CONVENTO DI SAN FRANCESCO AGRIGENTO
Tommaso Fazello, frate saccense dell’ Ordine dei Predicatori, testimonia nel suo “De Rebus Siculis” che: “Numerose sono in quella città le opere pubbliche dagli stessi Chiaromonte magnificamente promosse, come la chiesa massima, i conventi di S. Domenico, S.Francesco, dei Carmelitani, il monastero delle monache di S.Benedetto,…”.
La città di cui si parla è Girgenti, nella quale in pochi decenni, tra la fine del XIII sec. e gli inizi del XIV, i Chiaramonte favoriscono il costituirsi di comunità religiose appartenenti agli ordini più importanti. La capostipite girgentina, andata sposa al signore di Sutera Federico Chiaramonte, Marchisia Prefoglio, dà esempio di munificenza con la donazione del monastero di S. Spirito all’abbazia di Casamari, iniziando quella politica di favoritismo nei confronti degli Ordini religiosi che sarà perseguita anche dai suoi figli.
A Manfredi, Giovanni e Federico si deve, infatti, la costruzione dei tre cenobi sopra menzionati, anche se di essi non si conoscono con precisione le date di fondazione; unico riferimento da potersi considerare come terminus ante quem per l’erezione dei tre edifici è il 1339, anno della morte di Giovanni, l’ultimo dei figli di Marchisia rimasto in vita per più lungo tempo. Secondo il Picone, storico girgentino dell’ottocento, che trae la notizia dallo Inveges, la fondazione del convento dedicato all’umbro Francesco si deve a Federico, mentre il Pirro ha lasciato testimonianza di un documento risalente al 26 febbraio 1307, da cui si deduce che è il fratello maggiore Manfredi a donare “aedes magnas” ai frati minori di San Francesco. Proprio questa espressione fa pensare, però, ad un edificio già compiuto, del quale anzi si pone in luce la notevole dimensione. Ciò potrebbe in qualche modo trovare conferma nella considerazione che almeno la chiesa doveva essere più antica, visto che nel 1295 la zona sud-orientale di Girgenti è già denominata “borgo di San Francesco”, come si evince da una giuliana pubblicata dallo stesso Picone, riportante atti con donazioni in favore del monastero di S. Spirito. Isabella Chiaramonte, infine, figlia dell’altro fratello di Federico e Manfredi, Giovanni, nel suo testamento in data 1362, chiede di essere seppellita nella nuova chiesa del convento di San Francesco, dando modo di pensare così ad un intervento trasformatore già pienamente concluso.
Malgrado lo scorrere del tempo e gli eventi cittadini non siano stati clementi nei confronti di questo monumento, preziose testimonianze chiaramontane possono ancora leggersi in un’aula a pianta quadrata con volta a crociera prospiciente il lato meridionale della più moderna costruzione religiosa. Il semplice prospetto è arricchito soltanto dal bel portale a sesto acuto che, nella posizione affiancata dalle due bifore, fa pensare all’ingresso di un’aula capitolare, come spesso si riscontra nei complessi conventuali.
Il triplice sistema del portale racchiuso tra due finestre, richiama immediatamente, per un confronto quasi spontaneo, lo stesso motivo dell’aula capitolare del Monastero di S. Spirito, la cui linearità del disegno è qui però abbandonata: le finestre sono inserite in modo da superare l’altezza del portale e al di sopra si aprono tre oculi disposti a triangolo, dei quali quello più in alto presenta un diametro minore rispetto ai due inferiori. Il motivo a “denti di sega”, tipico delle costruzioni chiaramontane rintracciabili in tutta la Sicilia, compare, diversamente che a S. Spirito, soltanto nel primo archivolto del portale, mentre nelle finestre la ghiera, unica, è ornata a bassorilievo con motivi floreali. Si ha comunque la impressione di un’esecuzione meno raffinata rispetto a quella del convento fondato da Marchisia.
L’interno dell’ambiente quadrangolare è sovrastato da una volta a crociera rafforzata da costoloni che poggiano ai quattro angoli su colonne. L’impianto richiama la volta dell’antica abside e della cappella di S. Spirito, ma anche qui i costoloni, a sezione quadrata con spigoli smussati, non presentano il raffinato intaglio ravvisabile in quelli di S. Spirito.
Inserita in fabbriche, annesse alla chiesa, di epoca più recente ma insistente ad un piano inferiore rispetto a quello di calpestio della stessa e ad uguale livello dell’aula che si è detta capitolare, esiste poi una cappella di forma rettangolare a doppia crociera costolonata e con nicchia absidale ricavata nel muro. Anche per questo ambiente, il paragone sorge naturale con la cappella all’angolo nord-orientale del complesso di S.Spirito: entrambe presentano una nicchia incorniciata da un arco a sesto acuto con doppia ghiera e motivi a “zig-zag” e a “denti di sega”, ma diverse sono le forme date alla nicchia, dal fondo piano in S. Spirito e a semicilindro con catino impostato su due cuffie bipartite in S. Francesco.
Soltanto questo è, purtroppo, tutto ciò che oggi rimane dello intero complesso conventuale. Variamente utilizzata nel tempo, anche come edificio scolastico, la struttura ha subito notevoli variazioni anche e soprattutto dopo i bombardamenti dell’ultima guerra, ma già nel sec. XVIII notevoli erano stati i rifacimenti, riguardanti particolarmente la chiesa, che veniva quasi del tutto obliterata nella nuova fabbrica, non più dedicata al frate di Assisi, ma alla Vergine Immacolata, titolo che tuttora le appartiene.
Per la traduzione del Fazello, v. D. Bernini, Memoria del luogo, Palermo 1993, p. 76; per le altre notizie v. R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo 1733, tomo I, p. 732 e G. Picone, Memorie storiche agrigentine, Agrigento 1866 (ristampa anagrafica a cura del Comune di Agrigento, Agrigento 1982 ), alle pp. 486, 809 e documento XVII, pp.LXIII-LXIV.