Uscendo dalla vecchia città di Agrigento, “Porta di Ponte”, ci troviamo fra cinque magnifici giardinetti pubblici, di cui uno (quello meridionale) viene chiamato popolarmente “Villa Maggiotto”.
Attraversati questi, ci troviamo tra la bella piazza della stazione (adornata dal sontuoso palazzo omonimo) e il bellissimo viale della Vittoria, ove di recente sono sorti moltissimi edifici pubblici e privati di diverso stile.
A pochi metri di dette piazze e viale, si snoda la via, intitolata al grande statista agrigentino “Francesco Crispi”; all’inizio di essa, a destra, una targa delle Touring indica la scorciatoia per i templi.
Seguiamo la magnifica via Francesco Crispi, che la strada nazionale, testè bitumata, frequentatissima da veicoli a trazione animale e a motore, da pedoni che si recano ai templi per la preferita passeggiata archeologica e per godere il mite e salubre clima agrigentino.
Ed ora scendiamo giù per la china (come disse il Goethe) per ammirare il bellissimo paesaggio che si offre la superba vallata Akragantina.
Ad un chilometro circa del punto di partenza, a destra, si vede il sontuoso “albergo dei templi” circondato da un magnifico parco.
A sinistra del viale di accesso diretto albergo, è una targa indicante la via che porta al tempio di Demetra, alla muraglia antica il santuario di rupestre di Demetra e Persefone (contrada detta di San Biagio), di recente, dal provveditorato alle opere pubbliche rese accessibili con la costruzione di una strada carrozzabile.
A circa trecento metri da detto Viale, a sinistra scendendo, v’è la fontana di bonamorone, detta “fonte dei greci” ( tale nome è derivato dagli acquedotti dell’antica città Akragantina di che tuttora alimentano la fontana).
Continuando la nostra passeggiata, presso il giardino di aranci, detto di bonamorone, a sinistra, è una rivendita di tabacchi con una trattoria di campagna che, dal nome del proprietario è denominata “Spina”.
Presso le terre Grimaldi, a destra e a settentrione della strada nazionale, si vedono ben conservati avanzi di un pavimento di un’antica strada romana (era questa, secondo gli antichi storici, la via degli orefici agrigentini?).
A pochi passi da detti avanzi, a destra, un’altra taverna, gestita dal signor Cicero.
A sinistra, sempre per la china, una targa indica gli avanzi di una sontuosa villa di epoca romana, detta erroneamente “Casa greca”, ove nel mese di giugno 1938 sono stati scoperti altri vani, parte di essi rivestiti con stucchi colorati a disegni geometrici.
A destra del viale d’accesso di detti avanzi antichi, si nota la scuola rurale, opera costruita dal regime fascista per educare i bimbi dei nostri laboriosi contadini.
Poscia, attraversata la curva, convergente a sud-ovest a nord-est, vi è un’altra targa indica l’accesso alla chiesa di San Nicola (dove si notano il bellissimo portale della stessa e una bifora di stile arabo normanno) e al cosiddetto oratorio di Falaride o Fallari, primo tiranno di Acragante.
Ed ora scendiamo verso i templi. Lo spettacolo armonioso che ci offre l’aurea Valle di Agrigento con i suoi vetusti monumenti, è veramente suggestivo e tale da far provare, a chi l’ha visita, la sensazione di trovarsi in un ambiente di incanto paradisiaco.
Guardandola dal basso pianoro, o dall’estremità della terrazza acragantina, gli estremi punti est, ovest e nord sono rispettivamente le località dette di San Biagio, Molino a vento, Rupe Atenea e città alta, ci fanno apparire un anfiteatro naturale.
L’interno di esso è ricco di bellezze naturali ed artistiche.
Infatti, la valle è ombreggiata da mandorli che nel mese dell’intensa fioritura (gennaio – febbraio) ci fanno godere di un magnifico spettacolo colorato, con i loro fiori bianco-rosa il lembo di terra, che intercorre tra i templi e l’attuale città; da cipressi alti, diritti e posti in modo da formare una croce latina (vedi fondo di proprietà Miceli); da pini maestosi che adornano l’esterno della chiesa di San Nicola;
da secolari ulivi eternamente cromati delle argentee foglie, nonché da fiori multicolori, varianti di stagione in stagione, fra cui gli asfodeli fiorenti nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio; la cui fioritura ci dà i primi albori della primavera che ha già vellutato con un vivacissimo verde la sconfinata pianura agrigentina.
Lo splendore del sole che illumina tutto di chiarore abbagliante il cielo di cobalto, per due terzi dell’anno limpidissimo, la ridente marina di San Leone bagnata dal Mare Mediterraneo, i sontuosi templi e il mondo di tufo ordinario color di oro, formano un insieme armonioso, incantevole, tale da ispirare anche i non poeti.
I migliori poeti non poterono trascurare di osannare le sublimi bellezze di questa mirabile valle, tanto che esse spirarono a Pindaro memorabili odi come la seguente:
udite: però ch’io dico,
dolce negli occhi il suolo delle Cariti,
mentre mi accosto al tempio
Che del sonante mondo è l’umbelico
dove al Pitio valor
degli e Emmenidi io dico
e ad Agrigento fluvial nell’aurea
Valle di Febo e pronto ed a Senocrate
di carmi edificato arduo tesoro
I tempii sono sparsi sul perimetro dell’antica città, forse per dare l’impressione al popolo che i punti strategici fossero protetti dagli dei, o per farle ammirare dagli stranieri che si recassero in città o che passassero dal Mare africano.
Comunque tale disposizione risponde alla bellezza dei paesaggi classici, i quali escono sempre da un imponente fortuito concorrere delle circostanze più felici della natura, in armonia con l’intelligente opera dell’uomo.
Presentemente, se visti da punti più alti della valle acragantina o venendo dal ridente lido agrigentino, i templi ci appaiono nella loro sontuosità, in fila indiana (come Virgilio li fa apparire ad Enea del libro terzo dell’Eneide, verso il 1107 seguenti).
Tra questi, quello di Lucina, per la sua imponente posizione e l’elegante slancio delle sue 25 colonne doriche (del 470 avanti Cristo) ci appare uno dei più belli e mirabili di Agrigento: esso, con i suoi secolari ulivi di contorno armonioso, formò un quadro di vivo il pittoresco effetto, specie se illuminato dalla luce dei meravigliosi tramonti agrigentini.
Ad ovest di detto tempio v’è un silos fosse di forma conica, a campana, profondo circa metri otto e del diametro di circa metri sei, più in basso verso la muraglia, sono: un antico piggiatoio per uve (parmento) ben conservato e l’antica strada di arroccamento con i solchi o carreggiate formanti le guide alle ruote dei carri o alle ruote fisse costruite in legno sui blocchi che venivano trasportati per la costruzione della muraglia e dei templi.
Non possiamo continuare la nostra passeggiata senza far noto che il progetto voluto dal duce per valorizzare la zona archeologica agrigentina, è in corso di esecuzione.
Esso consiste, oltre all’espropriazione di terreni per la creazione del parco archeologico, nell’ampliare l’attuale strada (allargandola a metri 7,50), prolungarla all’altezza del costruendo posto di ristoro, formando una retta in asse al maestoso tempio della Concordia, costruirne un’altra parallela all’esistente snodandesi a pochi metri a destra delle catacombe.
Ciò per impedire l’indecoroso accesso dei veicoli che, nei momenti di maggior affluenza turistica pullulano nei pressi del tempio, deturpando la solennità dell’incantevole sito.
Tali lavori sono diretti personalmente all’ingegnere capo del genio civile che li dirige con passione encomiabile.
Tale progetto è opera del valoroso giovane ingegnere Guido Marino che già stato encomiato dalla commissione ministeriale, venuta appositamente, nello scorso ottobre, per esaminare il progetto stesso dal lato estetico, archeologico e paesistico.
Antonino Arancio testo pubblicato nel 1939