Una storia della ricerca archeologica in Agrigento, per non citare Fazello (C 1558), può farsi risalire al padre teatino Giuseppe Maria Pancrazi, autore di Le Antichità Siciliane spiegate, i cui due volumi pubblicati trattano esclusivamente di A. (C 1751). Infatti una iniziativa di ricerca e di studio è adombrata nel vol. II, 81 a proposito delle rovine del tempio di Giove, allorché è detto del tentativo da parte dell’autore di utilizzare i conci, destinati dal vescovo Gioeni alla costruzione del molo, «ad oggetto di poter ricavare la pianta del medesimo Tempio, e di rinvenire qualche pezzo di colonna».
Tuttavia un avvio sistematico alla ricerca archeologica in Agrigento — nella quale non possiamo non comprendere anche gli interventi di restauro dei monumenti — non va più su degli ultimi decenni del sec. XVIII, allorché nasceva in Sicilia, per interessamento del governo borbonico, la prima organizzazione di Stato del servizio di antichità, con la nomina di custodi dei due distretti archeologici, Val di Noto e Val di Mazara, nella quale ultima Torremuzza si associò come Soprintendente l’agrigentino Giuseppe Lo Presti.
A Torremuzza, per mano dell’architetto D. Carlo Chenchia, si devono interventi su due templi agrigentini, l’anastilosi del tempio di Giunone (1787) e il restauro del frontone E del tempio della Concordia (1788).
A Lo Presti — custode Alfonso Airoldi — si devono scavi nel tempio di Zeus (1802-1805), che portarono allo sgombro delle strutture e ne fecero conoscere la pianta, illustrata dal marchese Haus (C 1814).
Nel 1827 fu istituita a Palermo con giurisdizione su tutta l’isola una Commissione di Antichità e Belle Arti, di cui fu presidente Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco (1783-1863), cui si devono, insieme con lo scultore Villareale e l’arch. Domenico Cavallari, diverse ricerche di scavo e interventi di restauro in Agrigento (1835-1836) al tempio di Demetra, sulla Rupe Atenea, al tempio di Vulcano, al tempio di Eracle (dove fu trovata una statua mutila in marmo di Esculapio, ora al Museo di Palermo), al tempio di Castore e Polluce, del quale ultimo furono risollevate quattro colonne dell’angolo NO (ricostruzione divenuta un elemento notevole del paesaggio agrigentino) (Serradifalco e Kramer C 1836).
Nel 1867 scavi regolari condotti dalla Commissione delle Antichità in contrada S. Nicola mettono in luce parte di una casa con peristilio, detta « casa greca », rivelatasi agli scavi successivi una casa dell’abitato romano.
Nel 1871-1873 vengono operati restauri al tempio della Concordia per conto della rinnovata Commissione e del direttore all’Antichità, l’arch. Francesco Saverio Cavallari (C 1872 e 1873) che eseguì restauri ulteriori negli anni 1877-1878 e 1884-1885, con interessanti ricerche e osservazioni da parte dell’arch. Patricolo (Patricolo e AA.VV. C 1887).
Nel 1897 in un pozzo ai piedi della Rupe Atenea a E del fiume Akragas fu rinvenuta la nota statua marmorea di Efebo, al Museo di Agrigento
Contemporaneamente alle ricerche regolari si incrementavano purtroppo gli scavi dei privati con la spoliazione della ricca necropoli agrigentina, da cui trassero origine due cospicue collezioni private di ceramica, quella di Raffaele Politi e quella di Ciantro Giuseppe Panitteri, in parte disperse, in parte confluita, la seconda, al Museo di Monaco.
Di contro al collezionismo privato, per merito di Giuseppe Picone si afferma l’esigenza di un Museo Civico, che veniva fondato nel 1864 nella trecentesca cappella del convento di S. Francesco (successivamente trasferito agli inizi del sec. XX nell’attuale sede di piazza Municipio).
Nel 1870 con la costruzione della ferrovia vengono in luce sepolcri e vasi.
Nel 1895 nella zona del fiume Hypsas, dall’area della necropoli O, fu scoperta l’iscrizione arcaica di (PH)ILTO, conservata nel Museo di Agrigento, pubblicata da Salinas (C 1895). Lo stesso Salinas scavava (1899) un settore della necropoli romana nei terreni a S della Collina dei Templi, settore che, per essere vicino allo sbocco del complesso catacombale, si presentava riadoperato in epoca paleocristiana (C 1901). Tali catacombe, le più importanti in Sicilia dopo quelle di Siracusa, erano state oggetto di scavi e di opere di restauro negli anni 1875-1877 ad opera di Francesco Saverio Cavallari, direttore delle Antichità di Sicilia (1887); ma è negli anni 1900-1903 che furono attentamente esplorate da Führer (C 1907), che si era dedicato con l’aiuto dell’Istituto Archeologico Germanico allo studio della Sicilia sotterranea.
Nel 1918, in terreno situato a qualche centinaio di metri a N del tempio della Concordia, venne in luce la nota iscrizione di Phalakros con dedica ad Hermes, di epoca ellenistica (Gabrici C 1925) — ma Langlotz (C 1943) ne propose poi l’attribuzione alla statua marmorea severa dell’Efebo — ;
nel 1920 si effettuarono i primi scavi nella borgata marina di S. Leone, sito dell’emporion, scoprendo avanzi di magazzini di epoca bizantina (Gabrici C 1925); in contrada S. Nicola vennero ripresi gli scavi dell’abitato romano, mettendo in luce due case, l’una con peristilio, l’altra con peristilio e atrio (Gabrici C 1925);
nel 1922 si intrapresero scavi al tempio di Zeus, mettendo in luce un sacello ellenistico appoggiato allo spigolo SE del grande tempio (C 1925 Gabrici); dal 1922 al 1924 — per merito anche del mecenate inglese capitano Alexander Hardcastle — la Soprintendenza agli scavi della Sicilia procedette al rialzamento di alcune colonne del lato S del tempio di Eracle (operazione completata nel 1931) e l’operazione fu propizia per nuove misurazioni e ricerche nel terreno archeologico sgomberato (Pfister C 1924; Gabrici e Marconi C 1925; Valentini C 1932).
Intorno agli stessi anni veniva scavato e scoperto uno dei tratti più rilevanti delle fortificazioni greche, con la messa in luce dell’ opera a tenaglia» (Gabrici C 1925).
È negli anni 1925-1932 che cade il primo grande fortunato periodo della ricerca archeologica in A. dove, soprintendente alle Antichità della Sicilia in Siracusa Paolo Orsi, si incontrano l’intelligente e vivace attività di un archeologo, Pirro Marconi, e il generoso mecenatismo del capitano inglese Hardcastle.
Le tappe di questa attività frenetica sono così segnate: 1925, ricerche nel tempio di Demetra sulla Rupe Atenea, che fecero conoscere in particolare il tempio greco con il peribolo, l’altare rotondo e la stipe votiva; il primo scavo regolare nell’area dell’Oratorio di Falaride’ (oggetto già nel 1895 di una ricerca episodica da parte di Serradifalco e di Cavallari), scavo che permise l’edizione del monumento, tuttavia erroneamente interpretato come heroon funerario; saggi di scavo nella cella del tempio di Giunone, dove furono accertate la struttura delle fondazioni e la stratigrafia archeologica sino al banco di roccia; ricerche nell’area a N della Collina di S. Nicola (Marconi C 1926 *);
1926, scavo del sacello arcaico all’interno di Villa Aurea (Marconi C 1926 0; scavo delle rovine del tempio di Esculapio fuori le mura con la conoscenza in dettaglio della struttura del tempio (Marconi C 1929 5); scavo del santuario rupestre fuori le mura in località S. Biagio con la messa in luce delle grotte sacre e dell’edifìcio rettangolare antistante (c.d. vestibolo) (Marconi C 1926 !); scavo regolare della necropoli O in località Macello; 1926-1928, scavo del tempio di Zeus Olimpio, che portò alla scoperta di elementi notevoli della struttura e della decorazione del tempio, fornendo per la colloca¬ zione dei Telamoni nuova soluzione (Marconi C 1926 2) rispetto a quella di Koldewey-Puchstein (C 1899); 1927-1930 (Marconi C 1932 *), scavo di una casa romana con pavimenti a mosaico geo¬ metrico, in prossimità della chiesa di S. Nicola; scavo di un recinto con bothros sulle pendici S di q. 212 e di un gruppo di casette nella roccia di epoca greca; esplorazione di una interessante cisterna greca a NO del tempio di Eracle, con il ritrovamento, fra l’altro, di una grande maschera femminile fìttile di VI-V see. a.C., conservata nel Museo di A.;
ricerche di testimonianze preistoriche, quali una capanna della prima età del Bronzo presso l’angolo SE del tempio di Zeus, e tomba sicula a forno sulle pendici S della Rupe Atenea (Marconi C 1928); 1927-1932, grande ed esteso scavo nell’area del tempio dei Dioscuri, con la scoperta e la messa in luce di una delle più interessanti aree sacre, rivelatasi un santuario dedicato alle divinità ctonie, con altari quadrati e rotondi, temene, sacelli, fondazioni di templi precedenti l’erezione di quello detto dei Dioscuri e il ritrovamento di stipi votive, scarichi di ex voto fìttili (Marconi C 1933);
nella stessa area, nel 1927, viene scavata e liberata la platea dell’edificio a S del tempio dei Dioscuri, interpretato come peristilio di età romana (trattasi, invece, di un tempio greco del IV see. a.C., come avevano ben visto Koldewey e Puchstein). Intorno a questo periodo, e precisamente negli anni 1928-1929, si scavano le rovine del tempio di Vulcano, all’estremità O della collina, con la scoperta del sa¬ cello arcaico all’interno della cella e della sua decorazione fìttile architettonica (Marconi C 1933). Nel 1932 e nel 1934, soprintendente alle Antichità della Sicilia Giuseppe Cultrera, si riprendevano gli scavi nel santuario rupestre presso S. Biagio e si metteva in luce il complesso del recinto antistante l’edificio principale (dove si era arrestato lo scavo Marconi) con il sistema di vasche collocate a differenti livelli (Cultrera C 1942).
Nel 1933 in località Giacatello presso S. Nicola veniva scavato l’importante ipogeo di natura idraulica, noto come Ipogeo Giacatello (Cultrera C 1936).
Nel 1934 vennero effettuate ricerche al tempio di Zeus Olimpio, con la messa in luce delle costruzioni superstiti della grande ara antistante la fronte del tempio; l’esplorazione dell’angolo SE di esso, con la scoperta in situ di avanzi di altri due telamoni, nonché saggi stratigrafìci a S del tempio sino alla linea delle mura; scavo di casa con tabernae nell’abitato romano di contrada S. Nicola (Cultrera C 1936).
Nello stesso anno si procedette ai restauri del tempio di Giunone (consolidamento dell’angolo NE del basamento e relative colonne; consolidamento dell’ara antistante; ripristino della colmata a ridosso delle sostruzioni del lato N del tempio), del tempio della Concordia (consolidamento di fondazione e colonne; protezione della trabeazione, ripristino della colmata a ridosso delle fondazioni; consolidamento delle cavernosità nella banchina calcarenitica lungo il lato S), del tempio di Esculapio (Pace C 1933; Cultrera C 1936). Nel 1939, istituita la Soprintendenza di A., soprintendente Goffredo Ricci, si effettuarono scavi nella necropoli O, in località Pezzino, dove venne recuperato il noto vaso del Pittore di Kleophrades con la morte di Patroclo, al Museo di Agrigento (Ricci C 1939). Nel 1940 fu esplorata la Porta II o Porta di Gela (Ricci C 1940).
Nello stesso tempo fortuitamente veniva rinvenuto nella stessa contrada il magnifico cratere policromo a fondo bianco della seconda metà del V see. a.C., con il mito di Andromeda (Griffo C 1957, nr. 323). Ricerche furono riprese al tempio di Zeus, scoprendo il muro di divisione del pronao, mentre dal riempimento veniva fuori il noto torso marmoreo severo ora ricomposto come torso di guerriero nel Museo di A.
Nel 1941 per cura di Bovio Marconi (C 1942) vennero condotti lavori di scavo nella zona a N del tempio dei Dioscuri (ara quadrata di età greca e fondo di capanna preistorica); nell’area della necropoli romana, fuori la linea S delle mura (dove viene esteso lo scavo Salinas del 1901). A cura di Mercurelli esplorazioni si fecero nella necropoli paleocristiana e bizantina, liberando la zona N della maggiore catacomba, scavando ipogei minori e numerose tombe sub divo nella parte più ad E del giardino di Villa Aurea, e curando una planimetria generale dell’intera zona ipogeica, quale mancava sino allora (Mercurelli C 1942; C 1944).
Soprintendente Pietro Griffo, dopo la forzata sosta dovuta agli eventi bellici, l’attività di ricerca archeologica riprende dapprima nel 1945, con lo scavo della necropoli arcaica di Montelusa, che con il materiale ceramico mesocorinzio (Museo di Agrigento) appare la necropoli dei primi coloni (Griffo G 1945 5; C 1946 3, nr. 722); e nel 1946 con saggi nell’area dell’abitato romano in località S. Nicola (Griffo C 1946 3, nr. 1931; C 1953 4).
Nel quinquennio 1948-1952 (Griffo C 1953 le3; C 1955 2, nr. 1783) vengono riprese le ricerche lungo il lato S del tempio di Zeus e lo sgombero dell’ipogeo Giacatello; lavori per l’ampliamento della strada dei templi portano alla scoperta di un tratto della carreggiata antica, nonché di pozzi e cisterne a N del tempio di Eracle, ricchi di materiali, fra cui la nota testa di kouros arcaico (Museo di Agrigento) (Anon. C 1955); la costruzione della strada panoramica Buonamorone-Statale 115 porta alla scoperta di un tratto insospettato di muro di fortificazione a monte del tempio di Giunone (Griffo C 1955 2, nr. 1783); vengono, inoltre, riprese le ricerche nell’area della necropoli paleocristiana e bizantina (Grif¬ fo C 1955 2, nr. 2937: tombe sub divo, estremo tratto N della catacomba principale, dove lo sgombero di un’antica cisterna di età greca restituì, tra l’altro, una notevole testa virile fittile del IV see. a.C., al Museo di Agrigento, Griffo C 1955 2, nr. 1466); furono esplorate alcune camere sepolcrali ricavate nella parte S del costone roccioso che segna la linea delle mura; l’estendersi dell’attività edilizia provoca interventi di scavo nella zona dell’emporion (Griffo-De Miro C 1955).
Nel 1951 interventi di restauro vengono operati sul tempio di Giunone (Griffo C 1955 2, nr. 295).
Nel 1953 cospicui finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno consentono di riprendere gli scavi in due distinti settori: la zona O della Collina dei Templi e la zona dell’abitato romano in contrada S. Nicola. Nella prima lo scavo investe l’area ad E di Porta V (quest’ultima integralmente scavata), tra essa e il santuario di Zeus, con la scoperta di un piazzale con tempietto e stoa a squadra; a O del santuario delle divinità ctonie si saggiano gli avanzi di un altro temenos (Griffo C 1953 3; C 1955 2, nr. 1783; C 1959 *).
Nella zona di S. Nicola, lo scavo investe un’area di ca. 10.000 mq., dove viene messo in luce un vasto settore di quartiere urbano, regolarmente sistemato con strade parallele N-S (complessivamente quattro cardines a completamento degli scavi precedenti incrocianti il decumanus ricalcato dalla moderna strada nazionale per la marina), e abitazioni tra di esse (Griffo C 1953 4; Griffo-De Miro C 1955; De Miro C 1957; Griffo-Minissi C 1960).
D’ora in poi numerosi sono gli interventi di ricerca che interessano tutte le parti della città, e non si possono più ricordare che i fatti più salienti.
Così negli anni sino al 1964 la ricerca porta all’acquisizione di nuovi elementi per i luoghi di culto: tempio dorico di S. Maria dei Greci (Griffo C 1957 6, nr. 1940); area del tempio di Zeus (De Miro C ‘1962 2; C 1963 *); santuario arcaico ellenistico-romano presso il c.d. Oratorio di Falaride, dove si è trovato ben conservato un ekklesiasterion dei primi tempi ellenistici (De Miro C 1963 2; C 1967 *);
per le fortificazioni (Griffo C 1957, nr. 1940); per l’abitato superiore (scavi in località Colleverde) (Griffo C 1957, nr. 1568 e De Miro C 19661); scavi a N di via Petrarca; per la zona pubblica (area dell’agorà) (Griffo C 1957 6, nr. 2721);
per le necropoli classiche (località Sottogas e Villaseta).
Nel 1965 lo scavo a cura di Fiorentini in località S. Anna porta alla scoperta di un santuario extraurbano con caratteri indigeni perduranti nella seconda metà del VI sec. a.C. e oltre (Fiorentini C 1969).
Nel 1968, in località Villaseta ad alcuni chilometri dalla cinta urbana, in ima zona già nota da precedenti scavi come di necropoli, viene scavato un complesso monumentale consistente in un’area porticata su tre lati con avanzi di colonne ioniche (De Miro-Fiorentini C 1972).
Nello stesso tempo la scoperta di un elemento di Telamone del tempio di Zeus porta a nuova proposta la soluzione ricostruttiva De Miro (C 1969).
Nel 1970, soprintendente Ernesto De Miro, vengono ripresi in maniera sistematica gli scavi nel settore O della Collina dei Templi a O e a E del santuario delle divinità ctonie, acquisendo dati definitivi sull’urbanistica, la configurazione monumentale dei santuari e la cronologia, in particolare per quanto attiene il santuario sulla Colimbetra e quello a ridosso di Porta V (De Miro C 1969 2; De Miro Fiorentini C 1972; De Miro C 1974; Pancucci C 1980).
Sulla Rupe Atenea gli scavi affidati a De Waele acquisirono elementi di conoscenza monumentale in quello che fu il sito della acropoli greca (1971-1978) (De Waele C 1976); viene intrapreso lo scavo sistematico di due estesi settori delle necropoli greche, quella E in contrada Mosè (1979-1980) e quella O presso il fiume Hypsas (1980), con notevoli risultati sul piano dell’acquisizione di elementi tipologici, architettonici, e di storia. Si procede altresì alla ricerca sistematica della necropoli romana a S della c.d. Tomba di Terone (1977-1980), dopo il ritrovamento casuale di un sarcofago marmoreo figurato di bambino.
Nell’area del quartiere ellenistico-romano in contrada S. Nicola viene avviato un programma di ricerche in profondità per l’acquisizione di elementi di conoscenza della città di età arcaica e classica (1980). Nel frattempo si avvia un programma sistematico di interventi di restauro, in particolare nei templi di Giunone e della Concordia, accompagnato da una ricerca su basi documentarie e conoscenza scientifica dei materiali su cui e con cui intervenire.
Riepilogando, per quanto concerne l’area urbana, A. (Akragas, Agrigentum) sorse su un plateau costituito da una banchina di calcarenite sovrapposta ad argille azzurre plioceniche, cinto da ampi declivi, inclinato da N a S. La città appare delimitata a N dai versanti rocciosi della « Collina di Girgenti » (dove si sviluppò poi la città medievale) e della « Rupe Atenea », acropoli del periodo greco; ad E, dalla scarpata rocciosa che domina il corso del fiume Akragas (S. Biagio); ad O, dal ciglio roccioso che domina il corso dell’Hypsas (Drago); a S, da un’antica ripa marina, sul cui ciglio sorsero i templi, a mezzogiorno della quale si estende una vasta pianura alluvionale del quaternario recente sino alla foce del fiume Akragas, dove era il porto della città antica. Le fortificazioni consistono nel potenziamento della situazione fisica, e le mura — come dice Polibio (9, 29) — « posano sulla roccia erta e tagliata aguzza, che in parte è così per natura, in parte è stata adattata dalla mano dell’uomo ». Sono state riconosciute — e ne rimangono avanzi monumentali — nove porte in corrispondenza di altrettanti valloncelli e passaggi. Il piano urbano vedeva l’acropoli (la Rupe Atenea) interessata da opere militari e da un quartiere artigianale (di epoca ellenistica) sulla sommità, e un santuario, il tempio di Demetra (V sec. a.C.) sulle pendici SE; l’abitato e i monumenti pubblici si stendevano nell’area ai piedi dell’acropoli, oggi denominata « Valle dei Templi », chiusa a S dall’altura bassa e parallela al mare, organizzata come una grandissima area sacra articolata in diversi santuari, di cui i templi sono l’espressione monumentale.
L’area compresa tra l’acropoli e la Collina dei Templi era organizzata secondo un piano ippodameo (in corso di ricerca); in epoca romana essa è stata in gran parte ricalcata, e l’area risulta tagliata in senso trasversale da sei decumani orientati ca. 10 gradi sopra l’E, che con i cardines dividono la zona centrale in insulae di ca. 300 m. di lunghezza, minori essendo i decumani che servivano rispettivamente la parte alta della città e la Collina dei Templi. Si conoscono pochi frammenti della massicciata stradale in opus spicatum di cotto relativamente al decumano E-F (probabilmente il decumanus maximus, largo m. 11, ricalcato dall’attuale strada nazionale e quello G-H largo m. 7); degli altri la fotografia aerea consente di ricostruire il tracciato.
I decumani sono tagliati in senso N-S da un numero rilevante di cardines, larghi m. 5 ca., distanti m. 35 ca., alcuni dei quali sono ricalcati dalle attuali trazzere che attraversano la valle nello stesso senso; l’orientamento dei decumani individua due settori del piano urbano, in cui i quartieri della zona alta rocciosa (intorno a Poggio Meta, q. 177) seguono ima direzione leggermente sfalsata rispetto a quella della zona centrale e meridionale; un terminus ante quem per la datazione dell’impianto regolare è costituito dall’Olimpieion (480460 a.C.) che vi risulta inserito, mentre il termine cronologico della seconda metà-fine VI see. a.C. è precisato dagli scavi del settore O della collina dei Templi e dai saggi stratigrafici nel quartiere in contrada S. Nicola. Di tale reticolato, infatti, devono risalire al VI sec. a.C. uno stenopos e la plateia M-N che dal santuario delle divinità ctonie giunge a Porta II o di Gela, passando dall’area dell’agorà. Livio (26, 40) ricorda che i Romani nel 210 a.C. entrarono in A. per la porta dell ’emporion (l’attuale Porta Aurea) e giunse¬ ro tosto nel foro; e Cicerone (Verr., 2, 4, 94) colloca il foro presso il tempio di Ercole; topografi quali Schubring e archeologi quali Marconi e Griffo, collocano, infatti, l’agora nella zona pianeggiante situata ad E dell’ Olimpieion; dei monumenti pubblici si conoscono, documentati dagli avanzi, un ekklesiasterion della prima età ellenistica (successivamente abbandonato per dar posto nel II-I sec. a.C. a un santuario con tempietto, il c.d. Oratorio di Falaride); e un bouleuterion (in corso di scavo); a un ginnasio nella zona a N dell’agorà deve riferirsi l’iscrizione su un lungo sedile in pietra di lì proveniente, con dedica a Hermes ed Herakles, di età ellenistica.
Le case di età greca che si conoscono si riferiscono a tre ‘quartieri’ : — quartiere di mq. 192 con una serie di cellette in parte ricavate nella roccia, che secondo lo scavatore, Marconi, sono da riferire a case a stanza unica, di rado a stanza doppia, con un pozzo o cisterna accanto, organizzate a schiera con cortile comune; — quartiere della zona compresa tra il santuario delle divinità ctonie e il tempio di Zeus, dove si hanno blocchi di case con cortile a L e vani che si aprono su di esso; tecnica di costruzione in pietrame; — quartiere in contrada S. Nicola, dove gli strati greci sono in corso di scavo, e la ricerca si è soprattutto fermata agli strati superiori di età romana; qui le case sono ora di tipo ellenistico con peristilio, ora con atrio colonnato, ora di tipo misto con atrio e peristilio, ora, nel III sec. d.C., con porticus fenestrata.
Dal punto di vista strutturale sono sempre nella linea della tradizione greca, costruite in conci squadrati. Le isole risultano, di solito, tagliate da ambitus di drenaggio e servite da un completo sistema di fognature e di approvvigionamento idrico. Per l’approvvigionamento idrico della città greca sono da ricordare gli ipogei e acquedotti sotterranei, costruiti dopo la battaglia di Imera, con mano d’opera formata dai prigionieri car¬ taginesi (Diod., 11, 25); scavati nella roccia, essi funzionavano con sistemi di captazione in loco. Lungo il circuito delle mura sorge la serie dei templi e santuari che ancora oggi costituiscono la maggiore attrazione archeologica di A. Partendo dall’angolo NE, sulle pendici della Rupe Atenea, è il santuario di Demetra, con recinto, tempio in antis (trasformato in chiesetta nel medioevo), due altari rotondi, di cui uno con bothros ricco di kernoi (Museo di A.), servito da una carreggiata, tuttora percorribile. Sottostante al tempio di Demetra, immediatamente fuori delle mura, è il santuario rupestre di origine arcaica, con due grotte sacre (busti di Demetra e Kore ai Musei di A., di Palermo, di Siracusa) e edificio rettangolare sul davanti a guisa di grande cisterna, da cui le acque si riversavano in un recinto trapezoidale con vasche sistemate a differenti livelli, aggiunte successivamente in epoca ellenistica.
Incerto il culto a cui il santuario era dedicato, forse alle divinità ctonie commiste a quelle delle acque. Sulla collina S si estende la serie maggiore dei templi. Partendo da E, il tempio c.d. di Giunone, dorico periptero, con 6×13 colonne, eretto su potente basamento, con altare monumentale sulla fronte. I caratteri di tecnica e di stile datano il tempio intorno alla metà V sec. a.C.
Seguendo il ciglio rettilineo verso O, è il tempio detto della Concordia (iscrizione latina al Museo di A.); dorico, periptero, con 6×13 colonne, eretto su apposito basamento che, come nel tempio di Giunone, aveva il compito di vincere le irregolarità del terreno. Lo stato eccezionale di conservazione è dovuto alla sua trasformazione in basilica nel VII sec. d.C. e al suo uso come chiesa sino ai tempi moderni. È databile intorno al 440 a.C. In prossimità della porta IV (Porta Aurea) è il tempio di Herakles, forse menzionato da Cicerone (Verr., 2, 4, 43).
È il più arcaico fra i templi agrigentini, appartenendo alla fine del VI sec. a.C., come indicano i caratteri stilistici delle colonne con rechino appiattito e la forma alquanto allungata della cella e il rapporto 6×15 delle colonne della peristasi; la sima conservata è in pietra con maschere leonine della metà del V sec. a.C. Il settore O della collina ha inizio con il maestoso tempio di Zeus, di cui rimane poco più delle fondazioni e un immenso campo di rovine, dopo la spoliazione operata nel sec. XVIII per la costruzione del molo portuale.
Eretto dopo la battaglia di Imera, rimasto incompiuto al momento della distruzione cartaginese del 406 (Polyb., 9, 27; Diod., 13, 82), ha dimensioni notevoli (m. 112,60×56,30 alla base), forme inusitate, con un muro di recinzione a cui si addossano all’esterno mezze colonne doriche (7×14) e tra le semicolonne della pseudo peristasi, impostate a mezza altezza, erano gigantesche figure di Telamoni (esemplare al Museo di A.), a sorreggere, con le colonne, l’architrave del tempio.
A qualche distanza dalla fronte sono i resti della grande ara. Di età ellenistica, un tempietto eretto presso lo spigolo SE del tempio e un edificio a camera (portico-fontana?) lungo il lato S, addossato alle mura, ad O, tutto un complesso di strutture di carattere sacro, sacelli, thesauroi, sale di riunione, anche abitazioni, che già alla fine del VI sec. a.C., in un regolare assetto urbanistico di strade parallele incrocianti la plateia EO, affollavano il santuario; una stoa, di cui restano le fondazioni, costituiva il limite e nello stesso tempo il passaggio ad altro santuario estendentesi a E di Porta V, e costituito da un piazzale lastricato su cui si affacciavano da S due edifici affiancati (l’uno, un tempio di cui restano le incisioni nella roccia; l’altro un sacello tripartito che, con successive modifiche, è rimasto in vita sino al IV sec. a.C.). A O di Porta V, attraverso cui entra la carreggiata che si innesta nella plateia, è il santuario delle divinità ctonie, in vita dal VI al IV sec. a.C., con due temene o recinti con altare, due sacelli in antis, altari rotondi e quadrati, santuario completato nella prima metà del V sec. a.C. con l’erezione del tempio periptero c.d. dei Dioscuri (di cui sono state risollevate quattro colonne d’angolo). Ad O del temenos del santuario ctonio, tra esso e il grande taglio della Colimbetra, segnato e limitato dal muro di cinta, un terrazzo triangolare con sacello, e donarì.
All’estremità O della collina è il c.d. tempio di Vulcano degli ultimi decenni del V sec. a.C., con 6×13 colonne (ne rimangono due); all’interno della cella sono le fondazioni di un tempietto arcaico in antis.
Altri santuari sono in diversi punti dell’area della città: così sulla « Collina di Girgenti », che dovette essere compresa nel circuito delle fortificazioni, è il tempio di Athena, i cui resti furono inglobati nella chiesa medievale, oggi detta di S. Maria dei Greci; nell’area presso la chiesa di S. Nicola, su un terrazzo elevato era un santuario arcaico, sistemato in basso in epoca tardo-ellenistica, con un tempietto prostilo su podio (il c.d. Oratorio di Falaride) e altare quadrato sulla fronte. Al di fuori della città, nel territorio immediato, sono le necropoli e luoghi di culto. Le necropoli sono variamente disseminate. Lungo il mare, ad O della foce del S. Leone (cioè dell’emporion), nella collina di Montelusa, aveva sede la necropoli più arcaica; la più estesa delle necropoli, e la più ricca dei secoli VI e V, è nei terreni a SO della città moderna (loc. Macello e Ponte dei Morti); la necropoli di IV sec. occupa in particolare i terreni a S della città moderna (loc. Sottogas) con tombe a fossa nella roccia e talora a camera con prospetto architettonico; sulle pendici NE della Rupe Atenea, nei terreni adiacenti al vallone del fiume Akragas, e in contrada Mosè, è tutta una serie di necropoli che si estendono dall’epoca arcaica ad età ellenistica, con tombe a tegole ‘alla cappuccina’ e a fossa costruita, talora con sarcofago marmoreo. Cimiteri di età greca, in particolare della seconda metà del V sec. a.C. sono a metà strada tra A. e Porto Empedocle, in località Villaseta, dove bisogna ammettere l’esistenza di un abitato suburbano. Nei terreni immediatamente a S della Collina dei Templi, nel¬ la piana S. Gregorio, è la necropoli romana imperiale, con mausolei e tombe monumentali, quale la c.d. Tomba di Terone.
Le necropoli paleocristiane e bizantine si stendono a vista con arcosoli aperti nello spessore della parete di roccia che segna la linea delle mura, tra il tempio di Giunone e quello della Concordia; ma le più vaste sono le catacombe in prossimità della moderna Villa Aurea, con ambulacri e sale rotonde adattate da antiche cisterne.
Le sedi di culto extra moenia sono: il santuario rupestre detto di S. Biagio, sulla Rupe Atenea, con due grotte naturali, edificio rettangolare antistante, e recinto con vasche, databile al VI sec., con modifiche di epoca ellenistica; il tempio di Asclepio (Polyb., 1, 18; Cic., Verr., 2, 3, 43) nella piana di S. Gregorio, quasi alla con¬ fluenza dei fiumi Akragas e Hypsas; piccolo tempio della seconda metà del V sec. a.C., dorico, in antis con pronao, cella e falso opisthodomos formato da un muro con due semicolonne comprese tra pilastri angolari; santuario greco-indigeno di natura ctonia, sulla collinetta di S. Anna, prospiciente l’estremità O della Collina dei Templi; grande complesso monumentale nell’area del moderno quartiere di Villaseta, sulla strada per Porto Empedocle, con portico quadrangolare di colonne ioniche, probabilmente del periodo ellenistico. Per quanto riguarda l’economia, la città in periodo greco ebbe grande prosperità per la produzione e l’esportazione di grano, vino e olio; nel periodo romano fiorente fu l’industria dello zolfo (tabulae suif uris al Museo di A.).
[De Miro Ernesto, AGRIGENTO. In: Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche, n°3, 1984, Bari)