
Pubblichiamo la Prima parte della famosa opera di C.Pellè, Il Mediterraneo illustrato le sue isole e le sue spiagge, pubblicata a Firenze 1844. Si affronta la questione delle origini della città di Akragas sino all’avvento del tiranno Falaride.
Se volessimo stare, circa alla fondazione d’Agrigento, a qualche passo degli antichi, spiegati da alcuni autori moderni secondo il loro modo particolare di vedere, Roma non sarebbe, che una città recentissima, in confronto di quella; ma uno scrittore non è mai abbastanza circospetto in fatto di date cronologiche. Alcuni istorici de’ tempi odierni, o di Sicilia, o d’altro paese, vaghi di dare alle loro città natali, o a quelle che imprendono a descrivere, lo splendore e il lustro di che godevano un giorno è che nondimeno hanno da lunga pezza perduto, cercaron ne’ libri antichi tutto ciò che poteva far risalire ad una remota antichità gli oggetti della loro predilezione; ma tortamente adoperarono; che la severità dell’istoria non consente di stabilire fatti sì importanti sovra dati sì leggieri.
Ad onta dell’opinione emessa da qualche autore odierno, che, forte di un gran nome, ha avvisato di dar maggior peso al proprio parere, ci è forza convenire, che nulla si sa di positivo intorno all’antichità d’Agrigento pria dell’arrivo colà de’ Greci. Se però vogliasi ammettere alcun fatto istorico sull’esistenza d’una città prima di quell’epoca, si potrà consultare, Diodoro . Quest’autore dice che al tempo de’Sicani, Dedalo fe’lunga dimora in Sicilia, presso il re Cocalo , e che ivi si fece ammirare pel sommo suo ingegno.
Egli edificò in cima a un masso, nel Camico, una cittadella fortissima ed assolutamente inespugnabile, attorno alla quale poi venne costruita Agrigento. Cotesta situazione indusse Cocalo a porvi il suo palazzo e a mettervi in sicuro le sue divizie.
Le sole tracce son queste che abbiamo per iscoprire l’origine d’Agrigento ; ma, siccome siamo, affatto ignari della storia de’ Sicani per un lungo periodo di tempo; siccome Diodoro istesso non sa in qual epoca sia avvenuto il fatto di che parla, e l’ha forse ammesso soltanto come una tradizione o una voce popolare, così noi ci atterremo alla sola epoca fissata dagl’istorici, che è quella della fondazione di cotesta città per opera degli abitanti di Gela, in oggi TerraNuova, condotti da Aristoneo e da Pistilo. Quest’epoca è determinata in modo sicurissimo da Tucidide, il quale, dopo aver detto che la colonia di Gela fu stabilita venticinque anni dopo Siracusa, aggiugne un po’ più sotto che Agrigenti fu fondata circa cent’otto anni dopo Gela; che è quanto dire centocinquantatrè anni dopo Siracusa, o seicento cinque anni prima di Gesù Cristo. Siccome, non sappiamo che sia avvenuto in Agrigenti ne’ primi tempi della sua esistenza, così passeremo alla storia di que’ suoi primi sovrani che ci son noti dopo Falaride.
Secondo Luciano, questo Falaride era nato in Agrigenti, e secondo altri a Stampalia, isola del mare di Scarpanto. Cotest’uomo era ambizioso, ma accorto ed animosissimo: in sulle prime erasi cattivata la fiducia del popolo; e quand’ebbe ricevuto il comando della fortezza, s’impadronì della città mentre i cittadini ne erano usciti per assistere alla festa di Cerere, e ne fece orrenda strage. Questo avvenimento ebbe luogo ne’ primi tempi d’Agrigenti, e il padre Pancrazio crede ciò fosse circa quarantacinque anni dopo la fondazione di questa città. Falaride diventò uno de’ più crudeli tiranni della Sicilia, e, giusta le testimonianze della maggior parte degli autori latini, regnava su que’ di Agrigenti mentre Tarquinio il superbo era padrone di Roma.
Con tutto che fosse naturalmente feroce, fece alcuna bella azione; a mo’ d’esempio, quando perdonò a Caritone e a Menalippo, due amici i quali aveano congiurato contro di lui: ma se in qualche occasione mostrò alquanto di magnanimità, non si può negare che la sua crudeltà non sia stata eccessiva, e che non sia stato detestato da’suoi sudditi, come lo fu da’suoi vicini.
Ei non intese mai ad altro fuorché al modo di conservare o di difendere il suo potere; per altro frequentava i filosofi de’ suoi giorni, e parecchi d’infra loro cercarono di fargli mutare tenor di vita, ma sempre indarno. Il filosofo Zenone, cui era tornato vano ogni tentativo di correggerlo, congiurò contro di lui, e ciò fu cagione che gli Agrigentini scuotessero il giogo del tiranno; imperciocché sendo Zenone stato scoperto, costui lo fe’ sottoporre alla tortura in mezzo ‘alla pubblica piazza. Zenone, reprimendo il suo dolore, approfittò di quel momento per rinfacciare agli Agrigentini la loro viltà e la loro schiavitù. Telemaco, abitante d’Agrigenti, presente alla tortura, eccitò subito il popolo a sollevarsi e vi riuscì: Zenone fu liberato, e i cittadini recaronsi in folla al palazzo del tiranno, lo lapidarono e Io fecero in brani. »
Per dare un’idea della crudeltà di cotesto principe, basti il riflettere al dono che gli fece un fonditore per nome Perillo: era un toro di bronzo più grande del naturale: gl’infelici che vi fosser rinchiusi, consumati dall’ ardor del fuoco che vi si sarebbe acceso di sotto.
C.Pellè, Il Mediterraneo illustrato le sue isole e le sue spiagge, Firenze 1844.