Due frazioni, le più vicine al capoluogo denunciano lo stato del più assoluto abbandono — Montaperto è riuscito, in qualche modo ad inserirsi nella decenza del « centro di civile abitazione », Giardina (Gallotti è invece più lontana, di quanto possa immaginarsi, da Agrigento) — Impraticabile la strada di accesso, il cimitero in pasto ai cani, il telefono, il medico e l’ostetrica per poche ore al giorno — Non esistono fognature e quasi tutte le strade interne sono autentici viottoli da trazzera — Eppure questi due piccoli centri sorgono sulle più ridenti colline dell’immediato interland agrigentino; potrebbero costituire una alternativa della spiaggia per coloro che non nutrono eccessive simpatie per il mare — ma occorrono prima quelle opere indispensabili per qualsiasi consorzio civile ed essenziali ai fini di aprire nuove prospettive per l’economia e per gli spazi vitali del tempo libero.
Giardina Gallotti e Montaperto: due frazioni ad un tiro di fucile da Agrigento. Eppure sino a qualche decennio fa erano e — sotto certi aspetti lo sono tuttora — tanto distanti dal Capoluogo quanto lo è Linosa o Lucca Sicula.
Una distanza geografica irrisoria: sette chilometri per raggiungere Montaperto ed altri tre per scoprire Giardina. Ma quanti agrigentini ci sanno dire dove si trova Giardina? I funzionari del Comune di Agrigento forse non la dimenticano per via di un netturbino che ogni mattina deve presentarsi in piazza municipio per prestare servizio — distaccato da quella frazione — in città; per il resto è un ghetto. Era più negletta — qualche decennio fa, dicevamo — quando Giardina Gallotti era priva di luce elettrica, di acqua, di assistenza sanitaria, di ostetrica e di servizi pubblici come Montaperto. Intorno agli anni cinquanta questi villeggianti hanno combattuto battaglie coraggiose sfidando l’isolamento, la diffidenza, e persino la derisione, per ottenere le cose più elementari. Erano frequenti, per esempio, le calate in massa di uomini, donne, vecchi e ragazzi dalle due frazioni per venire a protestare in Piazza Municipio. Nel ’48 scesero per chiedere la luce e la « levatrice ». Al grido di: « Luce! Luce! » percorsero Via Atenea. Qualcuno si beffò di questa legittima richiesta al punto da bisbigliare alle forze dell’ordine che quella gente implorava il ritorno del fascismo gridando: « Duce! Duce! » A quanto ci viene riferito, qualcuno finì in commissariato per qualche ora, fino a quando cioè non venne chiarito l’equivoco.
Se si pena che intorno alla metà del secolo tutti i paesetti della provincia erano dotati di impianti elettrici da almeno vent’anni e che queste due frazioni, a distanza di pochi chilometri da Agrigento, ne erano privi, abbiamo ragione di dire che Giardina e Montaperto erano più distantii da noi che non Linosa.
E tuttavia non si vive di sola « luce ». Anche l’acqua è arrivata con molto ritardo, anche i servizi pubblici — a tutt’oggi — non sono adeguati alle esigenze. Ma procediamo con ordine.
Giardina Gallotti
Acqua, fognature e viabilità interna
Un secolo fa questa frazione esisteva solo nelle mappe catastali dove con i due nomi si indicavano altrettanti ex feudi in decomposi/ione che avevano i quartieri generali in due raggruppamenti di caseggiati rurali o « masserie », quelli dei Giardina e quelli dei Gallo. Attorno a questi due centri primordiali si andò formando il coacervo di case e casette che oggi costituiscono il borgo di Giardina Gallotti, forse per distinguere gli eredi (piccoli « “gallo” ») dai capostipiti.
L’ultimo patriarca di Giardina Gallotti, fu il signor Filippo Cuffaro che tutti chiamavano «Filippu Cimi». Il sig. Cuffaro è morto a 93 anni: per questi abitanti rappresentava un prezioso incunabulo nel quale si potevano leggere le varie fasi della istituzione di Giardina Gallotti non solo come agglomerato di abitazioni ma anche come raggruppamento comunitario.
In base a quello che Filippo Cuffaro ha tramandato possiamo dire che Giardina Gallotti è l’ultimo borgo di estrazione feudale sorto agli albori dello Stato Unitario in tutta la provincia di Agrigento; un tipico esempio di endogenesi sociale senza demiurghi, un caso di self-help senza tuttavia l’epica degli eroi di Samuel Smiles che fattisi dal nulla pervennero ai più alti fastigi.
A un secolo di distanza da questa lenta formazione comunitaria Giardina Gallotti è ancora molto lontana da Agrigento. I tre chilometri di strada — l’unica arteria di accesso — che separano da Montaperto il centro abitato non hanno nulla da invidiare ai tratturi che si dilungano serpeggianti sulle creste delle nostre aspre colline: servono ancora perchè la roccia offre un letto abbastanza duro all’usura dei zoccoli degli animali e alle ruote dei carri e degli automezzi pesanti.
Ma una simile via d’accesso centuplica le distanze dal progresso e dalla civiltà.
Da questa prima impressione si ricava lo stato di abbandono nel quale l’amministrazione comunale tiene questa sua « dipendenza » dove i cittadini pagano, come tutti gli altri, le tasse, lavorano, come e — forse —, più di tutti gli altri, sono onesti e badano ai fatti propri fa-cendo risparmiare al governo — contrariamente a quanto avviene per tutte le città e tutti i villaggi della Repubblica — persino le normali spese inerenti alla garanzia dell’ordine pubblico (a Giardina Gallotti non ci sono carabinieri).
Basterebbero pochi milioni — molto meno comunque di quanto il Ministero degli Interni ne dovrebbe spendere se aprisse in Giardina una sezione di carabinieri (un ufficiale e due subalterni) — per un maggiore inserimento della frazione in seno alla comunità agrigentina. Questa gente ne ha pieno diritto!
Se i due piccoli centri di Montaperto e Giardina Gallotti sono stati sino a pochi anni fa così lontani dal capoluogo la prima causa è da attribuirsi — senza dubbio — alla mancanza di un collegamento efficiente, di strade cioè atte ad essere percorse da mezzi celeri e comodi che non siano il basto del mulo, il carro o un autobus scassato.
Se oggi Giardina — più che Montaperto— è ancora da scoprire si deve alla sua inaccessibilità. La foto che qui sotto vi mostriamo è abbastanza eloquente.
servizi sociali
Le fontanelle pubbliche sono mete di incontri: regna la civiltà della brocca. Si va alla fontanella per attingere acqua per tutto il fabbisogno del clan familiare: per questo ci si va con i muli, anche perchè talora la distanza, tra la casa e la fontanella, non consente il lusso della passeggiata con gli orcioli sotto il braccio. II villaggio è molto esteso e in questi ultimi anni si è allargato a macchia d’olio: da una parte si arrampica verso la cresta della collina dall’altra discende verso il declivio da dove si può sempre ammirare Io stupendo sottostante panorama. Insufficienti quindi le fontanelle esistenti.
A Giardina Gallotti non esistono fognature. Immaginarsi! Non esiste la strada di accesso, per quali ragioni dovrebbero esserci le fognature? Strade e fognature potrebbero essere considerate come i segni correlativi della civiltà che si puntellano a vicenda e camminano di pari passo. Qui è così; ma in più c’è un fatto che rivela l’illogica volontà dello spreco e dell’incongruenza.
Ci spieghiamo.
Le strade interne di Giardina Gallotti, fatta eccezione per una o due — incomplete tuttavia — sono ancora allo stato naturale così come sono nate man mano che le case si andavano affiancando l’una accanto all’altra. Anni addietro l’amministrazione comunale di Agrigento iniziò a farne pavimentare qualcuna a mezzo di cantieri-scuola, con i quali — pensiamo — saranno state pavimentate le due strade menzionate. La cosa più logica sarebbe dovuta essere questa: prevedere con la pavimentazione la costruzione delle fognature ad evitare dilazioni ed ovvii sprechi. II peggio si è che, a tutt’oggi, molti lavori iniziati con quei cantieri, non sono stati condotti a termine.
Impossibile quindi pretendere la pulizia nelle strade. E’ possibile scopare e tenere pulita una trazzera? Assurdo tirare una contravvenzione — come abbiamo appreso in questi giorni — ad una povera massaia che butta un secchio d’acqua sporca sulla cosiddetta « strada » non volendo sovraccaricare il modesto pozzo nero di famiglia.
I cani al cimitero
Un contadino, che abbiamo incontrato alla fontanella pubblica, e al quale abbiamo chiesto quali fossero le maggiori deficienze avvertite nel villaggio, ci ha risposto « L’ostetrica e il medico ». Abbiamo risposto che sapevamo — per averlo appreso dal parroco — che tanto l’ ostetrica quanto il medico venivano ogni giorno. «Si, di giorno vengono; e la notte quando ne abbiamo urgente bisogno chi ci viene in aiuto? ».
Il telefono a Giardina funziona, nei giorni feriali, dalle ore 8 alle ore 12 e dalle 14 alle 19; nei giorni festivi solo dalle 9 alle 12.
Il prete l’hanno avuto sempre a disposizione, anche prima della erezione della parrocchia, avvenuta nel 1926 e che venne intitolata alla Madonna della Pietà; ma non è stato così per la scuola, per il medico, l’ostetrica, per la farmacia. La paura di questa gente, il terrore, diremmo, è costituito dal pensiero della improvvisa presentazione del caso di emergenza.
Ad onor del vero dobbiamo riconoscere l’eroismo, l’abnegazione, lo spirito di carità con cui il condotto del posto, dott. Incorvaia, che abita a Montaperto, esercita la sua nobile missione: eroga campioni di medicine, la sua macchina è una farmacia ambulante, si bussa alla sua porta in tutte le ore. Il difetto sta nelle strutture. Il telefono, e la strada.
Si contano sulla mano i villeggiani che dispongono di un’automobile; d’altro canto il telefono, la notte, non fa servizio come non lo fa in alcune ore del giorno. Che fare?
Certo pretendere che un medico o una ostetrica stiano sul posto notte e giorno potrebbe sembrare eccessivo e superfluo. D’accordo! Ma si creino allora i presupposti indispensabili perchè in qualsiasi ora del giorno e della notte sia possibile, in un modo o nell’altro, poter avere — qualora se ne presentasse l’urgenza — il medico, l’ostetrica e le medicine.
Il cimitero di Giardina Gallotti è — oggi — paragonabile ad un ovile lasciato in abbandono senza steccato e protezione.
Il confronto è irriverente; ma è poco ad esprimere la profanazione cui è soggetto questo luogo tanto caro ai vivi quanto sacro per i defunti.
Qualcuno di quelli che ci hanno accompagnati sul posto ci ha detto che si è verificato qualche caso in cui i cani randagi sono arrivati alle casse dei morti per tacere di qualcos’altro che sa di macabro e di ripugnante.
In realtà lo si chiama « cimitero » ma non ha nulla, questa landa di terra coperta di sterpi e di spine che nascondono gli avelli e le croci, che possa essere avvicinato col pensiero al « camposanto » dove dormono il sonno della pace creature che furono un giorno come noi.
di Alfonso Di Giovanna
pubblicato dal settimanale L’amico del Popolo il 6 ottobre 1968 n.40