Dopo avere attraversato il viale di circonvallazione dell’Olempieon (tempio di Giove), percorrendo quelle fiancheggiate da cipressetti, rosmarino, salvia e mandorli, ci troviamo in una piazzetta che domina il «SANTUARIO ARCAICO» delle Divinità Chtonie.
Gli scavi fatti negli anni dal 1927 al 1932, diretti dal compianto prof. P. Marconi, portarono alla luce un gruppo di otto tempii, di cui due non finiti, cinque sacelli, are e bothrei; i quali ci rivelano nella loro molteplicità e complessività il centro della vita più importante dell’antica AKRAGANTE. Per tali scoperte Agrigento consegue un nuovo valore, perchè questo nuovo centro arcaico ci offre la visione della vita antica nelle sue più alte forme sociali e religiose.
Arduo, dunque, sarà il nostro compito per potere illustrare il complesso di detto Santuario; la sua importanza, a nostro avviso, richiede studi profondi, specie su quanto riguarda i riti delle Divinità della : terra e della fecondità umana , che i nativi e i colonizzatori svolsero su questo interessante centro arcaico ove i Siculi e Rodioti fusero le loro disparate religioni : la spirituale e l’idolatrica.
Malgrado la storia nulla ci abbia tramandato cerchiamo (attraverso gli esistenti manufatti piccoli e grandi e alla copiosa messe di oggetti fittili rinvenuti in cinque anni di appassionate ricerche, seguite attentamente, in tutti i particolari) di accennare solo per ipotesi, al complesso rituale dell’importantissimo SANTUARIO.
Dalla posizione in cui ci troviamo (sulla piazzetta) dominiamo due tempii paralleli.
Quello di destra, o a settentrione, viene comunemente chiamato di Castore e Polluce o, come ordinariamente lo chiamano gli Agrigentini, “i tri colonni” a meridione, viene designato dagli archeologi col nome di tempio L.
È da notare che sino al 1932 gli avanzi di questo tempio L erano ritenuti pertinenti, ad una basilica romana, ma in quell’anno, in seguitò ad uno scavo, per i dettagli delle opere scoperte, per gli oggetti votivi ed i frammenti architettonici rinvenuti, gli archeologi modificarono il loro giudizio e battezzarono col nome di tempio « L » la creduta basilica romana. É da aggiungere però che, tenendo nella dovuta considerazione gli-ex voto rinvenuti, possiamo avanzare l’ipotesi che il tempio fosse stato dedicato ad una delle Divinità degli Inferi.
La storia ricorda che i fondatori dell’antica AKRAGANTE vennero dall’isola di Rodi, ove nel decennio 1922-32 furono scoperti due tempii paralleli che si presumono dedicali a KÓRA e a DIONISO. A tal proposito è bene accennare al culto di questo dio, secondo l’indirizzo preso dalle leggende relative a Dioniso in mano agli orfici, i quali, pare, mescolando tradizioni asiatiche e greche e cercando con esse dar veste simbolica ai loro principii filosofici, abbiano fatto figlio di Persefone e di Zeus. Si narra che Dioniso Zagreus, detto il Lacerato, essendo destinato al dominio del mondo, fu dai Titani, aizzati da Era, preso fanciullo, tagliato a pezzi e divorato. Dal corpo squartato, Era trasse il cuore e lo portò a Zeus; questi lo inghiottì e più tardi diede alla luce Un altro Dioniso, il Tebano. Contemporaneamente fulminò i Titani dalla cui cenere nacquero gli uomini e da qui la lotta tra il bene ed il male nell’animo umano, provenendo il bene dall’elemento dionisiaco, che è in noi, e il male dal titanico.
Detto di Dioniso, uno dei quattro dei della disonestà: gli altri erano Fallo, Mercurio e Priapo, ora è la volta della di lui madre: Persefone, la bella figlia di Demetra che era personificazione di quella terza indefettibile della natura, per cui, secondo i pagani, ogni anno la più ricca vegetazione ricompare agli occhi umani per avvizzire di nuovo e tornare nel nulla nel tardo autunno.
Persefone aveva un doppio aspetto, quello di una gentil fanciulla (Kora), che risorge ogni anno a nuova vita, e quello della tenebrosa ed inesorabile regina dell’orco. Da qui si arguisce come nelle segrete dottrine dei misteri, Persefone divenisse il simbolo dell’immortalità dell’anima.
Essendo una dea tenebrosa e misteriosa sembra che i greci non abbiano eretto ad essa speciali templi e siccome s’identifica con Kora glieli innalzarono sotto quest’ultimo nome o insieme alla di lei madre, Demetra.
Come accade sempre, i fondatori o i colonizzatori di Akragante portarono con loro i miti, i riti e la civiltà della loro madre patria. Ciò fa desumere che anche nella nuova colonia abbiano eretto, come nella loro isola, due tempii paralleli, dedicati al culto di cui abbiamo già parlato.
A prescindere di quanto abbiamo . testé scritto e a suffragio della nostra tesi, giova ricordare che, negli; scavi fatti nel 1930-31, a pochi, metri a nord del condito tempio di Castore e Polluce, si rinvennero dei gli ex voto, tra cui un cantaros, riproducente il culto iti-fallico.
Il cantaros, o vaso, (che si trova nel Museo Civico di Agrigento) hai la forma di un asino in lussuriosi • atteggiamenti, sulla groppa dell’animale v’è il vero cantaros, adorno; di figure satiriche, in sileni danzanti, che danno il concetto del vero Dioniso, cioè i due estremi del carattere umano: la spiritualità e la trivialità.
Questi importanti elementi pertinenti (come s’è detto) al culto iti-fallico ci inducono a pensare che il cosidetto tempio di Castore e Polluce fosse stato dedicato a Dioniso Zagreus e quello accanto, tempio L, alla di lui madre Kora – Persefone. Tale opinione, oltre che dagli oggetti rinvenuti in quest’ultimo tempio viene confermata anche dalle due che intercorre tra le due file di bothroi, scoperti nello spazio che intercorre tra l’ara per i sacrifizi e il tempio di cui parliamo.
Persefone e Demetra
É ovvio rilevare che Persefone e la di lei madre, Demetra, erano le patrone dell’antica Akragante; appare, quindi, logico che quel popolo avesse eretto tempii alle due maggiori divinità ed all’unico figlio rappresentanti i popolarissimi culti della fecondità umana (Dioniso) e della terra (Persefone Demetra).
Le terrecotte plastiche, rinvenute nel centro del santuario, raffiguranti divinità od offerenti, muniti di canestri, di corone, di porcellini e capretti, e le figure oscene, sono caratteristiche del culto delle divinità Chtonie, le quali ci riportano direttamente al culto delle Divinità possenti della terra, della natura e degl’inferi, onorate in lutto il mondo classico, ma in modo speciale nella Sicilia (Vedi Agrigento Arcaica di P. Marconi, pag. 103).
Pertanto ora la nostra attenzione i sugli elementi ornamentali del gheison, o cornice del tempio detto dei Dioscuri, ne ammiriamo lo stile misto che domina la parte superiore del fregio.
Molti ritengono tali ornamenti di epoca romana tarda; si può invece asserire che essi sono di influenza ionica del V secolo a. C. A prova di quanto abbiamo scritto, ci piace trascrivere quello che il prof. P. DUCATI ha detto sugli ornamenti del tempio di Cerere e Demetra di Pesto (a pag. 177, linea 27 e seguenti . di “ARTE CLASSICA,): «Veramente alcune curiose particolarità che si osservano in questo edificio hanno indotto taluni a supporre che esso abbia subito rimaneggiamenti in epoca romana, mentre da altri, e con maggiore verosimiglianza, tali, particolarità sono spiegate come anomalie d’influsso ionico». Tale influenza, si nota anche negli altri tempii agrigentini (Concordia, Giove, Esculapio e Vulcano). In detto gheison si notano degli ovoli tra la lingua, astragali a mò di fuseroli e un magnifico rosone simboleggiante Rhodos, oggi Rodi, la nostra «Isola delle Rose». E’ opportuno ricordare che ad Eros, Dio dell’Amore, era sacra la rosa, è per ciò che spesso si trova coronato di rose. Inoltre, se ben studiato nei dettagli, il rosone sembrerebbe girasole, cioè il fiore simboleggiante Elios. I miti cantati da Pindaro affermano che 1’Isola delle Rose emerse dal mare per l’amore che Elios portava alla ninfa Rodi, dalla quale, ebbe sette figli.
A noi importa l’analogia simbolica del fiore di Eros e di Elios che si riscontra in detto rosone; analogia che concorre, con gli altri, elementi su descritti, a sostenere la nostra asserzione, cioè che i due tempii paralleli siano stati dedicati a Kora-Demetra e a Dioniso Zagreus, ovvero alla dea della vegetazione e al dio simboleggiante la vita.
Riteniamo superfluo soffermarci su altri dettagli di poca importanza perchè ci pare dimostrato che il tempio fu eretto in omaggio al culto del dio di cui abbiamo parlato; diciamo solo che il rivestimento di stucco bianco che si nota sulle colonne e su parte della trabeazione è della stessa epoca del tempio. Gli architetti akragantini adoperarono tale materia per proteggere dagli agenti atmosferici la friabile pietra porosa di cui si servivano per costruire i tempi, per imitare il colore del marmo e per dare l’illusione che le colonne fossero monolitiche. La parte superiore dell’architrave era coperta con stucchi colorati che tutt’oggi si osservano. Sul vano del le metope, probabilmente, erano degli affreschi inerenti al culto del dio a cui il tempio era dedicato.
Nel nostro tempio si presume fossero dipinte le Menadi vaganti sul monte Citerone, i satiri o sileni danzanti e, infine, i miti greci e romani simboleggianti il culto iti-fallico.
E’ opportuno rilevare che l’Antica Deità italica rispondente a Dioniso era Libero o Liber Pater, generalmente associato con Cerere (Demetra) e Libera (Persefone). Era anche il dio del vino, della vendemmia e, in genere, di ogni produzione terrestre ed animale. Si afferma che, durante le feste di lui, i suoi devoti si abbandonavano ad un’allegria libera (d’onde il nome), con canti e molti pungenti e versi fescennini.
Tali feste si chiamavano «Liberalia», e si celebravano alla fine di febbraio o nei primi di marzo, per i chiedere la prosperità della campagna, e, nella stagione della vendemmia, per festeggiare il raccolto.
I devoti in tali feste d’allegria orgiastica e rumorosa (paragonabili al nostro carnevale) si motteggiavano con movimenti selvaggi e scomposti.
Antonino Arancio, il tempio dei Dioscuri di Agrigento, in Vita Nova, 1940