Chi continua a venire, anche da lontanissime contrade, per visitare i templi famosi, non rinuncia a salire sin sull’ acropoli cristiana, sulla vetta del colle di Girgenti, dove svetta l’antica Cattedrale dedicata al santo francese arrivato con i Normanni, San Gerlando.
Ma la Cattedrale agrigentina oggi è un gigante “ferito” e così le sue porte sono chiuse ai visitatori, anche nell’anno giubilare dedicato alla Misericordia, quando le porte di tutte le chiese madri del mondo sono invece spalancate.
La Cattedrale di San Gerlando torreggia con la sua mole grandiosa (10 mila metri quadrati) ma dal suo massiccio campanile tacciono quelle campane che risuonarono per la prima volta dopo due secoli e mezzo di dominazione araba.
Il conte Ruggero sottomesso l’emiro musulmano, scelse Gerlando di Besançon quale Vescovo di Agrigento e gli diede l’incarico di rievangelizzare gli agrigentini e costruire la Cattedrale. Il Vescovo santo si mise subito all’opera e grazie alle donazioni di Ruggero completò in soli sei anni il nuovo tempio e lo dedicò alla Madonna Assunta e agli Apostoli. C’è chi dice che l’abbia costruita sopra un antico tempio greco dedicato a Giove Atabirio.
Ma quel superbo duomo venne innalzato per due terzi sulla terra ferma e per un terzo su di una falda di terreno argilloso e franoso. Pertanto già alcuni decenni dopo si ebbero i primi seri problemi di stabilità. Così appena cento anni dopo, nel 1198, la Cattedrale era “collapsa e diruta”(crollata e distrutta).
Venne prontamente rifatta e fortificata perché il sovrano Federico II voleva farne un presidio militare.
Più tardi il vescovo Gualtieri, che resse la diocesi nel secondo decennio del secolo XIII, per timore dei pirati berberi che infestavano le acque del Mediterraneo e saccheggiavano anche la costa agrigentina, fece costruire una torre di difesa nel lato nord della Cattedrale, servendosi forse dei ruderi del tempio di Giove. La torre del Gualtieri esistette sino al 1835, poi venne fatta abbattere dal vescovo D’Agostino perché pericolante e sostituita col bastione di sostegno.
“Quasi interamente distrutta” trovò la Cattedrale anche il prelato Rainaldo di Acquaviva e provvide a ricostruirla e a riconsacrarla (1248).
Il 4 aprile 1315, sotto il Vescovo Bertoldo De Labro, venne dedicata a San Gerlando.
Nello stesso secolo anche il Vescovo Matteo de Fugardo decise di intervenire sulla Cattedrale perché la trovò gravemente danneggiata, probabilmente anche a causa di cedimenti del colle. Il Papa Urbano VI fece sapere che avrebbe concesso l’indulgenza parziale a chi avrebbe contribuito alla ricostruzione del Duomo. Un cospicuo finanziamento venne da parte di Matteo Chiaramonte, rampollo della più potente famiglia dell’epoca. Un altro potente del tempo, Giovanni Montaperto, canonico della Cattedrale e poi Vescovo di Mazara, realizzò nel 1470 il nuovo campanile, che però rimase incompleto.
Al Vescovo Fugardo si deve l’attuale pianta a croce latina, mentre il vescovo Giuliano Cybo nel secolo XVI dovette intervenire sulla volta della navata centrale, che era crollata a causa del dissesto delle colonne e del muro del lato Nord. Della stessa epoca è la realizzazione del soffitto ligneo a cassettoni dorati, in cui vediamo lo stemma dell’aquila bicipite imperiale, anch’essa dorata.
La cappella di San Gerlando venne eretta durante il vescovado di Monsignor Trahina (1627-1651) e vi venne successivamente posta l’arca d’argento che conserva i resti del patrono di Agrigento. Il 20 novembre 1658 il Vescovo Francesco Gisulfo, entrato nella Cattedrale a prendere possesso della novella sede decise di abbellirla con stucchi dorati e con nuovi dipinti per la realizzazione dei quali mandò a chiamare il celebre artista Michele Blasco. Arricchì inoltre l’interno con due bellissimi organi e con candelabri, vasi di argento e altre preziose suppellettili.
Qualche decennio dopo però, nel 1693, il terremoto che quell’anno distrusse Catania e Noto ebbe gravi effetti anche sulla Cattedrale agrigentina. Con la frana del 1745 viene rimossa l’imponente facciata con il portale a sesto acuto dalle modanature a zig zag fatti realizzare da Matteo Chiaramonte nel 1362.
Duecento anni dopo la frana del 19 luglio 1966 scosse le strutture, il muro meridionale si inclinò. Un improvviso profondo scoscendimento aveva tagliato a metà la navata nord, facendo quasi crollare il soffitto, danneggiando la cappella del Sacramento e le cappelle laterali sino alla parte settentrionale della facciata. Solo quindici anni dopo venne restaurata e riaperta.
Chiusa ancora una volta al culto dal 2011 per il rischio di crolli – dopo che è risultato evidente che alcune fessure si erano allargante sul lato che dà a nord ed è apparso serio il rischio che scivoli giù a valle con l’intero costone – si è meglio compreso che è la fragilità costituzionale del suolo su cui poggia (in particolare la parte nord) la causa primaria dei movimenti subiti nei vari secoli ed anche oggi. Negli ultimi cinque anni la struttura si è mossa di circa 6 cm. Adesso il governo italiano ha pronti ottocentomila euro per nuovi interventi, che si aggiungeranno ai 736 mila euro provenienti dal finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana con i fondi dell’8xmille. Ma tutti dicono: bisogna fare presto.
Elio Di Bella