La festa del Signore della Nave, il crocifisso ligneo custodito nella chiesa di S. Nicola, una volta era una manifestazione campestre, rurale, come recita meglio un manifesto del 1868 fatto affiggere dal Sindaco di Girgenti, M. Giambertoni, il 5 maggio.
In questo manifesto, scoperto e pubblicato nel 1998 da Vittorio Alfieri, in un lungo servizio (cultura e società) del Giornale di Sicilia, si parla della festa e del rinvio della stessa dal 10 maggio alla prima domenica di ottobre. In effetti, venne celebrata, successivamente, la prima domenica di settembre, ritenendo che la frescura potesse far affluire la gente in maniera migliore e soprattutto unendo “sacro e profano” potessero macellarsi i maiali e consumarne le braciole e la salsiccia senza i pericoli dietetici del caldo.
Era una festa molto sentita che si svolgeva dopo di S. Calogero e rappresentava l’occasione buona per una «schiticchiata» accessibile a tutti, anche alle classi più povere, che rappresentavano la maggioranza della popolazione. Migliaia di persone, intere famiglie, anche con i bambini in braccio, ma in maggioranza con i carretti con le sedie sistemate sulla cassa, per le donne, affluivano dal primo pomeriggio, alla chiesa di S. Nicola. Vi era chi doveva sciogliere un voto per grazia ricevuta ed i miracoli dovevano essere frequenti, se le pareti della Chiesa, erano tappezzate di ex voto.
Nel corso degli ultimi restauri, le tavolette di legno o latta sono scomparsi, e se ne ha notizia soltanto dai ricordi di qualcuno o qualche foto, realizzata, nel corso di spettacoli, nell’area che allora era della famiglia Velia e portate da figuranti che simulavano la processione, descritta da Pirandello, con sullo sfondo la figura di un macellaio.
La caratteristica della festa, originata nel 1600, era la processione (un piccolo percolo) seguita dai cittadini, da marinai affluiti dalla vicina marina, allora territorio di Girgenti ed anche da un personaggio tipico dell’epoca che marinaio non era, ma pescatore di Santulì (San Leone). Il nome già lo descriveva “Giaracannà”, per la canna da pesca che usava nel pescare i polipi.
Scalzo, vestito di tela, un gran barbone, percorsi a piedi i pochi chilometri, fin dal primo mattino, era alla Chiesa quasi ad accogliere i devoti che sarebbero arrivati man mano. Era un commensale allegro che diveniva brillo, per le molte libagioni, accanto ai fuochi improvvisati, accesi sui vari spiazzi.
I più organizzati, quelli che scendevano con i carretti, portavano le «tannure»; grandi recipienti di latta svuotati dal petrolio di illuminazione, e che diventavano cucine mobili, con l’applicazione di una graticola. Il combustibile era già bello e pronto; delle pallottole di argilla e polvere di carbone coke, che la popolazione dei vari quartieri popolari, preparava in vista dell’inverno.
La carne veniva portata dalla città ma in maggioranza veniva comprata quella che i macellai avevano preparata nelle prime ore della giornata dopo aver macellato all’aperto i maiali. I quarti di maiale facevano bella mostra di sé, pendenti dai rami degli alberi circostanti.
Nella zona vi erano tre locali, per coloro che preferivano festeggiare al chiuso con la famiglia. Quello che era situato meglio strategicamente era detto del «baggiano», un nomignolo che era stato attribuito al proprietario del locale (oggi Promenade) mentre in effetti a gestirlo, per cinquantenni, fino al 1962 fu la famiglia Cicero.
Nel locale durante l’anno si vendeva vino, generi alimentari e si faceva anche cucina. Disponeva per i clienti anche di una grande terrazza. Nel tempo, dal dopoguerra in particolare, la zona ha subito grandi trasformazioni, con l’apertura della strada di collegamento dal campo sportivo, agli scavi archeologici del quartiere ellenistico-romano.
Nel locale del «baggiano» è stato ripristinato il vecchio ingresso, anche se la grande terrazza è scomparsa. Dell’afflusso dei numerosi gitanti usufruivano pure due altri locali, Spina ormai chiuso da tempo, e Tagano (ora rivendita di giornali e tabacchi, proprio di fronte alla fontana di Bonamorone).
Della processione e del consumo della carne di maiale, con l’inizio della stagione, non vi è più memoria. Un tentativo è stato fatto nel 1994, dal rettore della Chiesa, Biagio Alessi, con una breve processione (con devoti di importazione da altre parrocchie) e con il consumo di panini e salsicce, sul sagrato della Chiesa. Una riedizione recente a carattere artistico-gastronomico lo scorso anno, con la recita di brani di Pirandello e poi, salsicce, pane, vino rosso, e alla fine soprattutto «la invenzione» dal consumo del sorbetto.
Non vi saranno, probabilmente, più processioni ed il Crocifisso, una volta in una cappella laterale, adesso è collocato o forse è meglio dire relegato, alla estrema sommità del tetto dell’altare centrale.
Fonte: Ermogene La Foreste, Agrigento Nuove Ipotesi, maggio-giugno 2004, p. 27