La rivoluzione del 1848 non risparmiò neppure Agrigento.
Fu guidata e sorretta dall’Agrigentino Gerlando Bianchini con fermezza e rettitudine, riscuotendo perciò la stima generale della cittadinanza, che fece di Lui il capo indiscusso del movimento rivoluzionario. La povera gente aveva sofferto negli ultimi quattro anni una grave carestia, che nell’inverno del ’48 raggiunse un livello così alto, che il Bianchini e i suoi collaboratori ritennero necessario trovare il modo per alleviare la grave situazione; tra gli altri provvedimenti fu preso quello di tagliare la Rupe Atenea dal lato mare. Fu questo l’inizio della “Passeggiata” attuale, che è il viale più bello della città.Negli anni successivi alla rivoluzione, dunque al tempo della restaurazione, alcuni rappresentanti del governo borbonico si diedero ad una frenetica attività volta ad arricchire la città di nuove opere pubbliche.
In particolare, l’Intendente della Provincia, Giuseppe Palizzolo e il Col. Pasquale Flores, comandante del V° Reggimento Borbone, operarono in tacita rivalità per migliorare “le condizioni materiali” della città.
Il Flores nel 1850 fece convogliare una vena d’acqua scoperta sul lato occidentale della chiesa di S. Calogero per alimentare una villetta, che egli aveva fatto sorgere poco più in là, tra la Chiesa e la scarpata di Piano di Porta di ponte: questa villetta, dopo il ’60, verrà ricoperta dall’ampliamento del piano di Porta di Ponte, che sarà portato alla misure attuali: il terreno così ottenuto sarà utilizzato per ospitare le quattro villette, che esistono ancora oggi e che costituiscono una delle poche oasi d’ombra e di verde della città.
Il Palizzolo, da parte sua, s’adoprò perché il Comune, con il contributo dei privati cittadini, realizzasse su una collinetta situata sul lato occidentale della Rupe Atenea e prospiciente sul piano San Filippo, una villa, che venne chiamata “Maria Teresa” e che, dopo il ’60, prenderà il nome di “Villa Garibaldi”. Era una villa abbastanza grande con i viali semicircolari ai due lati della collina e con un ampio ingresso adornato da un mezzo busto di Empedocle, e da statue di marmo rappresentanti le quattro stagioni (dono del Principe di Aragona).
Nel punto più alto della collina, intorno agli anni ’30, c’era uno spiazzo con una gabbia di ferro al centro, che ospitava una scimmia; ai lati dello spiazzo trovavano posto dei sedili di dura pietra per lo più occupati da “coppiette”, che vi trovavano rifugio per evitare le vie della città; e vi si vedevano seduti anche giovani studenti, provenienti dai paesi vicini, impegnati allora a scuola anche nelle ore pomeridiane: era un luogo tranquillo per divorare un piacevole panino.
Molto alberata e ricca di verde si presentava la villa, che godeva dell’appassionata cura di un “villeri” di apprezzate capacità, a cui il Comune aveva dato a godere una piacevole casetta, posta quasi di fronte all’ingresso e separata da questa dalla via S. Vito, allora allo stato naturale, che aveva il suo inizio accanto all’attuale palazzo dell’ex Super Cinema.
La villa da più di 50 anni non esiste più, travolta dall’inopportuna costruzione di un palazzo per il personale del Genio Civile, e poi dalla prepotenza del cemento.
Inoltre il predetto Palizzolo promosse i progetti relativi alla lastricatura della via principale, alla strada che porta al tempio della Concordia e di Giunone, al completamento della Passeggiata, alla strada della Spina Santa e alla costruzione di un teatro nella piazzetta di San Sebastiano: quest’ultimo progetto venne presto abbandonato per l’opposizione dei vicini, preoccupati dei vari danni che avrebbero potuto riceverne.
Tali progetti troveranno esecuzione in tempi successivi, spesso lontani l’uno dall’altro.
Anche un militare borbonico volle avere la sua parte nel miglioramento della città, il Marchese Diego Sertorio, aiutante maggiore del Reggimento di stanza nella città; provvide a fare restaurare l’attuale muro della Passeggiata, prospiciente a valle, sulla strada sottostante: era l’anno 1850. Poco dopo fece aprire nella Rupe Atenea, lungo la Passeggiata, un grande emiciclo, che poi, dopo il 1860, sarà detto “Emiciclo di Cavour”; è quello che gli Agrigentini videro occupato da un palco in legno riservato alla banda musicale cittadina, che allietava la loro passeggiata.
di Carmelo Montalbano
fonte rivista Agrigentini a Roma e altrove