La potente Chiesa locale.
A Girgenti abbondarono sino al 1860 le chiese (35), i monasteri (4), i conventi (9), contando solo quelli dentro il circuito cittadino.
Ne fa fede anche la descrizione della città del duca di Cracò Francesco Vergara che troviamo in un’opera pubblicata a Palermo nel 1806. “Situata in eminente scoscesa, sette miglia in distanza dal lido, ove è il Caricadore ed il novello Molo, gode i vantaggi di un’aria salubre e di piacevole veduta. Torreggia la Basilica nell’altura, vi ha la sua sede il Vescovo e gli fanno cerchio venti Canonici ed altri trenta Prebendati, tutti con lautissimi appannaggi.
Tra quelli con le degnità di Decano, di Ciantro, di Arcidiacono, di Tesoriere. Il magnifico palazzo del Vescovo ne è una continuazione. San Libertino ne fu il primo Vescovo nei tempi apostolici, ed il Compatriotto S. Gerlando allorché il Conte Ruggieri rinovellò questa sede, su cui splende adesso mons. Saverio Granata Teatino Messinese, dal 1795, pella festività di quel Sabato nella seconda domenica di Pasqua si tiene un assai lucroso mercato per 15 giorni, che serve molto ad animare il commercio interno dell’Isola. Il Seminario dei Chierici fondato da Mons. Cesare Marullo nel palazzo altra volta dei Chiaramonte nel 1575, ebbe notabile accrescimento del suo successore Bonincontro.
Vi si accorse da vari parti ad appararvi l’utili cognizioni, con ispezialità quelle proprie alle persone di Chiesa. Decente è la Casa Civica, è del pari all’altre città del Regno. Il governo sceglie tra i nobili un Capitano, che veglia sugl’affari di giustizia insieme con due Giudici, e quattro Giurati, pella buona amministrazione dei viveri, e della pulizia, in più della cittadinanza, che in numero dicesi di quasi ventiseimila. Nel Castello presiede alla guarnigione un distinto uffiziale.
Abbelliscono anch’esse Girgenti le Chiese di S. Michele e S. Pietro, aventi i loro curati quella di S. Croce e del Duomo. Su i rimasugli del tempio di Cerere ergesi il bell’oratorio di S. Biagio, ma non vi sussistono gli antichi monasteri dei Cassinesj e dei Cisterzienzi. Decentissimi vi sono i Conventi e le Chiese dei Carmelitani, l’Oratorio degli Agostiniani Scalzi, l’abbadia Grande di S. Spirito, giusta l’Inveges, fondata dalla moglie di Manfredi di Chiaramonte Conte di Modica nel 1299, le Clarisse di S.M. dell’Ajuto, l’altre di S. Vincenzo sotto il vecchio Castello che soltanto serve di prigione; il ritiro di correzione, lo Spedale, due collegj di Maria, il Monte di Pietà, la Commenda di S. Maria Maddalena un tempo de’ Teutonici oggi di Malta”
Occorre comunque osservare che, anche se abbastanza ricca, la chiesa agrigentina come tutte le chiese della Sicilia nel periodo borbonico era una realtà depressa, soffocata dall’alleanza con il trono, dovendo subordinare apertamente la religione agli interessi dinastici. I monarchici, in virtù del regio patronato, avevano diritto sulla nomina dei vescovi. La Chiesa coordinata alla monarchia doveva svolgere un ruolo di tutela dei cardini della società, di conservazione della famiglia monogamica, di stratificazione gerarchica dei gruppi sociali, di esecuzione degli obblighi della sudditanza politica. I vescovi agrigentini, come gli altri in Sicilia, dovevano indicare alle autorità competenti i nomi dei settari, cioè dei cospiratori politici, se li conoscevano.
Non sembra però che i vescovi agrigentini se ne lamentassero. In particolare Monsignor Lo Jacono fu un campione della politica borbonica. In molte occasioni e con diverse lettere pastorali sosteneva le ragioni della monarchia e minacciava il castigo di Dio contro coloro che non obbedivano al Re. Mentre l’arcivescovo di Siracusa, Monsignor Manzo, capeggiava l’opposizione contro l’ istituendo tribunale della regia monarchia, che si sostituiva in tutto o in parte alla giurisdizione vescovile, il vescovo di Girgenti difendeva gli istituti della regia monarchia come la legazia apostolica, come prerogativa della colonna, garanzia e prestigio per i vescovi .
Chiamato a far parte del Parlamento siciliano durante la rivoluzione del 1848, Monsignor Lo Jacono rifiutò e dovettero condurlo in catene a Palermo. Non si registrano prese di posizione dei vescovi agrigentini affinché le massime autorità intervenissero per lenire i bisogni dei più miseri. Se proteste c’erano, riguardavano ad esempio quella di regolamentare in città la prostituzione: “si freni il meretricio più che possibile e (…) nelle grandi città si restringa in siti, onde si eviti lo scandalo pubblico” chiedeva il vescovo agrigentino. Per le necessità quotidiane indicava in particolare ai fedeli poveri la sopportazione e l’esercizio delle varie forme di pietà. “Tutti i fedeli si inscrivano alle pie unioni del Sacro Cuore, per lucrarne i favori e le indulgenze” raccomandavano i vescovi siciliani.
Il vescovo Lo Jacono venne insignito del titolo di colonnello ad honorem da Ferdinando II.
Memorabile è l’omelia recitata il primo novembre del 1847, giorno di Ognissanti, nella cattedrale di San Gerlando, e poi diretta a tutti parroci della sua Diocesi ad istruzione di tutti i suoi diocesani. Vi asseriva: “ siamo ormai stanchi di parlare di libertà, declamare contro il Re, e compiangere dei popoli che sono oppressi dai Re. Io vorrei sapere se i popoli, che si dicono liberi, nei governi costituzionali sono meglio trattati, se sono più ricchi; se le leggi sono diverse; se non pagano retribuzioni; se i viveri sono più a buon mercato; se non vi sono grandi che opprimono i plebei, che li riguardano come schiavi, mentre i Re per lo più hanno zelo pel bene dei sudditi”.
Nonostante ciò come vedremo in varie occasioni, ecclesiastici agrigentini si trovarono a capo (o comunque parteciparono) dei movimenti rivoluzionari risorgimentali o di sommosse
Elio Di Bella