DI Giuseppe Jannuzzo
Mi sta a cuore una Agrigento poco paludata e piuttosto casereccia che non può essere ricordata nei depliants degli uffici turistici o nelle manifestazioni culturali. Mi sta a cuore un’Agrigento che quando sono nato si chiamava Girgenti e che ancora oggi molti tra i presenti ci ostiniamo a chiamare Girgenti quasi ad evocare tempi e sensazioni irripetibili.
Per carità! Lungi da me il pensiero di volere trascurare quell’altra, quella ufficiale, quella magnifica, che Dio solo sa quanto mi sta a cuore. Tanto a cuore che per essa, come avviene a tutti gli innamorati forsennati mi sono fatto poeta: di questo mi scuso.
Una Girgenti oggi negletta e “Cenerentola” anche fra le altre città della stessa Sicilia, che vedo sempre più decaduta, sempre più fatiscente, sempre più trascurata, ma forse per questo sempre più dignitosa, ammantata ancora di quella dignità che inorgogliva il piccolo abate girgentino Michele Vella, guida pedissequa di quell’attentissimo visitatore che fu il Goethe il quale osservando le vie di quella Girgenti annotava che esse erano perfettamente costruite.
Per oltre un millennio quella Città era rimasta contenuta all’interno delle sue mura e delle sue porte: Porta Mazzara o porta dei tessitori, Porta Bibbirria o porta dei venti, Porta di Ponte.
E al di là di quest’ultima porta, extra moenia quindi, le quattro villette dette degli “sgherri” ben recintate da artistiche inferriate sacrificate durante il corso dell’ultima guerra. E poi il Viale della Vittoria, in terra battuta, “arrusciata” come si diceva con evidente francesismo, il giovedì e la domenica per consentire la passeggiata a chi all’emiciclo (allora proprio tale) andava ad ascoltare i concerti di una banda musicale anch’essa per molti lustri orgoglio della Città.
Era allora il viale la striscia terminale di un immenso mandorleto su cui sorgevano rarissime costruzioni: Villa Altieri, Alessi, Nastri, Picone, e giù in fondo la villa della Cavetta e qui all’inizio la suggestiva “Arena Bonsignore” che solo pochi dei presenti possono, grazie all’età, ricordare com’era all’origine, quando insisteva sull’area su cui oggi sorgono le scuole elementari. E poi ancora fuori le mura quel fiore all’occhiello che fu la “Villa Garibaldi” dal tratto veramente signorile sempre curata con amore e sapienza.
Entro le mura una città ordinata ed operosa e poi quell’altro fiore all’occhiello, il teatro Margherita, opportunamente ribattezzato Pirandello, che senza valide giustificazioni oggi tarda ad offrire il suo palcoscenico al godimento della cittadinanza.
Quanti ricordi. Quanto arricchimento delle nostre menti!
Torno frequentemente ad Agrigento, ma non trovo più quella città e se è pur vero che non l’osservo più con gli occhi incantati dell’adolescente o del giovinetto, è purtroppo vero che quella città quella Girgenti, non c’è proprio più. Me ne piange il cuore!
E se, trepidante, mi addentro per quelle vie che mi furono familiari: Via Saponara, Santa Maria dei Greci, S. Vincenzo, Itria, S. Gerlando, allora mi invade una tristezza profonda e indescrivibile per la desolazione, il silenzio triste e privo di vita che vi aleggia perché quei quartieri sono ormai quasi ed esclusivamente abitati da chi non ha voluto o forse potuto abbandonare quelle vecchie case.
Ma è proprio giusto affidare alla ” Rovina ” quella che fu una stupenda città? Si, è vero! Rimangono ancora i suoi monumenti eccellenti: i portali stupendi, le chiese meravigliose, ma è come se venisse meno la struttura portante entro cui questi gioielli sono incastonati. Mi piacerebbe vederla vivere come un tempo, vederla tornare a nuova vita per sentire ancora vivi i nomi di quelle vie velate di mistero: Bibbirria… Ravanusella… Bac Bac …
La sogno come una città giardino, con le sue viuzze strette e acciottolate, con i suoi balconcini verdi di gerani e tutti in vista di quel dolce panorama che ha nutrito la nostra fantasia e che è stato determinante a costruire dentro l’anima di chi vi ha vissuto il meraviglioso senso del bello, del gentile, e, perché no, dell’Eterno!
A quella Girgenti il mio ricordo, a questa Agrigento dei sogni l’auspicio che, modernamente attrezzata, possa vivere brillantemente anche dentro quelle mura, dentro quelle porte, perché le nuove generazioni, ripopolando quel meraviglioso colle, possano gioire per il perenne incanto di uno spettacolo sempre bello, sempre meraviglioso, sempre emozionante.