
Gli agrigentini chiamano ancora oggi Rabato l’antico quartiere della città dove gli Arabi, intorno al IX secolo, costruirono le loro prime abitazioni e che fu anche il primo nucleo della nuova città costruita sulla collina.
La città araba era divisa in rioni (madina) e in borghi detti ‘rabati’
Il Rabato di Kerkent (Agrigento) era costituito da una via centrale (shari) – l’attuale via Garibaldi – che serviva per la circolazione interna e lungo la quale c’erano gli edifici pubblici e le botteghe e le strade secondarie (zuqāq). In stradine e vicoli, spesso ciechi (aziqqa), e nei cortili (ribah) vennero costruite le case degli agrigentini che si spostarono dalla Valle dei Templi alla collina.
La città doveva essere così divisa: il centro religioso amministrativo, chiamato medina; il quartiere degli Schiavoni, cioè dei mercanti; il Rabato, ossia il sobborgo fuori le mura da cui partivano anche le vie (soul) che portavano ai mercati ed anche la via che portava al porto che era stato spostato dagli Arabi nell’attuale sito di Porto Empedocle.
Lungo le strade c’era una fitta rete sotterranea di pozzi, canali e gallerie filtranti (qanāt) che alimentavano d’acqua l’intera città, frutto di un sapiente sfruttamento irriguo delle acque sorgive e sotterranee del territorio. Le case erano “casalini petrosi” che gli arabi chiamavano grubi. Si tratta di grotte scavate dall’uomo per gli usi più vari (soprattutto abitazioni, ma anche deposito di derrate, cantina, stalla). Quando la popolazione agrigentina si trasferì sulla collina preferì abitare in queste case scavate nella roccia perché erano più sicure e duravano più a lungo. Lo scavo della grotta non rendeva necessario l’acquisto di legname da costruzione né il suo trasporto e non presentava eccessive difficoltà di realizzazione, perché la roccia che veniva scavata era di tufo arenario che è piuttosto friabile. Il vivere in grotta rispondeva all’esigenza di poter disporre di una abitazione più sicura, perché nascosta, non esposta al rischio del fuoco, di maggior affidabilità per le sue qualità statiche e di maggiore economicità, per il modo di costruire, detto “per via di levare”, perché garantiva rapidità di realizzazione e risparmio dei materiali. Si tratta quindi di grotte incavate nella roccia di tufo arenario
I poveri vivevano in case terrane, mentre le case delle famiglie più ricche vennero sopraelevate e avevano quindi uno o due piani superiori. La zona giorno era posta a piano terra, mentre la zona notte era al piano superiore. Erano quindi costituite da una stanza a primo piano destinata a soggiorno e da stanze superiori costituite da camere da letto. Al piano superiore si accedeva da una scala esterna.
Le abitazioni avevano muri in pietrame assemblato con malta di gesso. I solai e le coperture erano realizzati con travi in legno e tavolato. Le pareti interne venivano rivestite con terra seccata al sole e paglia. Le pareti esterne, che si affacciavano nei cortili, erano ricoperte di gesso.
La casa araba aveva uno spazio accogliente per l’intimità della famiglia e un cortile intorno al quale si organizzano le stanze che lo circondano per tre lati e l’ingresso esterno che, per ragioni di riservatezza, era più distante dall’ingresso interno. Le varie abitazioni si aggregavano intorno ad articolati cortili. Tali cortili si trovavano ad altezze diverse ed erano uniti tra loro da un sistema di scale.
Nella città raccolta dentro le mura, che la rendono simile ad una fortezza, la vita sociale di relazione e soprattutto di lavoro, si svolgeva nelle strade – stretti ed affollati souk – e nelle vie del mercato, lungo le quali si svolgevano le attività commerciali della città. Vi erano i quartieri dei mercanti e degli artigiani, dei pescivendoli, ecc. Per le strette strade tortuose, oltre ai pedoni e ai cavalieri, transitavano anche greggi, mandrie, asini e cavalli, cammelli.