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veduta di girgenti e del tempio di esculapio

La storia di Agrigento segnata da un conflitto tra la città e il suo patrimonio archeologico

8 Settembre 2021 //  by Elio Di Bella

forum

parco archeologico

Il 15 febbraio presso la sede del Centro Pasolini la redazione di Fuorivista ha organizzato un forum sul Parco Archeologico di Agrigento. Hanno partecipato Piero Meli, direttore della sezione beni naturalistici, paesaggistici e urbanistici della soprintendenza di Agrigento, Settimio Biondi, storico, Mimmo Fontana di Legambiente e, per Fuorivista, Gaetano Gucciardo.

GUCCIARDO
Veniamo da giorni tempestosi, giorni di demolizioni, proteste di piazza, prese di posizione clamorose e però abbiamo una legge che istituisce il parco. Si è fatto un decisivo passo in avanti verso la valorizzazione programmata, pianificata, integrata del patrimonio della Valle dei Templi per lo sviluppo della nostra città.

Noi vorremmo concentrare l’attenzione proprio sulle potenzialità di sviluppo che si dischiudono grazie a questa legge e uscire dalle sabbia mobili della questione dell’abusivismo che a nostro giudizio va verso una soluzione che, per quanto deprecata localmente, è l’unica dignitosa e praticabile. Questo forum vuole essere un’occasione per scambiarci delle idee e fare un esercizio di immaginazione sul parco a venire.


La storia degli ultimi anni della città di Agrigento è una storia segnata da un conflitto tra la città e il suo patrimonio archeologico, tra la città e la Valle dei Templi. Non credo si possa contestare il fatto che, se il parco deve crescere e deve essere una occasione centrale per lo sviluppo della nostra città, non può crescere in un contesto di conflitto con la città, il parco deve crescere armonizzandosi con la città e la città deve cambiare anche in funzione di questa armonizzazione.


Direi di cominciare la nostra discussione proprio da questo punto dando la parola all’architetto Meli che, da dirigente della Soprintendenza, gode di un punto di vista privilegiato rispetto a queste tematiche.

MELI
Dice bene, il parco deve connettersi con la città. La stessa posizione fisica impone di vedere come integrare città e Valle. C’è uno stretto rapporto di interdipendenza tra la città e la Valle dei Templi. Il fatto che il parco venga attraversato dalle principali vie di comunicazione che mettono in contatto la città con alcuni dei suoi quartieri più importanti imporrebbe una attenzione particolare sotto questo aspetto.

Bisogna partire da qui per vedere in che modo il parco può essere chiamato a sua volta a costituire una parte attiva della città e rispondere alle sue esigenze attuali. Penso che questo sia il primo nodo da sciogliere perché gli agrigentini vedano nel parco un mezzo di sviluppo piuttosto che una palla al piede come molti, insensatamente, continuano a ripetere. Agrigento, senza la Valle dei Templi, non sarebbe nulla, nemmeno una “espressione geografica” come De Gaulle definiva l’Italia.

BIONDI
Si sta concludendo un prassi che dura da decenni e probabilmente da quasi un secolo. In previsione di questo incontro ho scartabellato qualche scritto e ho cercato di originare storicamente un momento ideativo del parco. Credo di averlo individuato nel periodo fascista.

Quasi a rimedio dei danni che il regime come amministrazione locale aveva inferto alla città, il 27 ottobre del 1939 Agrigento venne visitata, per iniziativa del Ministro dell’Educazione popolare, da una esimia e ristrettissima commissione di cui facevano parte Ugo Oietti, grande scrittore, pubblicista e critico, Amedeo Maiuri, l’architetto Del Debbio, e come segretario Mario Grisolia.

Costoro sancirono per primi la necessità di abbattere tutte le costruzioni sia private che demaniali che in qualsiasi modo deturpassero la visibilità della zona archeologica. Salvavano invece le povere misere belle costruzioni rurali che si disseminavano nella Valle compresa la costruzione a pie’ di Porta Aurea, la taverna di Donna Maria che si lega a tanti ricordi storici agrigentini – e che, ahimè! è stata demolita – perché da due secoli nel salone vi si svolgevano i duelli di onore.

Per gli agrigentini era uno dei tanti locali di divertimento della Valle dei Templi che allora era organizzata come un parco: vi erano le cascine di campagna dove si offriva un minimo di ospitalità, si preparava la pasta di casa, si preparavano i cereali, le fave, si friggevano le uova. La commissione chiude il verbale rilevando di avere trovato ad Agrigento “piena e fervida comprensione”.
L’architetto Meli ha detto che c’è un’interdipendenza tra la città e il parco, io direi di più e cioè che città e parco sono la stessa cosa e che tutto sommato il nostro parco, prima ancora di essere parco archeologico, è fondamentalmente un pezzo di questa città Ho due argomenti a sostegno di questa affermazione.
Il primo è paleografico.

Quando Ruggero stabilì i confini dei feudi e della città in un documento vescovile, ne indica il perimetro includendovi tanto la città medievale quanto i luoghi dell’antica città e dice una frase bellissima: “la città è in gran parte caduta e in parte ancora eretta”, definendo quindi le rovine come rovine della stessa città. La città murata nella descrizione del documento di Ruggero non è altro che un maschio o mastio nel senso architettonico del termine rispetto ad una città molto più vasta che includeva l’area della città antica.


La seconda prova che porto è che la Valle dei Templi non è stata mai infeudata altrimenti sarebbe appartenuta alla curia, a un monastero, alla mensa vescovile. La Valle è stata sempre proprietà allodiale, libera di pesi e vincoli, che il comune ha ceduto alle grandi famiglie agrigentine che avevano mani in pasta nella pubblica amministrazione, i baroni Tortorici, la famiglia Sala, la famiglia Russello ecc. ecc. Quindi la struttura storico-giuridica di questa Valle fa sì che essa si appartenga alla città.


Oggi si dice che la città è contro il parco. Ma si confonde la città come istituzione con la città come comune, con la città come abitanti della città; si confonde la cultura della città, che dovrebbe essere una condizione rintracciabile storicamente, con la voce della città che è un’altra cosa. Per esempio la voce degli abusivi non è legittimata a diventare, né noi possiamo assumerla come tale, voce della città.


Per me l’origine dei guai di Agrigento scaturisce da una bocciatura nei fatti del progetto borbonico di fondare la nuova città di Agrigento saltando le mura della vecchia città senza abbatterle. Il regime borbonico aveva accantonato una grossa somma per costruire la nuova Girgenti nelle pianura tra Vicenzella e Villaseta quasi in collegamento col molo.

I borbonici tutelarono la edificabilità fuori dalla città perché Agrigento era e doveva rimanere una città murata. Poi vennero la sentina del Gas sotto le mura, sorse il palazzo di Beneficenza, l’attuale Provincia, venne autorizzata la costruzione del palazzo Vadalà, l’attuale caserma dei carabinieri, sorse nei pressi l’archivio notarile, però, tutto sommato rimaneva ancora l’iconografia di una città murata che si racchiudeva in se stessa e che all’esterno aveva poche costruzioni e grandi spazi di verde pubblico.

Col fascismo, questa logica esplode, vengono demolite le mura della città, fatto di una gravità estrema su cui ancora non si riflette, con il consenso tanto del podestà di Agrigento, Altieri, quanto dell’allora rappresentante delle Belle Arti, il Vescovo Lagumina, che era stato professore di archeologia medievale all’Università di Palermo e pertanto avrebbe dovuto conservare i valori medievali della città. Si dice che autorizzò l’abbattimento delle mura perché fosse ammalato, in procinto di morire.
Una volta debordata la città da sè stessa è chiaro che il pericolo andava per inerzia verso la Valle. Fu il fascismo a prevedere addirittura una linea ferrata che passasse per Porta Aurea, figurarsi il disastro!
Ma la città aveva delle grandi tradizioni.

Che la cultura di Agrigento avesse a cuore la Valle lo evinco anche da una sciagurata vertenza del 1951 quando si intese costruire una grande casa vicino Porta Aurea a uso dei custodi e ci fu una protesta molto forte dell’Ente per il turismo, della Commissione per le Belle Arti e infine del Consiglio comunale che in una seduta del 1952 si associò alle proteste generali.

Leggo dalla delibera: “Non ammette il suggerimento del Consiglio superiore delle antichità di mimetizzare le costruzioni”, e oltre dichiara di “non potere opporre un veto al dilagare delle richieste di costruzioni che continuamente pervengono dai privati per costruzioni nella stessa zona”, perché, a seguito della autorizzazione e costruzione dell’albergo “Lucciola”, alcuni cittadini rivendicarono anche per sé il diritto di costruire nella Valle.


Quindi è chiaro che c’era una tradizione che è molto antica di conservazione gelosa della Valle. Personaggi come il professore Sinatra, il barone Agnello, il sindaco di Sciacca, l’avvocato Galluzzo e altri cultori agrigentini sostenevano che la Valle andava assolutamente salvaguardata. E poi invece ci fu una dinamica burocratica della Soprintendenza che ubbidiva alle direttive che allora venivano da Roma.


Nel secondo dopoguerra, nel periodo immediatamente precedente la frana viene sempre meno la resistenza della città. La borghesia che era detentrice della cultura cede sempre di più all’insorgenza di due movimenti socio-demografici. C’è un sottoproletariato che si fa avanti – e credo che si sia fatto tanto avanti che oggi ha le leve del potere municipale nelle mani senza per altro avere maturato culturalmente quel processo di crescita che avrebbe potuto abilitarlo alla guida della città.

Non avanza la piccola borghesia che ad Agrigento è classe estremamente responsabile e stabile, e giunge da fuori una sorta di sottoproletariato vorace che infetta altri ceti della città e che, attraverso la vendita dei terreni e una serie di speculazioni, attende a farsi la casa a S. Leone e nella Valle.


A questo punto rispetto ad una cultura che non c’era e che viene supplita quasi ufficialmente dagli organi dello Stato e in particolare dalla Soprintendenza che si trasforma in quegli anni cruciali da organo burocratico in organo scientifico e culturale, si pone il problema del conflitto fra città e Valle.

Come immaginare il parco archeologico


GUCCIARDO
Se città e parco sono state storicamente e territorialmente la stessa cosa certamente il parco è un progetto e questo progetto va pensato per creare o, se si preferisce, per confermare questa identità di città e parco. Da questo punto di vista quali contenuti dovrebbe avere un progetto di parco archeologico?

BIONDI
Ritengo che la realizzazione di questo parco sarà molto lenta e difficile. Il vero problema del parco sta nelle attrezzature e quindi nei servizi aggiuntivi che deve offrire la città. Uno dei problemi è se possiamo demanializzare tutta l’area oppure consentire che rimangano terreni privati con determinati limiti e vincoli.

Da un intervento della dottoressa Fiorentini ad un convegno sulla Valle e il paesaggio mi sembra che propenda per una soluzione mista: facciamo il parco demaniale vero e proprio ma lasciamo i terreni ai privati con delle pattuizioni molto precise.
Credo che l’unico sistema perché una Valle del genere funzioni sia che venga affidata a privati, a fondazioni, a istituzioni internazionali che abbiano una solidissima base economica, non credo che un consiglio di amministrazione con salariati regionali possa sopportare il peso della gestione del parco.


E’ necessario però che funzioni la città, gli alberghi, i mezzi di collegamento. E’ indispensabile che il consiglio comunale preveda le strutture adeguate per creare non cinque ma cinquanta, cento alberghi.


La Valle all’interno deve diventare città, essere luogo frequentabile dove sarà possibile permanere, essere ospitati, dove si potrà mangiare. Dove si dovrà vedere e rimanere. Era una buona idea in questo senso quella di realizzare un museo del mandorlo, ma perché no anche locali notturni, sale cinematografiche per film stranieri.

FONTANA
Voglio sottolineare due passaggi della ricostruzione storica di Biondi. sui quali non si è dilungato quanto valeva la pena di fare. Il primo è il periodo che va dalla demolizione delle mura al sacco di Agrigento. Le mura sono una soluzione di continuità chiara tra un interno ed un esterno, la loro demolizione ha rappresentato un “liberi tutti” rispetto alle potenzialità di sviluppo della città. Il problema si è poi aggravato per la assoluta assenza di previsioni urbanistiche degne di questo nome.


Il secondo passaggio fondamentale riguarda il periodo che va dagli anni cinquanta ai sessanta in cui la città quasi raddoppia i suoi abitanti e sostanzialmente perde la sua identità. Nelle parole di Biondi questo era in qualche modo sottinteso quando parlava della fine del ruolo delle grandi famiglie borghesi. Proprio in quegli anni si verificano il raddoppio della popolazione e l’arrivo in città di un sottoproletariato che diventa la struttura sociale del sacco di Agrigento.

Si riversano sulla città decine di migliaia di cittadini provenienti dalla provincia. La grande borghesia perde completamente il proprio ruolo e lo specchio di ciò è che essa non ha difeso la città dal sacco. Nella maggior parte dei casi non ha partecipato. Faccio gli esempi dei La Loggia, dei Galluzzo, dei Corsini, dei Pancamo. Ancora oggi si conservano alcune aree molto belle e pregiate, come quella tra via Crispi e via Europa, dove alcune grandi famiglie hanno conservato delle belle vecchie case con il giardino.


Questo secondo me è il passaggio in cui la città perde completamente l’identità e anche la capacità di difendere il bene culturale rappresentato sia dalla Valle dei Templi sia dal centro storico. Tra gli anni cinquanta e i sessanta era sin troppo facile, appena cadeva un piccolo cornicione, passare alla demolizione del palazzo storico per costruire un palazzaccio e l’indignazione che era invece presente per tutti gli anni cinquanta è sparita.


Anche la terribile vicenda del centro storico, l’assoluta indifferenza con cui la città ha visto passare negli anni strumenti urbanistici indecenti che poi hanno fatto la fine che dovevano fare cioè essere bocciati, mi fa dire che c’è un conflitto, o forse ancora peggio, una indifferenza della città verso i propri beni culturali.


Non penso tuttavia che oggi tutta la città sia confliggente rispetto ai suoi beni culturali. Non ritengo assolutamente che la voce degli abusivi sia la voce della città. C’è una maggioranza o una grossa minoranza che non condivide minimamente certe posizioni e che invece vorrebbe costruire sulla valorizzazione dei beni culturali una vera economia della città.


E vengo alla domanda. Cosa dobbiamo fare di questo parco? Come dobbiamo arrivare alla fruizione? Quali sono i contenuti della fruizione del parco? Dobbiamo riconnette la città al parco. Meli ha richiamato la necessità di ritrovare il ruolo urbano del parco.

Il parco, pur essendo per alcuni versi il centro della città, il suo cuore verde, ha un ruolo urbano molto marginale che è quello della fruizione turistica anch’essa, peraltro, parziale.

Riempire di contenuti la fruizione della Valle dei Templi vuol dire anzitutto capire come deve essere fruita come sistema nel suo complesso. Si deve partire dall’analisi dei valori che esistono nella Valle dei Templi perché da ciò dipende la progettazione di una fruizione che deve essere complessa e differenziata.


Voglio fare, a questo proposito, un appunto alla legge che prevede che il parco sia gestito secondo criteri di economicità e di risultato. Da un lato sono assolutamente convinto che i criteri di economicità possono essere la molla per mettere a sistema la Valle e farla diventare il cuore pulsante dell’economia agrigentina, dall’altro però non posso assolutamente pensare che un parco archeologico debba essere gestito secondo criteri rigidamente economici.

L’importanza della Valle dei Templi è tale che i criteri di economicità non possono assolutamente essere determinanti. Mi pare, in questo senso, che lo stato italiano con la legge Ronchi prima e la Regione Sicilia con il lavoro senz’altro buono dell’assessore Morinello abbiano tentato di trovare la terza via rispetto ai due modelli di gestione dei beni culturali esistenti che sono quello anglosassone e quello latino. Il primo è quello per cui i beni vengono affidati ai privati e i criteri di economicità sono gli unici che valgono.

Il secondo è quello latino per cui il privato è escluso dalla gestione del bene culturale ed è lo Stato che si fa carico di tutti gli oneri. La terza via prevede invece che lo Stato e il privato si consorzino per tutelare, ricercare e contemporaneamente gestire traendo dalla gestione una economicità.


La legge, d’altra parte, ha lacune così gravi che rischiano di creare dei problemi molto seri. Ad esempio, la legge crea una sovrapposizione dei compiti fra la gestione della fruizione e la gestione della tutela la quale, ovviamente non può che rimanere nelle mani della Sovrintendenza e cioè del pubblico. E’ indispensabile che si vadano a redigere delle circolari esplicative per superare alcuni momenti di impasse che certamente si creeranno se si applica la legge così com’è.


La legge definisce una specie di sotto-zonizzazione della zona A che ha già creato equivoci perché qualcuno ha pensato che si potesse cambiare il regime di tutela, cosa che la legge non prevede assolutamente. Semplicemente distingue tre zone all’interno delle quali le prescrizioni esecutive o le destinazioni d’uso, degli immobili legalmente edificati, saranno differenziate.


La sotto-zonizzazione è assolutamente scorretta e rischia di essere pure dannosa. Essa parte da una zona centrale che è quella archeologica per andare ad una zona ambientale e paesaggistica che dovrebbe essere una zona di pre-parco, in qualche modo, di filtro, e si conclude in una zona naturale attrezzata. In realtà chiunque conosca la Valle dei Templi sa perfettamente che le cose non possono stare così.

In realtà c’è una grande area centrale che è quella di maggiore interesse archeologico ma anche paesaggistico, che è circondata da una zona, quella dei due fiumi che attualmente è quasi priva di naturalità ma che potrebbe acquistarla con progetti di rinaturalizzazione. Al di fuori di questa fascia naturale si dovrebbe ritornare ad avere una zona paesaggistica, quella sì di filtro, che faccia da mediazione rispetto alla Valle. Ovviamente, siccome da queste sotto-zonizzazioni discendono delle prescrizioni, essendo scorrette le individuazioni delle zone saranno scorrette pure le prescrizioni.

MELI
Sono d’accordo su questo punto. Sarebbe stato necessario uno studio per vedere se si poteva arrivare a una differenziazione degli ambiti. La legge invece impone la divisione a priori per cui si è obbligati a trovare delle zone che magari non esistono. Si è fatto in pratica il percorso inverso.


Quello che non mi piace della legge è l’impostazione generale. Fare una legge per il parco archeologico di Agrigento nell’ambito della quale si prevede la creazione dei parchi archeologici dell’intera Sicilia… è una cosa che non quadra. Si sarebbe dovuto fare una legge sui parchi e poi Agrigento avrebbe trovato la sua posizione all’interno di una legge che valesse per tutti. Così quello di Agrigento diventa un parco di serie A e qualsiasi altra zona archeologica della Sicilia non potrà mai essere al livello del parco di Agrigento. Spero almeno che questo piaccia agli agrigentini.


Tuttavia credo che la legge sarà un mezzo per arrivare alla soluzione di tanti problemi e nell’ambito del progetto di parco si potranno affrontare anche i problemi che presenta questa singolare parte del territorio. Parlo, in particolare, dei problemi del degrado dei monumenti, del problema fondamentale della tutela, anche se la legge non sottolinea abbastanza questo aspetto.


I rischi che corrono i monumenti sono di diversa natura. Il patrimonio archeologico di Agrigento soprattutto a causa della materia che li costituisce è gravemente malato. Il tufo di Agrigento è una pietra tenerissima che, esposta agli agenti atmosferici, si degrada. Anche l’inquinamento crea dei problemi anche se non è l’elemento di degrado di maggiore importanza. Come vedete ci sono ponteggi in continuazione sui monumenti. Fra dieci o venti anni, se non si pongono dei rimedi efficaci, resterà ben poco.


Negli ultimi anni c’è stato un impegno dell’amministrazione regionale che ha stanziato dei fondi per la Valle dei Templi. Questi soldi si sono esauriti nel giro di un triennio, e quindi, la zona archeologia di Agrigento, nonostante la sua specificità, nonostante la sua importanza sottolineata dalla legge, soffre di una carenza di risorse finanziarie e si è impossibilitati ad attuare tutte quelle operazioni che sarebbero necessarie per garantire la salvaguardia dei monumenti.

FONTANA
I redattori del piano del parco avranno qualche problema a causa della sottozonizzazione imposta per legge. Peraltro la fruizione è legata alla zonizzazione. Una grande area non si può che fruire attraverso la disposizione di alcuni percorsi. Vorrei fare un esempio. Scendendo dal centro urbano di Agrigento verso i Templi lungo il fiume, c’è una bellissima strada che passa sotto la zona in cui si trovavano le mura occidentali della città, e che passa sotto il Tempio di Vulcano.

Si tratta di un’area che avrà certamente in futuro un grande pregio insieme naturalistico, archeologico e paesaggistico. I percorsi attraverso i quali il turista fruisce la Valle, non potranno essere divisi a compartimenti stagno. Un percorso come questo è contemporaneamente un percorso archeologico, paesaggistico e naturalistico.


Oggi mi pare che i dati che sono in possesso dalla camera di commercio della provincia parlano di 250.000 presenze annue che sono assolutamente poche per un’area archeologica di questa importanza. Se attraverso operazioni di marketing e il potenziamento di una struttura ricettiva si riuscirà ad ottenere una presenza turistica adeguata si porranno altri problemi quali la super-fruizione della Valle dei Templi.

Allora sicuramente una strategia per consentire la fruizione della Valle dei Templi a un milione e mezzo di visitatori, a due milioni di visitatori potrebbe essere quella di distribuire nello spazio questa fruizione. Se i turisti non si accalcheranno tutti sui Templi, ma verranno distribuiti in maniera omogenea all’interno della Valle dei Templi per andare a visitare gli antiquaria, per andare a vedere le aree di pregio naturalistico, le aree di pregio paesaggistico, la Valle potrà assorbire meglio il grande flusso turistico che ci dobbiamo attendere. Per cui uno degli obiettivi fondamentali che dovrà perseguire il piano sarà una fruizione distribuita omogeneamente su tutto il territorio della Valle.


Mi voglio soffermare sui contenuti di tipo paesaggistico. Il paesaggio della Valle dei Templi è un paesaggio straordinario perché sebbene i mandorleti e gli oliveti siano assolutamente caratteristici di molte delle nostre campagne, costituiscono un unicum perché un uliveto o un mandorleto attorno ad un’area archeologica non si trova quasi da nessuna parte. Però è pure vero che soprattutto a causa della demanializzazione molte aree paesaggistiche di pregio sono diventate oggi delle aree relitto. Per cui è indispensabile pensare a progetti di rinaturalizzazione dei fiumi ma anche di recupero paesaggistico delle aree abbandonate.


La Valle dei Templi è un unicum perché è un grande sito archeologico all’interno di un complesso paesaggistico straordinario e in questo senso dobbiamo dare merito a Gui e Mancini di avere anticipato, negli studi propedeutici alla perimetrazione e nella perimetrazione stessa, il concetto moderno di bene culturale ed ambientale che individua il bene paesaggistico come bene da tutelare.

La posizione espressa dal Vescovo nella lettera mandata a tutti gli agrigentini secondo la quale al di fuori dell’area archeologica c’è il paesaggio per cui tutto sommato le case si possono sanare, mi pare assolutamente retrò rispetto a quello che la crescita culturale in questo paese e in questa città ha ottenuto. Oggi tutti noi abbiamo chiaro che il paesaggio è un bene da tutelare soprattutto all’interno della Valle dei Templi dove paesaggio, bene e natura sono inscindibili. Sono un sistema unico e come tale vanno trattati.

La posizione del Vescovo


GUCCIARDO
Vorrei ricordare l’episodio della signora che è intervenuta al convegno su abusivismo e legalità di qualche settimana fa per manifestare, da cattolica, dissenso per la posizione assunta dal Vescovo contro le demolizioni e per chiedere di essere tutelata in quanto proprietaria di un appezzamento di terreno in zona A su cui non ha edificato.

Come sapete la signora è stata aggredita verbalmente e insultata e le è stato impedito di proseguire il suo intervento. L’ho cercata per intervistarla per la nostra rivista ma si rifiuta categoricamente di rilasciare interviste e non vuole che il suo nome venga fatto perché è uscita scioccata da questa esperienza.

Questa signora ha rispettato la legge ma in questo clima che è stato creato anche con la responsabilità della chiesa agrigentina, è stata intimidita e zittita.
Io credo che se il parco deve coniugarsi con l’economia, la cultura e la società di questa città è necessario che questo parco venga progettato stimolando quanto più è possibile la partecipazione.

Una partecipazione responsabile che abbia a cuore il bene comune. In questo momento la partecipazione pubblica è di chi ha violato la legge. Io credo che se una pianificazione del parco funzionale allo sviluppo non solo economico ma anche culturale e civile della città é necessario che si trovi il modo che la città partecipi. Gli attori locali, sia istituzionali che privati devono essere coinvolti nella pianificazione del parco.

BIONDI
Non credo che dopo le sei demolizioni la gente si sia data pace e abbia capito che c’è lo Stato, che si fa sul serio e che si è affermata l’autorità dello stato. Io credo che siamo ancora molto lontani da questo. Hanno perduto la prima battaglia, probabilmente si stanno incarognendo e questa volta potrebbero anche non esternare ciò che hanno in animo di fare che credo sia di guadagnare tempo.

Cioè far fallire la costruzione del parco, postergarla. In questo clima rientra l’episodio che lei ci ha narrato, un clima di intolleranza. Qui ad Agrigento possono avere parola soltanto coloro che hanno interessi. Da qui l’esigenza della partecipazione che non può essere una partecipazione degli enti preposti, siano enti di stato, siano agenzie non governative quali potrebbero essere il WWF, Legambiente. Deve essere la cultura agrigentina, gli studenti, la parte buona della popolazione che ha voce, che discute, che dibatte.


Io sono collegato alla parte umile della popolazione e un dibattito del genere l’ho affrontato in un piccolo bar del centro storico e i segnali che mi venivano da parte del barbiere, del barista, da parte del pensionato erano segnali estremamente buoni. Ma questa gente non ha assolutamente voce.

FONTANA

Chiederei all’architetto Meli se c’è differenziazione e soprattutto in che termini all’interno della Valle dei Templi tra paesaggio e archeologia. La distinzione tra valore paesaggistico e valore archeologico può generare equivoci, anche in malafede come a mio parere in queste ultime settimane è successo tentando di far passare l’idea che c’è un area da tutelare di più e delle aree da tutelare di meno.

MELI
Con il decreto Gui-Mancini non si procedette individuando il perimetro della città antica con i monumenti e poi si tracciò tutt’attorno per caso una certa area di rispetto. Si andò ad individuare un unicum costituito da valori di natura diversa sia paesaggistici sia archeologici.

Si è equivocato, forse anche ad arte, per fare certe distinzioni e per far passare l’idea che un conto è la tutela del bene archeologico e un conto è la tutela dell’ambiente circostante. Per altro voglio dire che quella perimetrazione avrebbe potuto arrivare molto oltre. Penso a tutto Cozzo Mosé e alla zona retrostante che rimase fuori dal perimetro e che, come la ricerca archeologica ha dimostrato, faceva parte del territorio archeologico della città antica perché c’erano le necropoli. I rinvenimenti archeologici arrivano addirittura alla foce del Naro dove ci sono santuari arcaici.


Io sono ottimista, fiducioso che nonostante tutto con la nuova legge per il parco si possa arrivare a un buon risultato. Bisogna definire meglio ruoli e competenze di ciascuno ma credo che il problema Agrigento possa arrivare ad una soluzione come si è già avviato a soluzione il problema dell’abusivismo.

BIONDI
Io credo che i figli degli abusivi saranno molto più permissivi dei loro genitori. Ho parlato con alcuni di loro e ho notato che non c’è quella rabbia che invece vedo nei genitori, che sono stati quelli che hanno costruito le case. Chi eredita una casa abusiva ha uno stato d’animo completamente diverso da quello di chi quella casa l’ha costruita. Credo che con l’andare del tempo i rapporti si renderanno meno funesti, meno accidiosi, meno drammatici e quindi si potrà andare avanti.

FONTANA
Va sottolineato che oggi l’autorevolezza dello Stato è rappresentata comunque da soggetti che, anche nella classe politica regionale, come l’assessore Granata rappresentano in pieno la carica che ricoprono. Granata, che non è né culturalmente né politicamente omologo a me, dice le cose che un assessore ai Beni Culturali deve dire. L’assessore ha evidentemente senso dello Stato. L’assessore ai beni culturali non può dire nulla di diverso.


Quello che dice Biondi è verissimo, però questo processo di convincimento dovrà andare avanti non solo tra i figli ma anche tra gli abusivi, e su questo sono ottimista. Secondo me ci sono molte persone che, nel momento in cui lo Stato riacquista un minimo di autorevolezza, saranno sostanzialmente disponibili a comprendere che un sacrificio deve essere fatto. Io sono assolutamente convinto e parlando con alcuni abusivi mi rendo conto che già è così, che, nel momento in cui si renderanno conto che ciò che chiedono non lo potranno ottenere, probabilmente scenderanno a più miti consigli.

(Questo articolo si trova nel numero di marzo 2001)

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, parco archeologico, valle dei templi

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