del sito, e mette in rilievo quel giro di balze, che rendono inespugnabile la città.
E Diodoro a cui preme più narrare fatti, anzicchè fare osservazioni e considerazioni (7), ci ha confermato con l’episodio narrato, com’erano inespugnabili le mura della nostra città.
Ben mi apponevo adunque nel dire che ogni scrittore vede ed espone le cose sotto il proprio punto di vista, in dipendenza del soggetto trattato, e senza preoccuparsi affatto dei futuri topografi.
Note
(1) Eneide Lib. III 703
(2) Il Vivona rende meglio il pensiero di Virgilio :
…Eccelsa da lontano
La mole ostenta delle grandi mura
Agrigento, città di generosi
Cavalli un tempo attrice,
3) A chiarimento di queste ultime parole, credo opportuno aggiungere le seguenti notizie : I giuochi pitici erano celebrati a Delfo in onore di Apollo Pitto, uccisore del serpente pitone Era Apollo. Il sole, che aveva debellato il mal tempo coi suoi lampi e saette dalle forme di serpente, si festeggiava l’avvento della primavera, e perciò i giuochi pitici ricorrevano tra la fine di marzo e i primi di aprile, ivi l’agrigentino Mida, famoso suonatore di tibia, ottenne la palma.
Pare che Pindaro lo abbia accompagnato nel ritorno dalla Grecia, difatti descrive cosi bene l’aspetto generale della nostra città, e con la parola di μηλοβοτυ erboso ed intatto Acragante accenna alla vegetazione tropicale, che si riscontra nella pianura fluviale, sottostante alla città dalla metà di aprile fin oltre la metà di maggio, in quella stagione cioè in cui Mida glorioso e trionfante arrivava in Agrigento
Anche Empedocle accenna alla bellezza di quella pianura, ma chiamando ζανθός il biondo Acragante, ci presenta l’aspetto, che essa piglia a fine maggio, allorquando le blonde spighe ondeggiano al vento. Cerere, Infatti, è detta bionda, ed è coronata di spighe.
3) v. «vita di Empedocle»
4) Acrone fu medico Agrigentino di altissimo valore. Suida afferma che egli scrisse molti libri De re medica: nessuno dei quali è arrivato a noi. Plinio ci fa sapere che egli fu il fondatore della scuola empirica.
5) Lib. XIII Cap. XVI.
6) Lib. XIII Cap. I e Lib XX Cap.I
Michele Caruso Lanza, Osservazioni e note sulla topografia agrigentina, Agrigento, 1931, pp. 59-64