“Nato ad Agrigento intorno al 490 e morto verso il 430, Empedocle riassunse nella propria vita tanto la ricchezza di umori della sua terra natale, quanto la grandezza e l’ambiguità del suo pensiero. L’entusiasmo per la natura e la varietà dei suoi fenomeni, il profondo senso religioso che connetteva uomini, dei e fysis in intimi legami; la violenza delle passioni politiche, l’ansia della salvezza e il senso del tragico: di questi caratteri della Sicilia greca Empedocle fu, prima che interprete, pienamente partecipe. Capeggiò la fazione democratica della sua città; esiliato nel Peloponneso, si recò in seguito ad assistere alla fondazione di Turi, dove potè probabilmente incontrare Protagora, Erodoto ed Ippodamo; non è da escludere un suo contatto diretto con gli eleati. Seguendo l’uso arcaico, scrisse in versi; uno dei suoi poemi, Sulla natura, trattava argomenti cosmologici e naturalistici, l’altro, Purificazioni, aveva caratteristiche mistico-religiose”
(Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, I)
Recentemente il Club Lions Agrigento Host di Agrigento ha voluto festeggiare la mia produzione di scrittore, giunta al settimo volume, (presentatore il Prof. Nino Agnello) con un the letterario dal titolo “Da Contrada Consolida al Caos”, a rimarcare il legame forte dei miei libri con la cultura classica del territorio agrigentino. In tale sede ho ribadito che, se non ci fosse stato da parte mia un fortissimo interesse per l’opera del filosofo agrigentino, non avrebbe mai visto la luce il mio primo romanzo “Una contrada chiamata Consolida”, gran parte del quale parla di Empedocle. Del resto, ad Agrigento non si può non fare i conti con la cultura classica dell’antica Akragas e, precipuamente con Empedocle. In tale humus culturale affonda le radici la grandezza dell’opera pirandelliana, soprattutto quel “senso del tragico” di marca empedoclea – così come ben evidenziato da Geymonat – che fece acquisire al drammaturgo agrigentino il Premio Nobel per la Letteratura, premiato proprio per il suo teatro.
A voler riaffermare l’importanza della valenza universale di Empedocle e del suo pensiero, ho il piacere di pubblicare un bellissimo e profondo saggio del Prof. Calogero Sciortino, docente di Storia e Filosofia presso i Licei Classici, intitolato “Empedocle: un enigma tra intuizioni ed aporie”, in grado di offrire, ad appassionati e non di filosofia, a professori e studenti, spunti pregevoli di riflessione.
EMPEDOCLE:
Chi fu Empedocle? Se così fosse, Empedocle ci sarebbe contemporaneo più che mai; anzi, egli sarebbe coevo all’homo perennis, perché, sebbene vissuto in un tempo storicamente determinato, è capace, tuttavia, di rompere gli schemi del suo tempo per assumere una sorta di dimensione metastorica, che lo rende contemporaneo all’uomo di ogni tempo. Ci viene presentato ora come ingegnere capace di opere titaniche (come deviare il corso di un fiume o tagliare la sommità del colle di Akragas, ottenendo così un vallone, modificando il flusso delle acque o la direzione dei venti per bonificare le città infeste) ora come sciamano o taumaturgo, capace di tenere prigionieri i venti, di curare le malattie e di richiamare i morti alla vita, ora come fondatore della retorica e maestro di Gorgia, ora come iniziatore della scuola medica siciliana, ora come una sorta di Cagliostro ante litteram, capace di circuire il prossimo con le sue arti, vere o presunte, ora come un semidio, che scompare alla vista dei mortali per essere assunto tra gli dei, ora, infine, come un martire della scienza, che si lancia dentro un cratere in eruzione per studiare i meccanismi del vulcano. 0 amici, che la grande città presso il biondo Akragante abitate nel sommo della rocca, solleciti di opere buone, porti fidati per gli ospiti, ignari di malvagità, salve! Io tra voi come un dio immortale, non già mortale, m’aggiro, da tutti onorato come si conviene, cinto di sacre bende e di corone fiorite. Con i quali quando giungo alle città fiorenti da uomini e da donne sono venerato ed essi mi seguono in folla, desiderosi di sapere dove sia il sentiero che porta al guadagno e gli uni hanno bisogno di vaticini, altri invece per mali di ogni genere chiedono di ascoltare una voce di facile guarigione da lungo tempo trafitti da aspri dolori. Si avverte il poeta ispirato, nel cui petto palpita un cuore che appassionatamente partecipa al dolore che affligge i suoi simili. 0 amici, che occupate la forte rocca, al sommo della città presso la bionda corrente dell’Acragante, impegnati in sagge opere di governo, venerandi approdi per gli ospiti, ignari di malvagità: bravi! Ed anche io, secondo voi, non più come un uomo mortale fra tutti gli altri sono stimato, quando vado in giro, ma dò l’impressione di un dio sovrano, incoronato con infule e con fiorami vivaci. Il messaggio così assume un’altra tonalità: Empedocle non sembra rivolgersi a tutti gli Akragantini, ma solo a quelli che abitano nell’acropoli e che governano la polis, che erano aristocratici e che erano suoi avversari politici. Questo mancato contrasto tra scienza e filosofia, da una parte, e religione mistica e magia, dall’altra, può essere la chiave di lettura dei suoi frammenti. Di Empedocle ci rimangono circa 500 versi dei forse 3000 (per qualcuno 6000) di cui si costituirebbero le sue due opere: Tà fusica (la fisica) e Oi Katharmoì (Le purificazioni). La prima presenterebbe una visione filosofico‑ scientifica del mondo, la seconda, invece, presenterebbe una visione mistico‑religiosa della realtà di chiara derivazione orfico‑pitagorica. La recente scoperta di un codice conservato a Strasburgo, rinvenuto agli inizi di questo secolo in Egitto, purtroppo scomposto in una miriade di frammenti, che gli specialisti stanno tentando di ricomporre, e contenente versi di Empedocle appartenenti a quelle che venivano ritenute due opere distinte, sembra giustificare addirittura l’ipotesi secondo la quale egli avrebbe composto una sola opera dai contenuti scientifici, religiosi, iniziatici e magici, che, se sono incoerenti per noi, non lo erano per lui. Sul piano religioso è fuori dubbio che per Empedocle la divinità si identifica con la materia cosmica costituita dai noti quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) compenetrati in unità ad opera dell’amore (filia) in uno sfero (sfairos) che, però, a causa dell’odio(neikos) viene a disgregarsi per poi ricomporsi, in una vicenda cosmica ciclica caratterizzata dalla lotta tra filia e neikos. Dio è la materia, che, perciò, vive in tutte le cose, le quali nascono e periscono nei ciclici intervalli tra lo sfero (che è il momento in cui l’amore aggregante è dominante) e il caos (che è il momento in cui domina l’odio che separa). Ebbene, in questa visione non c’è contrasto alcuno tra una fisica panteista (per cui tutto è dio, dio è in tutto e tutto è in dio) e il misticismo religioso che coglie in ogni cosa la presenza e la vita stessa di dio. C’è un vaticinio del fato, lui decreto antichissimo, eterno, primigenio degli dei, suggellato con ampi giuramenti: che quando uno, irretito nel peccato, si macchia le mani di sangue assassino o quando, al seguito della Discordia, giura il falso nel novero dei demoni, sorteggiati da una vita eternamente lunga, costui debba errare tre volte diecimila anni lontano dai beati e mutare faticosi sentieri della vita per nascere nel corso del tempo sotto molteplici forme di esseri mortali. La potenza dell’etere infatti li caccia nel mare, il mare li risputa sulla terra, la terra verso i raggi del sole lucente e questi li butta nei vortici dell’aria. L’uno li prende dall’altro e a tutti riescono odiosi. Uno di questi sono or anch’io, lontano da Dio e fuggiasco, poiché confidai nella folle Discordia. L’Empedocle che abbiamo visto esaltarsi nel frammento n. 112 come un dio, in questo frammento si avverte lontano da Dio e fuggiasco cioè in una drammatica condizione esistenziale, comune a quella di tutti gli esseri viventi, perché ha confidato nella “folle Discordia”. Contraddizione? È tale per noi moderni, ma non è forse avvertita come tale dall’Akracantino che, in ogni cosa, percepisce anche qui se stesso e tutti gli esseri viventi. come demoni, cioè come dei decaduti. Neppure la sua filosofia si dispiega con coerenza e linearità: molteplici sono, infatti, assieme alle intuizioni felici, le aporíe che non possiamo fare a meno di sottolineare. In molti casi, almeno, gli succede (ad Empedocle) che l’amicizia divide e la contesa unisce: quando, infatti, l’universo, ad opera della contesa, si disgrega nei suoi elementi allora il fuoco, separato dalle altre sostanze, si raduna tutto insieme e così avviene degli altri elementi; quando invece l’amicizia li viene raccogliendo nell’unità, è necessario che le parti di ciascun elemento si separino daccapo. (Metaph. 1000b) Lo stesso Aristotele rileva che i quattro elementi vengono adoperati da Empedocle non come quattro, ma come se fossero due soli: il fuoco per conto suo e gli altri tre, terra, aria e acqua, come in un’unica sostanza. Non mancano, come si vede, le aporie, ma non mancano le intuizioni felici. C’è per esempio in Empedocle, inequivocabilmente riconosciuta, con la contesa che contrasta l’amore, la funzione positiva del negativo che sta a fondamento della dialettica di tutti i tempi. Senza la contesa, infatti, se l’amore regnasse incontrastato, regnerebbero certo l’ordine e l’armonia, ma il nascere, il morire, il divenire e la vita individuale non potrebbero esistere. Non sappiamo se la dialettica empedoclea sia di derivazione eraclitea, ma, a parte il fatto che il filosofo di Efeso non viene mai citato almeno nei frammenti che ci restano, il pensiero di Empedocle non è, tout court, riconducibile a quello di Eraclito, perché evidenti, seppure problematiche, sono le influenze dell’eleatismo. Se fosse vero che un grande uomo è costituito da più uomini, ridotti in unità, nessuno sarebbe più grande di Empedocle. Non riesco, per quanto enigmatico egli resti, a pensarlo come un Cagliostro; mi piace, invece, pensarlo come un Leonardo dell’antichità o come uno scienziato, anche se ec, 11 non cessa di essere mago, che lavora per l’umanità. |