la città propria è quella contenuta dentro le mura di cinta, e nella specie, i dirupi ed i precipizi, che circondano la Civita
L’antica Akragas è racchiusa entro questi confini: a Nord, la Rupe Atenea, dalla Villa Garibaldi alla chiesa di S. Biagio; ad Est dalla Rupe Atenea al tempio di Giunone; a Sud, da questo Tempio a quelli dei Dioscuri e di Vulcano, ad Ovest, da questi ultimi tempi a tutta la Nave.
Ebbene la città di Agrigento sorgeva appunto entro questi confini; quivi era la Civitas; e tutte le rocce tagliate verticalmente dalla natura ed aggiustate dalla mano dell’uomo, e tutti i dirupi, che la circondano, costituiscono il giro delle mura con tanta chiarezza descrittoci da Polibio. La loro struttura ci rende manifesto essere impossibile, che la città sia stata più o meno estesa: pensare ad una estensione minore, significa voler fare torto ai fondatori prima ed ai cittadini poi di avere lasciate aperte al nemico le porte della loro città, facendolo penetrare cioè in quel recinto, in cui poi sarebbe divenuta impossibile ogni resistenza. Un episodio narrato da Diodoro dimostra all’ evidenza che gli Agrigentini seppero tenere ben chiuse le porte della loro città.
Non è altresì possibile supporre Agrigento al di là delle balze cennate, perché la città propria è quella contenuta dentro le mura di cinta, e nella specie, i dirupi ed i precipizi, che circondano la Civita, rendevano impossibile ogni espansione al di là di quel recinto. Poterono sorgere dei sobborghi, ma ad una certa distanza dal centro. In una parola, il solo fatto che i fondatori della nuova città scelsero l’altipiano situato alle falde della Rupe Atenea, ci deve far comprendere che essi destinarono tutte quelle balze circostanti ad uso di mura di difesa della grande città; che la medesima un giorno o l’altro avrebbe dovuto occupare tutto lo spazio contenuto infra quei dirupi.
Questo ci dicono i luoghi: documenti, i quali non vanno soggetti agli sgorbi dei copisti.