di Giuseppe Iannuzzo
Il gruppo dei “CANTERINI DI VAL D’AKRAGAS” nacque attorno al 1936 per volontà del segretario dell’Opera Nazionale Dopolavoro un certo Pellicano mandato ad Agrigento perché anche nella nostra città potessero prendere corpo iniziative di carattere ludico, folkloristico e culturale. Il Pellicano trovò subito un terreno assai fertile ed una validissima collaborazione nelle persone del maestro elementare e direttore di banda Francesco Flora, del direttore didattico Giuseppe Conti e del vivacissimo Sandro Giuliana che pur vivendo a Palermo veniva frequentemente ad Agrigento per collaborare fattivamente alla formazione di un gruppo folkroristico che potesse non sfigurare e possibilmente competere con altri gruppi ben consolidati come quelli dei Canterini della Conca D’oro e dei molto qualificati Canterini Etnei.
E lavorarono con impegno e giovanile spirito pionieristico i tre maestri che avevano destato grande entusiasmo tra una quarantina di giovani vivacissimi ed ansiosi di far bene e mettersi in mostra ..E vi aderirono gli stessi tre figli del Pellicano Clelia, Corrado ed Annamaria,e la figlia maggiore del maestro Flora, la dolcissima Maria che fu la nostra mascotte. ( Pippo e Savino venivano qualche volta alle prove, ma erano ancora tanto piccoli).E vi aderì pure il figlio del direttore Conti, Carmelo, che poi , dopo aver frequentato il liceo ad Agrigento si trasferì a Palermo dove ancora risiede dopo aver raggiunto i più alti gradi della carriera di magistrato che lo videro componente del consiglio Superiore e primo presidente della corte di appello.
Ma ritornando a parlare del gruppo che si formò ad Agrigento dirò che se tra i componenti nacque e si sviluppò qualche amorino tra cui quello tra Pino Salentina e Teresa Noto che poi finirono con lo sposarsi, è altrettanto vero che tra quei ragazzi nacque un semplice e meraviglioso cameratismo, come si diceva allora, di cui si andava orgogliosi perche ci si sentiva antesignani di una vera modernità che finalmente consentiva a maschietti e femminucce ormai in verità non più tanto “etti” nè tanto “ucce” essendo la maggior parte più che sedicenni, di incontrarsi e di stare piacevolissimamente insieme senza malizia il che allora agli anziani sembrava persino impossibile. Anche se in verità, bisogna pur dire, che le nostre mamme erano cresciute respirando l’aria degli anni venti l’aria del charleston che aveva dato una seria scrollata a tutto il vecchiume mentale dell’ultimo ottocento. E si sacrificarono sull’altare della modernità tante bellissime trecce di capelli, e già gli abiti femminili avevano lasciato le caviglie per mostrare le ginocchia ancora fresche delle più giovani signore che non volevano più sentire parlare di corpettini ormai soppiantati dai più moderni reggiseni che vennero a ragione indicati come il più significativo segno della modernità E si compiacevano quelle mammine della sia pure moderata libertà goduta dalle loro figliolette e da loro solamente agognata. Si era veramente entrati nell’età moderna,in questa attuale si può dire e di questo eravamo i primi protagonisti e ne avevamo anche contezza. Non mi sarebbe mai venuto in mente di rievocare tutto ciò se non mi avesse ,senza volerlo, spronato Corrado Catania che chiedendomi alcune notizie mi ha detto che le avrebbe utilizzate per un suo lavoro che prenderà in considerazione tutto un sessantennio di vita agrigentina in cui parlerà ampiamente della Sagra del Mandorlo. E sono andato allora a rispolverare alcune vecchie ed ingiallite fotografie e le ho fatto riprodurre e le ho rivisitate ed ho rivisto tanti bei volti di adolescenti che mi hanno suscitato tanta tenerezza. Sono tutti ricordi di felicità di semplicità di gite più o meno impegnative come quella volta quando si andò a Santangelo Muxaro o quando ben più audacemente si andò a Messina forse per la Fiera che allora in quella Città veniva organizzata con tanto clamore. Erano ancora lontani gli anni della guerra che ci avrebbe privato anche di quelle gioie e di quella semplice felicità.
Peppe Crapanzano l’ho rivisto lo scorso mese di novembre nel negozio di Piddu Messina, Andrea Camera vive qui a Roma dove anch’io vivo da trent’anni e ci si frequenta; dei Pellicano ho perduto ogni traccia; Carmelo Conti è venuto a Roma per incontrare i vecchi amici di sempre partecipando ad una delle riunioni annuali degli Agrigentini a Roma;di Pippo Scozzari mi ha dato recenti notizie la sorella Ninì che fu anche lei una mascottina; Adele Ragusa ha partecipato anche lei qualche anno fa ad una riunione di Agrigentini a Roma assieme al marito Ciccio Di Benedetto. Di Umberto Daino mi dà notizie la sorella Elena che vive ad Agrigento e che di tanto in tanto sento per telefono. Non ho recenti notizie di Pino Salentina che vive a Palermo, nè di Nino Spitali che forse vive a Ravenna. Con Maria Puccio ci scambiamo spesso i saluti tramite Letizia Azzarello moglie del caro Martino che pure apparteneva al gruppo ma che non era presente quando venne scattata la foto della quale sto parlando. Giovanni Bosio è sempre vissuto a Sciacca, ma non l’ho più visto. Faceva l’assicuratore.
Sandro Giuliana pur non essendo musicista aveva un innato senso della musica e aveva composto un inno fascista che era stato apprezzato dal maestro Lizzi che ne aveva curato le partiture per la banda Municipale che suonava quella marcetta tutte le volte che se ne presentava l’occasione. E quelle occasioni non mancarono mai.
Il complesso bandistico Municipale di Agrigento meriterebbe di essere ricordato con documentata attenzione assieme a quel validissimo Maestro Lizzi che era riuscito a trasformare una ottantina di artigiani in altrettanti maestri di musica. Fu quella una scuola molto seria e degna dei più prestigiosi conservatori di musica.
E lo stesso Giuliana compose in collaborazione col maestro Flora che di competenza ne aveva abbastanza,molti canti folkroristici che non ho più sentito cantare.( …….jamuninni a scampagnari ca lu mennulu sciurì, nfacci di lu beddu mari di lu nostru Santulì……… tirituppiti e lariulà, tirituppiti e lariulà ) . Così una bellissima canzone del maestro Flora: Mi piacerebbe apprendere da Pippo Flora che gli spartiti sono ben conservati. Ma se lo sono perchè non divulgarli? Erano belli. Come bella era la contradanza in siciliano che Conti, Flora e Giuliana avevano rivisitato modificando saggiamente molti solecismi che via via si erano incrostati su vecchi testi siculo-francesi e che in quella forma errata sino ad allora erano stati tramandati. E spesso quella contradanza magistralmente “eseguita” dal nostro Gruppo riscosse molto successo.