di Elio Di Bella
Caduta la tirannide emmenide, la città di Akragas riuscì a darsi un assetto più democratico e affidò al filosofo Empedocle il compito di redigere una riforma costituzionale.
Questo periodo di relativa stabilità permise agli Agrigentini di realizzare una notevole ripresa economica e politica, anche se ormai non potevano più competere con Siracusa, tanto meno militarmente. Al tempo della spedizione ateniese in Sicilia, avvenuta nel 415 a.C., Akragas decise di non allinearsi né con Atene né con Siracusa.
Ma ormai la grande storia della città dei Templi volgeva al tramonto. Un esercito cartaginese nel 409 a.C. mosse contro Selinunte e sconfisse le forze elleniche e – dopo aver conquistato e distrutto Imera – la furia cartaginese si abbatté su Akragas (406 a.C).
Il memorabile assedio di Akragas del 406 a.C. è descritto soprattutto da Diodoro Siculo.
I Cartaginesi si accinsero all’assedio piantando in diversi luoghi due accampamenti. Prima di assalire la città proposero ai Siciliani una neutralità amica durante la conquista che intendevano intraprendere nell’Isola. Gli Agrigentini però rifiutarono e quindi Annibale e Imilcone, i generali punici, collocarono di fronte alle mura due torri e avviarono il loro tentativo di espugnare la città. Gli assediati però con una sortita riuscirono ad incendiare le macchine belliche e quindi Annibale ordinò di abbattere le tombe che si trovavano fuori le mura e di utilizzare il materiale di demolizione per costruire dei rialzamenti di terra in grado di pareggiare l’altezza delle mura.
Durante quei lavori però scoppiò una epidemia di peste e i Cartaginesi attribuirono il fatto ad una vendetta degli spiriti usciti dalle tombe distrutte. La peste colpì a morte lo stesso Annibale.
L’assedio comunque continuò e i Siracusani inviarono Dafneo in aiuto agli Agrigentini. L’esercito alleato era costituito da 30 mila fanti e 5 mila cavalli e ad esso si aggiunsero altri rinforzi inviati dalle altre città siciliane alleate.
Dafneo riuscì a sconfiggere ad Imera l’esercito che i Cartaginesi avevano spinto contro di lui per fermarlo prima del suo arrivo ad Agrigento. Gli Agrigentini appresero della vittoria degli alleati Siracusani e chiesero ai loro condottieri di organizzare una sortita per stringere i nemici di fronte e alle spalle. I comandanti agrigentini – forse perché si erano lasciati corrompere o per timore di lasciare indifesa la città – non accolsero tale invito e diedero cosi la possibilità ai Cartaginesi di far ritorno nei propri accampamenti da dove preparare la fuga. Il generale cartaginese Imilcone, infatti, temendo il prossimo arrivo dei Siracusani, si ritirò.
Gli Agrigentini accolsero con gioia Dafneo e invitarono ancora una volta i loro capi a dare battaglia, sfruttando il momento favorevole. Questa volta il rifiuto dei condottieri venne interpretato dalla popolazione come un atto di viltà e i quattro capitani agrigentini vennero lapidati. Solo il Lacedemone Desippo, capo supremo dell’esercito agrigentino, riuscì a conservare il suo posto.
Intanto, sull’altro campo di battaglia la situazione dei Cartaginesi si faceva di giorno in giorno sempre più difficile e pertanto Imilcone, avendo saputo che erano partite da Siracusa dirette ad Akragas delle navi cariche di vettovaglie, riuscì a fare intercettare la flotta carica di ogni bene e se ne impadronì. Furono così gli Agrigentini a trovarsi senza viveri e a soffrire la fame. La loro situazione si fece così disperata che alcuni cittadini e soldati passarono nel campo nemico e si consegnarono ai Cartaginesi, tra questi vi fu anche Desippo con parte delle truppe. Altri Agrigentini, scortati da Dafne, riuscirono a raggiungere Gela e Lentini e si salvarono dalla morte per fame.
Nel 406 a.C., nei primi di dicembre, Akragas cadde in mano ai Cartaginesi, che trucidarono quanti erano rimasti dentro le mura cittadine. Vi furono scene di indicibile disperazione. I Templi vennero profanati e incendiati. Della città non rimase che un cumulo di rovine.
Entrati nella città abbandonata, i Cartaginesi vi si acquartierarono durante tutto l’inverno e finirono di distruggerla nella primavera del 405 a.C. Venne bruciato il tempio di Atena e sottratto un ingente bottino, ma diversi Cartaginesi, tra cui lo stesso comandante Annibale, rimasero vittime della peste, diffusasi probabilmente a causa dell’inaudita decisione di violare anche le tombe dei vinti per umiliare fino in fondo la città nemica. Era ancora vivo infatti tra i punici il ricordo della bruciante sconfitta subita nel 480 a.C. nella battaglia di Himera.
La pace siglata tra Akragas e Cartagine pose condizioni molto umilianti ai Siciliani: per lungo tempo la città rimase sottomessa e non potè rialzare le fortificazioni distrutte.
Al termine della guerra altri Agrigentini vennero mandati dai Siracusani a popolare Leontio. Pur in tali condizioni di precarietà, ovunque si trovassero gli Agrigentini continuarono a conservare le loro tradizioni e la memoria della loro grandezza.
Quando Dionisio di Siracusa vinse i Cartaginesi, guidati da Imilcone, nel 393 a.C., Akragas era schierata con il tiranno siracusano. E ancora, quando i pirati Cartaginesi infestavano le coste siciliane con feroci incursioni nei territori greci, Akragas e Siracusa, con altre città alleate, misero sotto il comando di Dionisio trecento navi da guerra, oltre tremila pedoni e tremila cavalli. La guerra però non ebbe luogo.
Dopo la parentesi del demagogo Dione, che travolse gli Agrigentini nel turbine politico e li condusse fino alla rottura dell’alleanza con Siracusa, il territorio agrigentino fu invaso dai Cartaginesi ancora una volta. Finalmente il corinzio Timoleonte, approdato in Sicilia nel 345 a.C. per liberare le città greche dal dominio cartaginese, scacciò da Siracusa Dionisio il giovane e si alleò con gli Agrigentini.Timoleonte nel 304 a.C. sconfisse i Cartaginesi che avevano occupato varie parti della Sicilia e tra l’altro volle ricostruire e ripopolare la città di Akragas. Questo condottiero è pertanto considerato il secondo fondatore della Città dei Templi.
Approfittando delle difficoltà in cui versava in quel periodo Siracusa, gli Agrigentini cercarono di recuperare l’antico prestigio anche attraverso alleanze con altre città siciliane, ma alla fine incorsero in nuove sconfitte.
Agrigento cadde poi sotto il giogo del tiranno Finzia, ma poco sappiamo intorno a questo periodo.
Quando poi Pirro sbarcò in Sicilia (276 a.C), troviamo Akragas occupata da Sosistrato, che si sottomise al Re dell’Epiro per combattere i Cartaginesi.
Insieme agli Agrigentini, Pirro occupò Azone (Castello di Mazara) ed Eraclea e successivamente prese Erice e sottomise Panormo e i Mamertini e – volendo anche passare in Africa – armò molte navi che aveva sottratto ai nemici.
Gli Agrigentini e le altre città siciliane cominciarono a temere il dispotismo di Pirro e preferirono abbandonarlo, consegnandosi nelle mani dei Cartaginesi. Il re dell’Epiro venne poi espulso dall’Italia ad opera dei Romani.
approfondimento
La Battaglia di Agrigento