
LA GRANDE AKRAGAS
I punti di vista dei viaggiatori tra il XVIII e il XIX secolo
di Veronica Angela Valenti
Il viaggio in Italia da parte di giovani studiosi, appartenenti alle più ricche famiglie europee, era una prassi consolidata già alla fine del Seicento; le modalità di viaggio erano quasi sempre le stesse, così come gli itinerari che terminavano a Roma, meta fondamentale per la conoscenza della civiltà antica. Il rinnovato interesse per l’architettura del passato, soprattutto greca e romana, rappresentò il fondamento di un nuovo movimento culturale, successivamente conosciuto come Neoclassicismo che, dalla Germania, iniziò a diffondersi in tutta Europa.
In particolare le scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei contribuirono ad alimentare questo clima culturale, incentrando l’attenzione degli intellettuali verso il Sud Italia. Agli inizi del Settecento la Sicilia era quasi sconosciuta, nell’immaginario collettivo definita come una terra avvolta dal mistero, soggetta spesso a fenomeni naturali come terremoti ed eruzioni vulcaniche. Soltanto a partire dalla fine del secolo divenne tappa fondamentale dei grand tour che studiosi, provenienti da ogni parte dell’Europa, iniziarono a compiere con sempre maggiore frequenza.
I primi eruditi a studiare l’archeologia siciliana furono Giuseppe Maria Pancrazi e Jacques-Philippe D’Orville; le loro opere, caratterizzate da meticolosità delle descrizioni e precisione nei rilievi, costituirono la base su cui i successivi studiosi condurranno i loro viaggi e contribuirono ad accrescere il mito della Sicilia, fornendo per la prima volta attendibili riproduzioni dei templi. In particolare, l’interesse per la Sicilia archeologica e più in generale per l’architettura greca, si deve anche al successo di un breve articolo dal titolo Annotazioni sull’architettura degli antichi templi di Girgenti in Sicilia, scritto da Johann Joachim Winckelmann nel 1759. Sebbene non avesse mai visitato personalmente le rovine greche, le sue descrizioni affascinarono gli intellettuali dell’epoca. È da questo preciso momento storico che la Sicilia divenne emblema dell’intera classicità grazie ai numerosi resoconti di viaggio che iniziarono a circolare in tutta l’Europa e che costituiscono oggi un vasto patrimonio iconografico e storico siciliano.
Sarà Viaggio per la Sicilia e la Magna Grecia del barone tedesco Johann Hermann von Riedesel , primo di una lunga serie di pubblicazioni, a fornire una guida per tutti coloro i quali volessero intraprendere il viaggio in Sicilia. Michele Cometa sottolinea come già le descrizioni di Riedesel e le immagini del suo successore inglese Henry Swinburne possano leggersi come segni anticipatori di quelli che saranno i voyages pittoresques, così definiti in quanto animati dal quel sentimento romantico del pittoresco che «nasce proprio all’incrocio della rinnovata sensibilità per le rovine e per il rapporto che esse instaurano con la natura e con la storia» .
Il più celebre tra i viaggi pittoreschi fu forse quello progettato da Dominique Vivant Denon e guidato dall’abate francese Jean-Claude-Richard de Saint-Non . Alla spedizione presero parte i migliori disegnatori dell’epoca, tra cui Jean-Louis Desprez, Claude-Louis Châtelet, Loius-François Cassas , che elaborarono un ampio repertorio figurativo di 417 tavole costituite da rappresentazioni bucoliche e idilliache delle archeologie di Sicilia. Un ulteriore contributo fondamentale per la tradizione letteraria e pittorica di quegli anni fu l’opera Vedute dei luoghi classici della Sicilia di Jacob Philipp Hackert.
Nelle sue illustrazioni egli fu capace di riportare non solo aspetti molto dettagliati del paesaggio ma anche gli elementi più consueti della vita quotidiana siciliana, ad esempio, i pastori che animano i suoi disegni sono una chiara testimonianza di questa sua pratica.
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