Già fin da quando la Compagnia rimise piede in Sicilia si mosse Sciacca a volerla. Quindi a nome di essa il Magistrato indirizzò al Luogotenente generalo del regno, che allora era il Principe di Cutò, questa supplica :
Il Senato di Sciacca, pieno di debito ossequio, espone all’ E. V. che esistono in essa città una casa e chiesa gesuitica, le quali dall’anno 1787 in qua per disposizione del Vescovo di Girgenti di quel tempo, sono occupate dai Padri del Redentore volgarmente detti Liguorini. È ben persuaso il Senato che questi Padri si sono adoperati e si adoperano con tutto lo zelo che si ricerca nella coltura spirituale delle anime : ma il loro istituto non si estende sopra i vari oggetti della pubblica educazione. Quanto questa sia importante e degna della massima cura, non vi ha chi possa metterlo in dubbio.
Essa infatti è uno dei principali fini che determinarono l’animo sempre provvido e le paterne mire del Re nostro Signore nel richiamare nei suoi reali domini la Compagnia di Gesù col nota real dispaccio degli 8 di agosto 1804, avendo S. M. conosciuto e manifestando che la detta Compagnia col suo esempio, e coll’esercizio di molte opere di pietà e di pubblica istruzione ad essa inerenti potrà apprestare ai suoi amatissimi sudditi un mezzo pronto, sicuro ed espedito per cui ogni ordine di persone possa ritrarne sommo vantaggio in tutto ciò che ha rapporto alla pratica delle virtù cristiane.
Ora il Senato di Sciacca a cui per obbligo essenziale e sacrosanto s’appartiene il procurare che la sua patria venga privata di quel mezzo che la M. S. ha inteso d’estendere sopra tutti i suoi sudditi in un articolo di così grave importanza, non può fare a meno di ricorrere all’E. V.. supplicandola vivamente, come fa che voglia dare le opportune disposizioni; affinchè, rimanendo a Sciacca i Padri Liguorini per continuare ad esercitarvi il loro istituto, ma con trasferirsi in altro luogo, in cui non sarà difficile di allogarsi con agiatezza e decenza, si facciano ritornare i PP. della Compagnia di Gesù nella casa e chiesa che essi con tanta pubblica utilità occupavano prima della loro partenza dal regno, e così ritorni la popolazione a godere dei frutti delle loro pie ed esemplari opere, e venga rifiorire il vero seme della pubblica cristiana educazione. Il che è sicuro il Senato di ottenere dall’autorità della E. V. come cosa giusta e conforme alle sante e religiose intenzioni del Re nostro Signore, che Iddio lungamente conservi» (Memoriale del 30 agosto 1805).
In tali sensi quell’illustre maestrato, e per esso quella degna città, perorava presso il Principe la causa sua: nei quali sensi non so se maggiormente campeggi l’affetto di essa e la stima in verso il nostro Ordine ovvero la premura, e lo zelo pel pubblico bene che dalla sua restituzione dicea provenirne. Ma avvegnachè tanto il Sovrano, quanto il suo Luogotenente fossero propensi ad accogliere i voti, e ad esaudire le suppliche delle molte città che mossero su quelle prime a dimandarci; nondimeno la scarsità dei nostri soggetti ci obbligò a differire l’adempimento per alcune ed a negarlo del tutto ad altre. Non per questo si estinsero le brame di quella popolazione di Sciacca, che anzi come il vento talora serve a ravvivare, non a spegner la fiamma, così dalla stessa ripulsa sembrarono i desideri prender vigore.
47. Al 1811 il Re, facendo il giro di varie città recossi a Sciacca, dove ricevette solennissime dimostrazioni d’onore, ed ebbe alloggio nel già nostro Collegio ; di cui , lodando la solidità della fabbrica o la magnificenza dell’intero edificio,
ebbe a dire che, quando ancora non lo avesse udito, pure da sè l’avrebbe per opera gesuitica, siccome per tutto altrove avea notato. Questo luogo e questo tempo furono alla città due favorevoli circostanze per implorare da Sua Maestà la grazia si lungamente desiderata.
Presentano dunque al Re un luogo e fervidissimo memoriale sottoscritto dal Senato a nome di ogni ordine di persone, ecclesiastici o secolari, religiosi, nobili, padri di famiglia e costituiti in dignità: col quale rinnovando la supplica giù un tempo fatta da noi sopra riferita, chieggono istantemente il ritorno della Compagnia e la restituzione di quel collegio che egli di presente abitava.
Il Re Ferdinando accolse questi supplica voti, come una conferma di quella opinione che nutriva egli stesso verso il nostro Ordine, e per cui lo aveva richiamato nei suoi domini: epperò ritornato in Palermo consegna il memoriale medesimo ai tre ministri delegati pel nostro ristabilimento, perché diano col loro parere i necessari provvedimenti (Rescritto del 1 maggio 1811). Questi nulla volendo conchindere senza la previa intelligenza dei nostri Superiori, ad essi trasmisero la stessa supplica; e questi, vedendo l’impegno di quella divota città, non lasciarono di commendarlo meritamente e di professare per essa la più grata riconoscenza.
Quanto però all’ affare, rispondono di presente non essere il caso, stantechè la penuria dei soggetti collegata con quella delle finanze, siccome gli avea ritratti dall’accettare altri collegi, così gli costringeva a non ricevere questo; che sebbene un grosso cespite rimanea tuttavia dell’antica dotazione, questo nonpertanto era stato coi fondi degli altri collegi devoluto al sostentamento delle case nostro di Palermo.
Dopo tali reiterate ripulse chi non avrebbe creduto che l’impegno dei cittadini di Sciacca non si fosse interamente smorzato ? Eppure continuò ad attivar le sue fiamme: e nel 1814 impetrò dal Sovrano una missione, capo della quale fu il P. Matteo Candela ed i compagni i PP. Antonino Schiavo, Emmanuele Gulì, Giuseppe Zappalà, Frigdiano Belli, Gennaro Cutinelli. Accolti dentro il medesimo collegio, intrapresero con istraordinario fervore quell’apostolica spedizione, e sembrò quasi gareggiare lo zelo dei Padri nello spargere la divina semente, e la docilità del popolo nel corrispondere col frutto proporzionato. Quindi, com’era da aspettarsi, si raccese più che mai l’antica brama di riaverci: che se la città ci voleva girando eravamo lontani, come mai ci lascerebbe partire avendoci di già presenti ?
Si replicano pertanto le richieste, si replicano le domande, si ravvivano le preghiere, si moltiplicano le profferte, e sembra che nulla manchi dal canto loro allo scopo. I Padri Liguorini che con tanta ospitalità armino albergato i missionari, comechè fossero costituiti per regio rescritto legittimi possessori di quel collegio, nondimanco dichiararono ben volentieri di volerlo cedere, ove loro s’appresti un’altra stazione.
Ma quei motivi medesimi di sopra addotti che aveano fuor militato contro l’apertura di quel domicilio, militavano tuttavia, e i nostri Padri, benchè promettessero di fare quanto per loro si potesse onde appagare i voti comuni, nulla però ottennero colle loro mediazioni.
Negli anni appresso continuarono i Nostri a frequentare quella città ma per motivi economici: con tutto ciò non omettevano d’esercitarvi a quando a quando i sacri loro ministeri. Il Padre Giuseppe Gravante, nativo di colà medesimo, che era stato dapprima nella Congregazione del Redentore, o poscia per desiderio di maggior perfezione era entrato nella Compagnia di Gesù dopo più di apostolico ministero, era stato spedito in sua patria per curare quei beni. Quivi informatosi, avendo dato esempi di luminosa virtù, nel convento del Giglio, che è dei Padri del terz’Ordine di San Francesco, ai 9 agosto dell’anno precedente chiuse santamente i suoi giorni. Fu la sua morte compianta dal pubblico, e nella chiesa del convento medesima, fattigli in pompa magnifica i funerali dove concorse gran folla di gente, fu onorevolmente sepolto.
Per somiglianti cagioni recossi pure più volte a Sciacca il P. Libertino Ricci il quale non solo seppe disbrigare certe intralciate scritture, ma scoperse altresì certe nascoste partite, per cui ampliò il fondo della nostra azienda. e mise a cultura un ampio podere per conto della Compagnia. Quando andovvi la prima volta non ancor sacerdote, fu invitato a recitare un discorso in onore dell’Arcangelo S. Michele nella chiesa ben grande che vi ha, consacrata in suo onore. Tanto grido egli lasciò e tanti applausi riscosse di quel panegirico che non potrebbe dirsi di più e coloro l’intesero prendendo da ciò argomento di commendare la Compagnia, dicevano che se un giovane si era segnalato cosi, che dovea dirsi dei veterani? Quando poi vi tornò sacerdote, ebbe amplissime facoltà di predicare o di confessare, eziandio nei monasteri. Egli di tal facoltà usò parcamente, quanto il beneplacito dei Superiori e la moltiplicità dei negozi glielo consentivano.
Fonte Alessio Narbone, Annali siculi della Compagnia di Gesù dall’anno 1805 al 1859 volume secondo 1805-1824, Palermo 1907