Agrigento
Io mi trovo da un giorno ad Agrigento, patria di Luigi Pirandello.
Vuole sapere com’è questa città?
Prima di tutto, molto bella (è questo che bisogna dire, “prima di tutto”, quando si scrive di una città siciliana).
Poi sghemba.
A tal punto sghemba e fuori sesto (almeno la parte vecchia) da somigliare a una di quelle costruzioni che i bambini a letto si combinano sulle gambe e i piedi.
Le piazze, tutte in pendenza, paiono in procinto di scivolare ed entrare l’una nell’altra; le vie, dopo aver cercato d’innalzarsi ad arco, s’afflosciano nel mezzo e ricadono nel punto da cui erano partite; le scalinate abbandonano il viandante sul più bello, come pentite di averlo fatto salire e, attraverso un ponticello, lo immettono sopra un declivio disselciato e lo licenziano indicandogli sommariamente la via del ritorno.
Insomma, pare che tutta la città debba da un momento all’altro rientrare in se stessa, e chiudersi, e ridursi a una piazza, un palazzo, una chiesa, una strada, come una scatola a sorpresa. Su tanta irregolarità in procinto di regolarizzarsi in modo estremo e diventare un che di unico, soffia dal mare un bellissimo vento.
(V. Brancati, Lettere al direttore, in Romanzi e saggi, “I Meridiani”, Milano 2003, p. 1246).