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Falaride il tiranno di Akragas

9 Aprile 2019 //  by Elio Di Bella

toro di falaride

Falaride è odiosamente celebre (1) nell’ antichità; ma questa celebrità in cambio di arrecar qualche lume alla sua isteria, non ha fatto che avvilupparla di favole, in mezzo alle quali è difficile discernere la verità. Echelo, Busiride, Falaride sono divenuti i prototipi della crudeltà; e gli autori, senza il menomo scrupolo, hanno a loro attribuito tutte le sevizio immaginabili. Falaride è in particolar modo conosciuto pel loro di bronzo entro il quale faceva bruciare vivi degli sciagurati, le cui grida, rassembrando il mugito di quell‘animale, rendevano completa l’illusione. L’Ateniese Perilao, inventore di questo immane supplizio, ne fu, dicesi, per giusto castigo la prima vittima. La realtà delle tradizioni relative a questo toro ha dato ampia materia di controversie nell‘antichità (2). Timeo negava la sua esistenza (3), o piuttosto diceva, che esso era stato buttato in mare dagli Agrigentini (4);

Polibio e Diodoro assicurano , al contrario ,che fu rinvenuto in Cartagine, dove era stato trasportato dopo la conquista di Agrigento (5).

Noi torneremo, in occasione del culto di Giove Atabirio, a parlare di questo toro di Fa laride, che non era forse un singolo atto di crudeltà, ma’ un tentativo onde procurare di

introdurre le usanze feroci dei Fenici e il bruciamento delle vittime umane(6). Il toro di Falaride diè a Luciano argomento di due composizioni declamatorie, nelle quali suppone che il tiranno faccia omaggio al tempio di Delio di questo strumento di supplizio, e che i Delfi deliberino se debbano o no accettare simile offerta (7). Un altro solista, la cui epoca ed il cui nome sono rimasti sconosciuti, scrisse sotto il nome di Falaride una raccolta di lettere (8), che durante il medio evo ed anche dopo il risorgimento , furon credute autentiche. Bentley, in una discussione celebre tra’ critici, ha fatto giustizia dell’ opera di questo falsario, e mostrato , per lo stile, per quel che si desume dalla isteria letteraria della Grecia, e per gli anacronismi che racchiude quella corrispondenza, che essa in foggiata in un’epoca assai posteriore a Falaride (9).

Nondimeno, se l’autore si fosse studiato di dare accuratamente a quelle lettereciò che chiamasi oggi la tinta locale, raccogliendo delle notizie storiche, che, certamente esistevano ancora al tempo suo, noi potremmo trovare in quel componimento delle informazioni preziose; ma è facile scorgere, che egli limitossi solo a dipingere un personaggio e ad esercitare la sua penna. Dal lato dello stile ed anche dei pensieri quelle lettere hanno qualche merito; ma dobbiamo astenerci dal cavarne delle indicazioni storiche, salvo che non si accordino perfettamente con fatti bene accertati.

Trovansi anche molte notizie concernenti Falaride negli Stratagemmi di Poliano, il quale, disgraziatamente, non cita gli autori che copia; né può egli stesso fare autorità, non dando sempre pruova di sana critica. Pure la penuria di storici ci astringe a valerci di qual che sua informazione. Falaride, se vuolsi dar fede alle lettere che portano il suo nome (10), era nativo d‘Astipalea, una delle isole Sporadi. Bandito da’ suoi concittadini andò a far soggiorno in Agrigento, dove s’impadronì del supremo potere. Secondo Poliano egli aveva cominciato ad esercitare dapprima il mestiere di pubblicano, cioè , appaltatore delle gabelle (11) in quella città, ed aveva così fatto molto danaro. Avendo risoluto gli Agrigentini d’innalzare sul monte che domina la loro città un tempio a Giove, Falaride si offrì di assumere quest‘impresa. E poiché la sua ricchezza e la sua perizia negli affari pro mettevano molta sicurezza pel compimento dei lavori, la sua proposta venne bene accolta, e gli furono affidati i denari pubblici.

Egli comprò un gran numero di schiavi adatti al travaglio manovale, chiamò degli artigiani stranieri, e accumulò sul monte materiali d‘ogni specie. Un giorno ci fece pubblicare la promessa d’una ricompensa per chi avrebbe denunciato i nomi di coloro i quali, diceva egli, avevano rubato del ferro e delle pietre.

Avendo l‘ annunzio di questo furto destato la pubblica indignazione, egli ottenne il permesso di cingere il monte d’un muro destinato, in apparenza, ad impedire un altro simile attentato. Dopo aver preso queste precauzioni armò i suoi operai, e, profittando d’una festa di Cerere, piombò all’improvviso sopra i cittadini inermi, ne uccise un gran numero e stabili la tirannia in Agrigento. Noi

non seguiremo punte Poliano nella narrazione delle altre perfidie di Falaride, che egli fregia col nome di stratagemmi; le une centro i Sicani, a cui fece la guerra, le altre centro i suoi sudditi stessi (12). Noi non enumeremo neanche tutti gli atti di crudeltà che gli si rimproverano, e che egli accompagnava talvolta con dei crudeli giuochi di parole (13).

Solo dobbiamo studiarci di stabilire con precisione l’ epoca del suo regno, intorno alla quale si osservano negli autori varie discrepanze.

Eusebio presenta due date contraddittorie: la prima del terz’anne dell‘olimpiade XXXII (prima di G. C. 650); ma in quell’epoca nemmeno esisteva Agrigento, ed il nome di Falaride non puossi trovare che per isbaglio in quel luogo, poiché Eusebio indica nell’olimpiade XLII, 4 (prima di G. C. 605), Panezio come il più antico dei tiranni della Sicilia, e, nel terzo anno dell’olimpiade LII (prima di G. C. 570), dice che Falaride fu tiranno di Agrigento per ben sedici anni; il che ne concordasi con Suida, il quale dice egualmente la tirannia di Falaride essere avvenuta nella

Olimp. LII (14). Eusebio pone circa allo stesso tempo (olimpiade LV, 2, 559 prima di G. C.) la morte del poeta Stesicoro, che fu, in effetto, contemporaneo di quel principe, poiché Aristotile rapporta un apologe col quale cercò di distogliere i suoi concittadini dall’accordare delle guardie a Falaride (15). Dando fede alle lettere attribuite a Falaride, deve credersi che il tiranno avesse avuto molta stima ed ammirazione per quel poeta, e che alla sua morte gli avesse reso grandi onori. In quella stessa raccolta di lettere se ne trovano molte dirette a Pitagora, e, nella vita di que sto filosofo scritta da Giamblico (16), si parla pure delle loro amichevoli relazioni; ma quel libro, compilazione informe e spoglia d’ogni buona critica, non può essere una valevole autorità in favore di questo sincronismo.

La morte di Falaride è in vari modi raccontata.

Secondo Tzetzes, che forse segue Diodoro (17), Falaride avendo un giorno veduto uno sparviero che inseguiva uno stormo di colombe, disse: « Guardate che fa la pochezza d’animo; se un solo di quegli uccelli avesse cuore di resistere, essi potrebbero trionfare dello sparviero che li perseguita (18). a Un vecchio, profittando tosto del consiglio, ghermì una pietra e la scagliò contro il tiranno, che cadde sotto i colpi della moltitudine. Taluni autori han detto che il suo supplizio fu prolungato, e che insieme con lui fecero morire sua madre ed i suoi amici (19). Gli Agrigentini, in odio della me moria di Falaride, proibirono l’uso dei mantelli turchini, perchè quelli delle sue guardie

erano di questo colore (20). Sì puerile decreto, di che per altre possonsi rinvenire altri esempi, anche presso popoli più inciviliti, non impedì che gli Agrigentini passassero immediatamente sotto l’autorità d’ Alcmene e poscia d’ Alcandro. Quest’ ultimo esercitò il potere con dolcezza; ma nulla sisa dei loro regni, se non che in quell’epoca ebbe principio la ricchezza ed il lusso degli Agrigentini, i quali presero a far uso di vestimenti guerniti di porpora (21). Tra il numero dei congiurati contro Falaride era Telemaco, che tenevasi per discendente di Cadmo, figlio di Agenore, ed il cui pronipote, Terone, occupò il trono di Agrigento nel 487 primadi G. G.

 

note

 

Pindaro, Pizia I; ed il Chiosatore. – Callimaco,

framm. 63, ediz. di Roissonade cc.

(2) Si veda una dissertazione diJ.F. Ébert, Historia critica Tauri Phalaridei, nel suo libro in

titolato   Commentariorum de Siciliae veteris geographia , historia, mythologia, lingua, antiquitatibus sylloge, Regimonti Prussia, 1830. Noi crediamo che sia ora non è venuto alla luce che una piccola parte dei lavori che questo

titolo fa sperare.

(3) Diodoro , XIII, 90.-Timeo, framm. 117, ediz. Didot.

(I) Chiosatore Piad. Pizia I, v. 135. – Timeo, framm. 118.

(5) Polibio, XII, 25.-Diod. XIII, 91.

(6) Vi ha qualche indizio dell’uso in Sicilia di

sacrifici umani nei tempi anteriori allo stabilimento dei Greci.

(7) Luciano, op. t. V, p. 38, ediz. Bipont. La prima di queste declamazioni è un‘apologia di Falaride. Vi si trovano taluni fatti che sembrano storici; per esempio, un atto di clemenza del ti ranno verso due amici che avevano cospirato contro la sua vita. (V. Eliano, 1st. div. II, I.)

(8) Schaefer ne ha dato, nel 1823, in Lipsia una nuova edizione  di Boyle, Lennep e Walkenaer.

(9) Si veda la dissertazione di Rentley sulle lettere di Falaride, in inglese, 1691 e1699, ed in latino, con delle aggiunte di Lennep, I777, o sotto il titolo di Beanleil opuscolo philolophica, Lipsia 1781.

(10) Questa esposizione da teatro non sembra molto naturale

(11) Poliano, Strat. V. I

(12) Polibio, v. 1, 2, a, I.

(13) Diogene, Paroem. cent. II, 50.-Arsenio viol. p. 22

(14) Arist. Ret. I. II, 20, 5 3:  . Si tratta della favola del cavallo e del cervo,

(15)  Falaride sarebbe stato assassinato nel momento in cui era per attentare ai giorni d’Abaride e di Pitagora.

(16) Tzetzes, nelle sue Chiliade, parla più volte di Falaride. Egli indica le sue autorità, che sono: Diodoro, Luciano, e le lettere di Falaride, nelle quali ha piena fiducia. Il racconto della morte del tiranno, non essendo tratto da queste due ultime opere, è probabilmente cavato da’ libri perduti di Diodoro. (Si veda Chil. V, ist. 31, v. 956 e seg.)

(17) Buffon accerta, che l’uccello da preda non ardisce punto aggredire le colombe quando van no a stormo. Si vedono anzi talvolta degli uccelli da preda inseguiti dallo rondinelle.

(18) Tzetzes , passo citato

(19) Valerio Massimo, III, e. 3, attribuisce la morte

di Falaride a Zenone d’Elea.Cicerone, De of

ficiis, Il, 7 : « Testis est Phalaris cujus est pne

« ter ca:teros nobilitata crudelitas; qui non ex in

« sidiis interiit…. non a paucis…. scd in quem

« universa Agrigentiaorum multitudo impetum fecit. »

(20)  Plutarco, Prec. pol. 28.

(2) Eraclide, passo citato.

 

STORIA PATRIA STATISTICA LETTERARIA

OVVERO STABILIMENTO DE GRECI IN SICILIA

DI GLADIMIRO RRUNET DE PRESLE

1862

 

Categoria: Storia ItalianaTag: agrigento, akragas, falaride

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