Accadde a San Leone. La surreale vicenda di un nobile agrigentino, uno strano servo e …lo zampino del diavolo
C’era una volta a Girgenti (oggi Agrigento), al tempo che Berta filava, un cavaliere appartenente ad una delle più nobili e ricche famiglie della città.
Un giorno, mentre andava a cavallo ad una sua villa situata presso la spiaggia di San Leone (l), egli vide sulla sabbia un ciottolo variopinto.
Meravigliato, smontò e lo prese per esaminarlo.
Vi aveva appena gettato uno sguardo, che si senti chiamar per nome, e alzando il capo, si vide dinanzi un giovane contadino assai male in arnese.
— Che vuoi ? gli chiese il gentiluomo.
— Desidererei che vostra eccellenza mi prendesse al suo servizio, rispose lo sconosciuto.
— Figlio mio, soggiunse il cavaliere, io non ho bisogno di servo.
— Ma vostra eccellenza, ripigliò quegli, prendendomi al suo servizio, non mi deve dare nè salario, nè cibo; perchè io voglio servirlo solo per aver tanto onore.
Il gentiluomo cercò di persuaderlo che non avea bisogno di servo, ma furono parole buttate al vento; lo sconosciuto tanto fece e disse che il cavaliere finalmente lo accettò e lo condusse seco alla sua villa.
Giunti colà, il nuovo servo gli tenne la staffa, gli preparò il pranzo e fece molte altre cose con tale esattezza da incantare.
Mentre pranzava il gentiluomo disse al servo che mangiasse; ma questi rispose di essere entrato al servizio di lui col patto di non ricever nè salario, nè cibo, nè alcun’altra cosa, e per quanto fosse pregato, non volle nulla.
Il cavaliere contentissimo del nuovo servo, quando si trovava a Girgenti, lo presentava a tutti gli amici, i quali, non senza invidia, si congratulavano con lui; e alludendo al ciottolo, ch’egli teneva in casa come una meraviglia, gli dicevano : Una fortuna non viene mai sola.
Ed invero il servo non lasciava niente a desiderare; puntuale, obbediente, onesto; cacciatore espertissimo, assai pratico di cose di agricoltura, era di non poco aiuto al suo padrone.
Il quale avea preso ad amarlo grandemente; non lo lasciava mai, usciva sempre con lui: pareva che un legame misterioso li tenesse uniti.
Ma se il gentiluomo era ben servito, la sua coscienza era lungi dall’esser tranquilla. Da che avea quel servo egli non era più religioso come prima, e se qualche volta voleva pregare, non si ricordava più della solita preghiera.
In chiesa non andava quasi mai, e quando gli amici ve lo conducevano, non si trovava più al fianco il servo, senza che potesse accorgersi da qual parte uscisse; ma uscito fuori, se lo vedeva di nuovo allato.
Egli avrebbe voluto dargli almeno il salario; ma il servo, benché spesso pregato, non volle mai alcuna cosa. Domandato dove e come mangiasse, non avea risposto altro che questo era il suo segreto.
Allora la diffidenza cominciò a poco a poco ad impadronirsi dell’animo del cavaliere.
Ora accadde che avendo questi una causa importante, la quale si dovea discutere a Palermo, il suo avvocato un giorno gli scrivesse che, se gli avesse potuto mandare entro due dì parecchi documenti da lui posseduti, avrebbe vinto la causa; se no, poteva forbirsi la bocca.
Il gentiluomo era imbarazzatissimo.
Come fare? A quei tempi per andare da Girgenti a Palermo ci volevano per lo meno tre giorni; perchè allora non c’erano ferrovie, nè si viaggiava in carrozza, ma in lettiga o a cavallo. E poi i numerosi banditi che infestavano le campagne, le cattive strade, i fiumi gonfii per recenti piogge rendevano difficile e pericoloso tal viaggio.
Mentre che stava pensando a tutte queste difficoltà, alzando gli occhi, egli si vide davanti il servo che lo guardava sorridendo.
— Che vuoi? gli chiese aspramente.
— Io so, rispose il giovane, che vostra eccellenza deve spedire fra due giorni alcune carte a Palermo.
—Ebbene?
— Ebbene, se lo permette, vi andrò io.
— Ma come farai per giungere a tempo?
— Non ci pensi vostra eccellenza; mi serva la lettera ed io in meno di due giorni la porterò a Palermo.
Il gentiluomo scrisse la lettera, vi acchiuse i documenti e la consegnò al servo, che partì quel giorno stesso.
La dimane egli tornava senza mostrar ombra di stanchezza, e dopo alcuni giorni arrivava la risposta dell’avvocato, il quale, sospettando di quel corriere più che veloce, non la diede a lui, ma ad un altro corriere.
In essa egli annunziava al cavaliere che avea vinto la causa, e con meraviglia gli chiedeva come mai avesse potuto mandare così presto quei documenti.
Dapprima il gentiluomo in mezzo alla gioia non ebbe alcun sospetto; ma cessata l’allegrezza per la vittoria ottenuta, la diffidenza ch’egli prima avea sul servo, si accrebbe assai.
Pensando e ripensando al giorno, in cui avea trovato quel ciottolo meraviglioso; all’improvvisa apparizione dello sconosciuto, che spontaneamente gli aveva offerto i suoi servigi senza voler ricevere nè salario, nè cibo; agli strani modi di lui, provava serie inquietudini.
Dopo aver esitato lungamente, si decise a parlarne al suo antico confessore, il quale gli disse che il servo doveva essere il diavolo e lo consigliò di andare a gettare in mare il ciottolo trovato.
Il cavaliere rimase male. Come? Doveva perdere quel bellissimo ciottolo? E se il servo non fosse il diavolo?
Finalmente, dopo essere stato a lungo perplesso, egli si mise in sella e il servo lo seguiva a piedi.
Mentre che camminavano, questi cominciò a minacciarlo e voleva costringerlo a ritornare indietro; ma il gentiluomo tenne duro.
Giunto alla spiaggia di S. Leone, stette un po’ dubbioso a guardare le onde del mare che si frangevano sugli scogli e sulla riva; poi afferrando il ciottolo, che gli bruciava orribilmente le dita, lo buttò lontano.
Il ciottolo tracciò nell’aria un solco luminoso e andò a cadere con fragore.
Il cavaliere, spaventato, si voltò ad osservare il servo.
Questi avea subito una trasformazione; la sua persona era diventata più grande, i suoi occhi erano rossi e sanguigni, dalla sua testa sporgevano due poderose corna.
— Senti, disse con voce terribile al gentiluomo più morto che vivo, io ti ho fatto del bene e tu mi hai ricompensato in questo modo; ma d’ora in poi ti danneggerò quanto potrò; tu morrai povero e miserabile.
Ciò detto, disparve dopo aver lanciato delle fiamme.
Il cavaliere spronò il cavallo per fuggire , ma questo si ombrò e lo gettò a terra, ed egli si ruppe una gamba.
Trasportato alla sua villa da alcuni contadini, che per caso passavano di lì, stette ivi ammalato per alcuni mesi; dopo una lunga cura guarì, restando però zoppo per sempre.
Da quel tempo i suoi affari incominciarono a peggiorare ed egli morì povero e miserabile.
(1) La spiaggia di San Leone è a mezzogiorno di Girgenti, dalla quale è distante circa quattro miglia. In essa mette foce il torrente Agragas.
Emmanuele Gramitto, Xerri, Racconti popolari siciliani, Girgenti, 1885